Il giorno del giudizio in Israele

Giulio Meotti

Una fredda mattina di fine gennaio, le ambulanze sfrecciano dentro Haifa, il porto più grande d’Israele. C’è appena stato un attacco missilistico con una “bomba sporca”, armata al cesio radioattivo 137. Medici e paramedici decontaminano i superstiti, le autorità informano il pubblico: “L’inimmaginabile” è successo nel cuore dello stato ebraico. L’esercitazione, nota come “Nube oscura”, ha fatto parte del piano dell’Home Front Command per preparare il paese in caso di guerra con l’Iran.

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    Una fredda mattina di fine gennaio, le ambulanze sfrecciano dentro Haifa, il porto più grande d’Israele. C’è appena stato un attacco missilistico con una “bomba sporca”, armata al cesio radioattivo 137. Medici e paramedici decontaminano i superstiti, le autorità informano il pubblico: “L’inimmaginabile” è successo nel cuore dello stato ebraico. L’esercitazione, nota come “Nube oscura”, ha fatto parte del piano dell’Home Front Command per preparare il paese in caso di guerra con l’Iran. Il dottor Lion Poles, dal ministero della Sanità, ha detto che si tratta di uno “scenario ipotetico ma plausibile”. Teheran avrebbe tre obiettivi primari il giorno dopo quello in cui Gerusalemme avrà attaccato le centrali nucleari iraniane: il reattore atomico di Dimona, il porto e le raffinerie di Haifa e l’area di Zakariya, dove è stoccato l’arsenale missilistico dello stato ebraico.

    Nel 1991, durante la Guerra del Golfo, Eyal Eisenberg faceva parte di un team segreto stazionato nei pressi della centrale di Dimona. Aveva il compito di rilevare la presenza di materiale tossico nei missili Scud lanciati da Saddam Hussein. Oggi Eisenberg ha il compito di proteggere la popolazione israeliana in caso di guerra con l’Iran. Il generale ha appena detto che “Haifa sarà sommersa da 12 mila missili”.

    Israele è avvezzo ai missili. Dal 1948, l’anno della fondazione dello stato, ne sono caduti sul suo territorio oltre 60 mila. In questo momento ce ne sono 200 mila puntati su Tel Aviv. Mai è stata tanto forte la potenza di fuoco dei terroristi nella regione. Rafi Eitan, 85 anni e leggendario operativo del Mossad (comandò i servizi segreti israeliani che rapirono, a Buenos Aires, il gerarca nazista Adolf Eichmann), ha detto che “il fronte interno non è pronto”. E’ anche l’opinione dell’ex direttore del Mossad, Meir Dagan.

    Il premier Benjamin Netanyahu è convinto che per Israele sarà dura, ma il prezzo di un Iran nucleare è più alto. L’Iran ha già annunciato di aver prodotto le prime barre di combustibile nucleare “autarchiche”, ovvero costruite internamente. Una prova di forza del regime a cui ha partecipato anche il presidente, Mahmoud Ahmadinejad, e che conferma i peggiori timori d’Israele: Teheran non è dissuasa dall’interrompere il programma atomico. Anzi, dice al mondo che può fare a meno dell’assistenza straniera.

    Ehud Barak, ministro della Difesa, ha detto che “Israele non sarà distrutta” e che in caso di guerra “se la gente rimarrà nelle proprie case ci saranno soltanto 500 morti”. Al suo ministero dicono “mille”, comunque tantissimo per una popolazione così piccola. Esiste un solo calcolo possibile. Nel 2006 Hezbollah lanciò su Israele quattromila missili che causarono quaranta vittime fra i civili israeliani. Un morto ogni cento razzi. Se ne lanciano 12 mila, potrebbero esserci mille vittime. Nella recente esercitazione “Turning Point 5” Hamas, Hezbollah e Iran lanciano diecimila missili su Israele, che uccidono “centinaia di civili, ne feriscono ventimila e costringono centinaia di migliaia di persone a lasciare le proprie case”.

