The Family, una storia popolana

Maurizio Crippa

Via Bellerio non è il PalaCeausescu, non è il bunker di Berlino. Se è per questo, non è neanche l’hotel Raphael. E’ un palazzetto di cemento di periferia in zona Affori, poteva essere una fabbrica o la sede di un discount. E’ giusto che sia finita lì, con “dimissioni irrevocabili” dopo aver fatto volare tutti gli stracci a disposizione, lì dove c’era la branda e il bagnetto e insomma tutta la sua tana, la vicenda politica di Umberto Bossi.

Leggi L’unico “amiainsaputa” possibile è di Bossi di Annalena Benini - Leggi L’ultimo atto di Bossi a via Bellerio tra grida, lacrime e traditori

    Via Bellerio non è il PalaCeausescu, non è il bunker di Berlino. Se è per questo, non è neanche l’hotel Raphael. E’ un palazzetto di cemento di periferia in zona Affori, poteva essere una fabbrica o la sede di un discount. E’ giusto che sia finita lì, con “dimissioni irrevocabili” dopo aver fatto volare tutti gli stracci a disposizione, lì dove c’era la branda e il bagnetto e insomma tutta la sua tana, la vicenda politica di Umberto Bossi. Perché non è una vicenda criminale, per quanto adesso cronisti qualunque come Guy Chiappaventi si sentano autorizzati a insinuare (“i soldi dove sono finiti?”), e allora il vecchio leone si merita l’applauso dell’ultimo hurrah: “Picchia, picchiali, vaffanculo!”, e i nemici politici non vedono l’ora di lucrare. Non è stata nemmeno una storia di potere, sulfureo e vero, corrosivo. E’ finita lì, in un palazzetto di periferia, perché in fondo è stata una storia popolana. Una storia periferica, che solo nella grande follia della politica italiana per un lungo attimo ha potuto diventare centrale. Credere davvero di essere al centro. Invece è finita come la storia che era, di una famiglia plebea e allargata,  l’Umberto e i suoi goodfellas.

    Cresciuti insieme, vissuti un po’ sopra le righe e finiti a sberle.
    Dalla cassaforte di Francesco Belsito, il tesoriere improbabile, è spuntata pure una cartelletta con scritto “The Family”. Neanche nel più fesso poliziottesco con Maurizio Merli e le pantere verdi della Polizia sarebbe stata credibile, la caricatura di un cassiere così. Romanzo criminale è lontano, siamo dalle parti di rubamazzo, di certe ballate sbilenche di Van De Sfroos, della commedia dell’arte dei Legnanesi.  E’ finita con Bossi che sbatte la porta, nell’impossibilità di arrendersi all’evidenza. Di rassegnarsi, che il Trota non “parla così bene l’inglese” come gli avevano detto. E la Bmw: “Mi ha detto che la sta pagando in leasing”. L’hanno guardato, lui forse ha capito. E i conti di tutti gli altri, e i 300 mila euro per il mutuo della scuola Bosina a Varese, la scuola della Manuela, sua moglie. Più che una storia criminale, una storia piccoloborghese. Due soldi messi via, il vecchio che invecchia, ma è ancora lui che firma, poi c’è l’amico e il genero dell’amico, e i militanti che hanno bisogno per il loro sogno, e il figlio è un po’ un coglione, ma dagli una mano tu, che se no la Manuela mi toglie il fiato.

    Una storia popolana. Anche se alla fine era saltato fuori il villotto fine Ottocento, con i muri gialli. Di quelli che Gadda ci aveva già scritto tutto, antropologia e psicopatologia, ma vagliela a spiegare ai popolani della tribù, la psicopatologia delle villotte lombarde. La giacca a quadri, la cravatta sbagliata, i simil Ray-Ban. Le foto in casa sul divano a fiori, le foto con Calderoli in braghette e Tremonti in camicia, sulle mattonelle autobloccanti, quelle dei cortili-posto auto con il canestro da minibasket di quando i figli erano bambini.

    Bisogna stare lontani dalla tentazione snob di guardare la storia di Bossi solo dall’alto in basso, come Marco Belpoliti, che alla “Canotta di Bossi” ha dedicato un saggio pieno di belle notazioni, ma col difetto di prendere tutto molto sul serio, come se quel “Marlon Brando a Varese” fosse il frutto di un esperimento in laboratorio. Come se parolacce e dito medio, “lo stereotipo del vitellone da Bar-Sport di provincia un po’ attempato e inconcludente”, fossero un programma politico. E invece il programma politico, in fondo, è stato il frutto di una di quelle curve che fa la vita. Il Nord. Ma poi certi sogni, certe litigate al bar, certe idee che ronzavano e bisognava sentir qualcuno che ne sa di più, e poi buttar giù un pamphlet, sono diventate la voce di altra gente. Tanta gente. Idem sentire. Un sogno per tirar tardi la sera, negli anni 70, quando la vita poteva essere ancora il cantante di balera. Neanche  negli anni 70, quando sembrava uno studente fuori corso, un po' saltimbanco e un po' giocoliere,  prima di diventare un animale politico, che ha sparigliato le carte del sistema politico,  e fece un pamphlet autonomista crollato sotto peso dei debiti. Un sogno per dire quattro cazzate in pizzeria, e far saltare qualche democristiano. E poi il sogno è sembrato vero, i voti e i ministri. E d’un tratto la Padania non era più un miraggio sulla nebbia sul lago, rientrando a casa la mattina, o la pizzeria di viale Arbe piena di fumo, ma un paesaggio reale. Anzi, il paese reale. E se gli altri, i coetanei, gli altri “vitelloni” anche quelli partiti dalla scuola Radio Elettra, han messo su la ditta, han fatto un po’ carriera, per lui la ditta a conduzione famigliare che si è messo su era un partito. Che però era anche la famiglia, una famiglia allargata, una tribù.

    Del resto Bossi non ne ha mai azzeccata una. Tranne per Radio Padania che, grazie all'acquisto di una piccola emittente di Varese, è riuscita a comprare varie frequenze". Persino Maroni ha più volte ricordato che all'inizio regalò  molti soldi all'Umberto per pagargli i debiti. Quando anche Maroni sbagliava le cravatte, e non si era ancora rifatto il look. I bravi ragazzi vanno sempre in giro. C’è una scena di Goodfellas, il vecchio e memorabile film sulla mafia di Martin Scorsese, in cui Paul Sorvino in vestaglia, calzini e babbucce continua a girare le polpette al sugo come se niente fosse, per gli amici. Ma non è più a casa, è dentro una cella in galera. Ma che differenza fa. Quando c’è il mangiare e i bravi ragazzi di sempre, e le donne son fuori dalle balle, gli hai dato la casa la cucina e i gioielli, e chi se ne frega se la macchina è in leasing o chi ci ha pensato ai soldi.

    Dichiarazione altrettanto memorabile del film. “Ho tanti figli maschi e sono tutti dalla parte della madre”, ha detto una volta Bossi, per dire che capiva i casini a casa del suo amico Silvio. “Per di più ho anche la sfortuna che c’è la Rosy che viene sempre a casa mia e dà sempre ragione a mia moglie”. Un padre di famiglia allargata mica può arrivare dappertutto. Dove sono i soldi? “Ma vaffanculo, picchia”.

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    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"