Non solo le lamentele di Valentino

Il destino già segnato della Ducati

Simone Trebbi

Il destino della Ducati è già segnato da tempo, almeno quanto basta per accantonare nostalgie nazionaliste e guardare in faccia la realtà. Le voci di un possibile anzi probabile acquisto da parte di Audi e del gruppo Volkswagen si sono dimostrate tutt'altro che prive di fondamento, tanto che entrambe le parti hanno ufficializzato tra ieri e oggi la cessione dell'ex brand italiano.

Leggi Federico Minoli, capo tribù Ducati, una libera leggenda emiliana

    Il destino della Ducati è già segnato da tempo, almeno quanto basta per accantonare nostalgie nazionaliste e guardare in faccia la realtà. Le voci di un possibile anzi probabile acquisto da parte di Audi e del gruppo Volkswagen si sono dimostrate tutt'altro che prive di fondamento, tanto che entrambe le parti hanno ufficializzato tra ieri e oggi la cessione dell'ex brand italiano.

    Una storia lega l'Italia a Ferdinand Piech, supremo patron del gruppo tedesco, che da almeno sei anni sognava di mettere mano sulla "rossa"; regalo che l'imprenditore, al costo di un miliardo di euro, si è concesso proprio il 18 aprile, giorno seguente ai fastosi festeggiamenti per i suoi 75 anni. Nella genealogia di Piech, illustre anzichenò, si annovera un nonno inventore di due miti delle quattro ruote come la Porsche – risalente al periodo nazista – e di quella coccinella che risponde al nome di Maggiolino, a lungo semplicemente la macchina più venduta al mondo. Il vero interesse della famiglia, tuttavia, è sempre stato legato all'universo delle due ruote, e meglio ancora se gli splendidi esemplari ricalcano appieno una tradizione nata nei quartieri operai di Bologna, a Borgo Panigale, dove un gruppo di amici dotati di genio partorirono quella moto il cui rombo, unico al mondo, è diventato progressivamente inconfondibile metafora del talento italiano. Ora la Ducati è proprietà di Audi passando così da un tricolore, quello verticale, a un altro ben più austero, l'orizzontale simbolo germanico già tatuato in prossimità del serbatoio.

    Mentre Ducati conclude l'affare e il cambio di proprietà, rimane di difficile gestione l'affaire Valentino Rossi, che non ha fatto misteri della sua voglia di abbandonare la scuderia, attribuendo a quest'ultima tutti gli oneri di due stagioni a dir poco perdenti, dove la difficoltà di salire in podio almeno in singola gara si rivela spesso insormontabile. Sono in molti a tessere parallelismi, tra la sorte (economicamente non così infausta) toccata a Ducati e la parabola discendente di Valentino, destinato ad essere ricordato dalle generazioni futura come il Pelè delle due ruote e il Jordan della frizione. Rossi si lamenta, spiega, demonizza prima la tenuta in curva delle gomme e poi la tempistica dei freni, e dalla scuderia – semplicemente – in tanti si accorgono che i riflessi del ragazzo di Tavullia non sono più gli stessi di quando correva con papà Graziano nelle colline di Pesaro fuori stagione e dominava sull'asfalto dei 18 circuiti previsti dalla Moto GP, inanellando 9 mondiali consecutivi.

    E se per l'italianissimo marchio Ducati il futuro è tedesco nell'anima e nell'orizzonte sportivo, le preoccupazioni del pilota dalle mille gesta criticate – gli scontri verbali con Biagi – e ancor di più decantate, sono intimamente legate ad una fiducia dissoltasi nelle (ovvie) scuse legate alla moto e allo staff. Ennesima dimostrazione di come prendere coscienza della fine di un mito, specie se così incarnato nella leggenda popolare come nel caso di Valentino, sia materia talmente dolorosa da essere spesso rimandata al mittente con falsi auto-convincimenti. Almeno fino a quando non ci saranno ulteriori sviluppi, i destini italiani delle due ruote e dell'eccellenza rigorosamente targata Made in Italy passano per questi due, eterni protagonisti.

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