    La situazione è talmente drammatica che, stando a una rilevazione condotta dall’Università di Tel Aviv, un trenta per cento della popolazione con doppio passaporto sarebbe disposto a lasciare il paese. Ieri Yedioth Ahronoth, il maggiore quotidiano, ha pubblicato una lista di “città-rifugio” dove è meglio vivere “in caso di emergenza”. Nel 2006 un milione di abitanti fu costretto a rintanarsi nei rifugi per oltre un mese. Può Tel Aviv, dove vive il sessanta per cento della popolazione israeliana, affrontare uno scenario che Yedioth definisce da “giorno del giudizio”? Israele ha investito molto nella difesa balistica con il “Progetto Muraglia” (“homa” in ebraico), per fermare i missili iraniani Shahab 3 che possono arrivare in Israele e portare 1.150 chili di dinamite e materiali chimici. Ma la miglior difesa resta la preparazione della popolazione.

    Yaakov Katz, corrispondente militare del Jerusalem Post e autore del libro in uscita “Israel vs. Iran”, su questo è a colloquio con il Foglio. “Con l’Iran sarà diverso rispetto all’Iraq nel 1981 e alla Siria nel 2007, quando Israele bombardò i loro reattori nucleari e non ci fu rappresaglia. Israele dovrà affrontare una guerra regionale. Hezbollah ha 50 mila missili e l’Iran ne ha una certa quantità di letali che possono raggiungere Tel Aviv. Poi ci sono Hamas, il Jihad islamico e la Siria. Cosa farà Bashar el Assad? Potrebbe partecipare al conflitto per distogliere l’attenzione sulla crisi interna. Sarà una guerra devastante, ma Israele resisterà e sarà un prezzo minore rispetto a un Iran nuclearizzato. Non sarà come il 1973, quando i paesi arabi potevano sconfiggere Israele sul campo. In questo caso Hamas e Hezbollah non possono conquistare un solo metro di terra, ma possono terrorizzare la popolazione ebraica”.

    C’è il pericolo di armi chimiche: “La Siria ne è fra i massimi produttori mondiali. Finora Israele riteneva razionale il regime di Damasco. Ma Assad continuerà a esserlo anche ora che è in crisi? Potrà passare armi chimiche a Hezbollah. E se i magazzini di armi batteriologiche cadessero in mani di terroristi? Israele per la prima volta affronterebbe un’entità non statale terroristica dotata di armi di distruzione di massa”.

    Molte esercitazioni sono denominate “Nbc”: pericolo nucleare, biologico e chimico. La Siria è “il paese arabo più avanzato nella produzione di armi chimiche”, ha detto un rapporto del Centro di studi strategici dell’Università Bar Ilan, secondo cui la Siria ha prodotto centinaia di tonnellate di armi chimiche e nei suoi depositi ha accumulato bombe riempite di gas Sarin e di un altro gas letale, il VX. Israele ha messo a punto sirene per i missili che possono portare armi “sporche”. L’idea è quella che botulino, antrace e agenti patogeni di altre malattie, fino ai veleni, diventino armi utilizzate insieme con l’esplosivo. Cento grammi di gas mostarda bastano a uccidere cinquecento israeliani.

