Krugman tra le tette: “Stampate soldi”

A Marshall McLuhan sarà sfuggito un sorrisetto compiaciuto quando ha letto la lunga intervista in cui Paul Krugman mena il paradigma dell’austerità come fosse una pentolaccia in una festa paesana, spiega che l’America deve tornare a spendere e la crisi si fronteggia soltanto con la crescita economica, non con i “sacrifici condivisi” di cui parlano i politici per non sembrare irresponsabili. Sì, sono le tesi che Krugman ripete da anni sul New York Times e in discorsi molto seri tenuti in circoli all’altezza della serietà.

    A Marshall McLuhan sarà sfuggito un sorrisetto compiaciuto quando ha letto la lunga intervista in cui Paul Krugman mena il paradigma dell’austerità come fosse una pentolaccia in una festa paesana, spiega che l’America deve tornare a spendere e la crisi si fronteggia soltanto con la crescita economica, non con i “sacrifici condivisi” di cui parlano i politici per non sembrare irresponsabili. Sì, sono le tesi che Krugman ripete da anni sul New York Times e in discorsi molto seri tenuti in circoli all’altezza della serietà, mentre questa volta l’ha detto con liguaggio leggermente più spigliato su Playboy, provando l’antica teoria dell’identità di medium e messaggio.

    E’ più efficace dichiarare guerra all’austerità con una presentazione powerpoint nella facoltà di Economia di Princeton o nelle stesse pagine in cui Brittney Palmer vestita di solo smalto per le unghie dichiara solennemente che lei “non è più una showgirl di Las Vegas ma un’artista”? Tanto con il suo immaginario collaterale nutrito a forza di conigliette, autolavaggi, scampagnate in libertà, vestaglie di raso, ville californiane con piscina a forma di fagiolo quanto con il suo core business, le donne nude, Playboy è l’avamposto della lotta alla disciplina. Hugh Hefner è stato un imprenditore coraggioso e poi l’incarnazione di uno stile di vita sgargiante, eccentrico ed eccessivo che è l’opposto logico del sentimento declinante che si è fatto largo negli anfratti della comunità economica e politica. Le interviste serie di Playboy non sono una novità. Nelle pagine patinatissime sono comparsi Martin Luther King, John Lennon, Malcolm X, Jimmy Carter, Jesse Jackson e decine di personaggi ai quali non si chiedeva di commentare il paginone centrale.
    Nel numero che uscirà nelle edicole americane a marzo, l’intervista con il professore, polemista e premio Nobel per l’Economia crea però l’unione perfetta fra mezzo e messaggio; letto attraverso le lenti di McLuhan, il Krugman di Playboy non è un personaggio spurio né una macchietta, semplicemente la prosecuzione vestita di quello che il resto del giornale spiega in modo nudo. “Il problema dell’uscita dalla crisi sta nel fatto che dovremmo spendere di più, non che qualcuno debba spendere di meno”, ha detto Krugman nella lunga conversazione con Johnathan Tasini. E poi: “Non dovremmo usare il linguaggio del sacrificio per spiegare come uscire dalla crisi. E’ piuttosto sconvolgente che la retorica spicciola dei ‘sacrifici condivisi’ abbia contaminato il linguaggio fin dall’inizio anche con un presidente democratico. Questa è una delle ragioni per cui oggi siamo a questo punto”.

    L’economista dice che ci sono migliaia di lavoratori che non aspettano altro che lo stato agevoli grandi investimenti nelle infrastrutture – magari usando la minaccia di un’invasione degli alieni per accelerare il processo, scherza l’asimoviano Krugman – per rimettersi al lavoro; molti americani stanno tornando a studiare e altrettanti vogliono disperatamente cambiare carriera per avere un’altra chance. Del resto Brittney Palmer ora è un’artista.
    Come sempre più spesso accade, Krugman fa a pezzi Obama, il presidente che “già nel discorso inaugurale del 2009 faceva qualche riferimento alla retorica keynesiana, ma subito dopo ha detto che dobbiamo essere pronti a fare sacrifici”, parola, quest’ultima, che il professore non si stanca di ripetere nel senso negativo. “La situazione che stiamo vivendo assomiglia a quella del 1937, quando, ormai tutti sono d’accordo su questo, i policymakers sono stati troppo pigri e avrebbero dovuto spingere per aumentare l’occupazione”.

    Per merito di chi l’America è uscita da quella situazione? “Un signore di nome Adolf Hitler”. Qui s’innesta il parallelo con il modello dell’invasione degli alieni, minaccia ipotetica che convince una classe dirigente altrimenti imbrigliata dalla prudenza strategica a muoversi nella direzione della crescita. La crisi economica, per Krugman, non è stata sufficiente a far scattare quel meccanismo che impone di attaccare per difendersi efficacemente. E se non è successo in America, figurarsi nella venusiana Europa, dove “hanno bisogno di azioni drastiche, tipo stampare un sacco di moneta, e sembra assai improbabile che accettino di farlo. Credo che ci siano il 50 per cento delle possibilità di un collasso dell’euro”. Forse anche Angela Merkel dovrebbe leggere Playboy.