    L’esercito stima che Hamas e Hezbollah abbiano 1.600 missili “precisi”, in grado di colpire obiettivi mirati a centinaia di chilometri di distanza. Gerusalemme potrebbe essere colpita con una precisione tale da escludere la moschea di al Aqsa, sacra all’islam. Per dirla con Matan Vilnai, ministro delle Retrovie, “l’edificio del ministero della Difesa al quindicesimo piano non rimarrà in piedi”. Ci si aspettano, come nel 2006, bombe Hezbollah di fabbricazione siriana in cui le biglie vanno in ogni direzione e amplificano la capacità della carica esplosiva. A rischio è la centrale elettrica di Reading. Un missile paralizzerebbe il paese. Secondo un rapporto del Comando militare delle retrovie, pubblicato dal quotidiano Israel Hayom, l’erogazione di acqua, gas e corrente elettrica sarebbe bloccata.
    Israele prepara i rifugi. Questa settimana il ministero degli Esteri ha fornito alle ambasciate di Tel Aviv una lista di rifugi che i corpi diplomatici stranieri potranno utilizzare. Soltanto a Tel Aviv ce ne sono 240. La stazione di Gerusalemme è in grado di accogliere cinquemila persone. Agli israeliani sarà chiesto di avere a portata di mano “una valigia con documenti personali, medicine, vestiti, calze e scarpe, un radio-transistor, un telefono cellulare, cibo, bevande”. La guida al buon uso della maschera antigas si chiama “Lohama Kimit”: guerra chimica. Molte famiglie sono corse ai ripari. La milionaria Vivian Rakib nella sua casa di Tel Aviv ha fatto costruire tre livelli sotterranei per un’autosufficienza di sei mesi. Un bunker privato costa 100 mila dollari. Anche la milionaria Shari Arison lo ha fatto costruire in attesa dell’Armageddon.

    Dopo il 2006, il paese è stato munito di tremila sirene. Ci sono teatri, come l’Habima di Tel Aviv, che sotto terra accoglieranno migliaia di persone. A Safed si è costruito il primo ospedale-bunker per bambini. Yedioth ha rivelato che un ospedale sotterraneo, protetto dalla minaccia di armi chimiche o batteriologiche, è stato segretamente costruito nel nord di Israele, presso Nahariya. Per accedervi bisogna passare attraverso una rete di tunnel, ha un sofisticato sistema di filtraggio dell’aria e dell’acqua. Il governo dispone di una “località segreta” nelle montagne della Giudea, fuori Gerusalemme. Un nuovo sistema d’allarme, nel deserto del Negev, calcola con esattezza la traiettoria d’un missile. In una frazione di secondo, tramite sms, avviso audio e illuminazione del display, il programma invia un allarme a tutti i telefonini in quella zona.

    Piani di evacuazione sono approntati per Ramat Gan, la popolosa periferia di Tel Aviv su cui caddero i razzi nel 1991. Il Negev può ospitare le tendopoli. Fino a mezzo milione di israeliani potrebbero rifugiarsi nelle colonie ebraiche della Cisgiordania. Il comandante delle retrovie, generale Yair Golan, ha spiegato che “le città potrebbero trasformarsi in campi di battaglia” e che masse di persone sarebbero costrette a scappare in Samaria, definita in codice militare “rifugio nazionale”. Gli ospedali hanno piani per le emergenze. Le industrie più strategiche, come le banche e la compagnia telefonica Bezec, si sono dotate di tecnologie di sostituzione in caso di collasso.

    Ogni casa a Kiryat Shmona, nell’unghia più a nord della Galilea, ha finestre che per precauzione sono incerottate in lungo e in largo, cosicché i vetri non schizzino da tutte le parti quando l’immancabile proiettile arriva insieme allo spostamento d’aria. Qui, nell’estate 2006, sono caduti mille missili. Adesso se ne aspettano molti di più. I 212 rifugi pubblici sono restaurati. Alcuni rifugi hanno tv e aria condizionata, altri sono decadenti e hanno l’aria soffocante. All’ingresso di “Kiryat Katyusha”, come è stata ribattezzata la città, il governo ha fatto costruire un Monumento alla pace. Gli artisti non hanno trovato altra ispirazione che dipingere carri armati di giallo, rosso e blu. I bambini ci si arrampicano. In attesa della sirena che annuncerà il prossimo katyusha. E la fine del countdown fra Teheran e Gerusalemme.

    Leggi la prima puntata Countdown, storia preventiva dello strike - Leggi la seconda puntata Mañana. La guerra fantasma d’Israele - Leggi la terza puntata Nella mente dello strike - Leggi la quarta puntata La guerra dei trent'anni sta per finire - Leggi la quinta puntata La cura di Sneh

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.