Quella sottile linea che separa sul Web libertà d'espressione e diritti d'autore

Piero Vietti

La domanda su dove la tutela dei diritti di chi crea un’opera debba fermarsi prima di limitare la libertà di espressione sul Web è certamente più appassionante di quella sulla nascita della gallina prima dell’uovo, ma al momento sembra avere la stessa vaga risposta. Come dimostra lo studio di Boldrin e Levine anticipato dal Foglio, l’argomento ha origini antiche, ed è diventato drammatico nell’era di Internet, in cui tutti condividono contenuti, video, canzoni e immagini su siti, blog e social network.

    La domanda su dove la tutela dei diritti di chi crea un’opera debba fermarsi prima di limitare la libertà di espressione sul Web è certamente più appassionante di quella sulla nascita della gallina prima dell’uovo, ma al momento sembra avere la stessa vaga risposta. Come dimostra lo studio di Boldrin e Levine anticipato dal Foglio, l’argomento ha origini antiche, ed è diventato drammatico nell’era di Internet, in cui tutti condividono contenuti, video, canzoni e immagini su siti, blog e social network. E’ di pochi giorni fa la clamorosa protesta di molti siti americani contro due leggi che vorrebbero tutelare i diritti d’autore negli Stati Uniti: il 18 gennaio diverse piattaforme on line hanno scioperato (prima fra tutte Wikipedia, che ha oscurato le sue pagine per 24 ore) o protestato presso il Congresso (tra queste Google e Facebook, per citare le più note). Dopo quel giorno le due proposte di legge sono di fatto bloccate (la “Stop Online Piracy Act”, o Sopa, definitivamente accantonata, la “Protect Ip Act”, o Pipa, rinviata). Esultano i grandi siti che hanno guidato la protesta, prendendosi il merito della bocciatura delle leggi, anche se gli osservatori di cose americane sono sicuri che una normativa del genere non sarebbe mai passata: anacronistica, autoritaria e draconiana, era fondamentalmente appoggiata dai repubblicani, i quali hanno la maggioranza alla Camera, dove si discuteva la Sopa, oggi accantonata, e non al Senato, dove si discuterà la Pipa.

    Questione rimandata, ma come detto non risolta: se è vero che con la diffusione rapida dei contenuti sul Web appare assurdo bloccare i siti che pubblicano materiale protetto da copyright, soprattutto quando sono piattaforme come YouTube, dove migliaia di utenti caricano video in contemporanea 24 ore su 24, è altrettanto vero che gli autori devono essere in qualche modo tutelati. Per questo si cerca “una terza via”, come ha detto anche il commissario per la Giustizia dell’Unione europea, Viviane Reding, parlando al Digital Life Design in Germania pochi giorni fa, aggiungendo che “libertà di informazione e diritto d’autore non devono essere nemici, ma partner”. Il recente arresto di “Kim Dotcom”, fondatore di Megaupload, sito di condivisione di file che negli anni era diventato vaso di Pandora di film e serie tv piratati, è la dimostrazione che le leggi vigenti, se applicate, bastano a combattere la pirateria selvaggia, senza arrivare a provvedimenti eccessivi.

    Intanto uno studio appena pubblicato in Francia sostiene che le norme antipirateria volute dal governo transalpino, e fondate sul meccanismo di risposta “graduata” alle violazioni di copyright commesse in rete (due avvertimenti che, in caso di recidiva, possono portare a una interruzione temporanea della connessione a Internet), hanno prodotto risultati positivi sul consumo di musica legale nel paese. Da quando è stata introdotta questa legge, insomma, gli acquisti su iTunes sono aumentati del 22,5 per cento rispetto ad altri paesi europei senza analoghe norme di tutela. Allo stesso tempo, però, più di uno studio ha dimostrato che la pirateria fa bene a musica e cinema: la circolazione libera di questi materiali su siti più o meno legali, ha permesso a tali prodotti di arrivare a un pubblico molto più vasto, che ha poi deciso in parte di acquistarli legalmente attraverso altri canali.

    Non bisogna dimenticare poi che dietro allo scontro tra Hollywood e Silicon Valley c’è una guerra di interessi tra vecchie e nuove lobby: Google e Facebook non si muovono solo per amore della libertà di espressione, ma perché maggiore libertà di condivisione significa più introiti per loro (anche se tra i due scenari possibili è preferibile quello “aperto” di Google e Wikipedia). In questo senso bisognerà tenere d’occhio l’iter in Parlamento di un emendamento alla legge comunitaria 2011 del leghista Gianni Fava, che vorrebbe introdurre in Italia un sistema di tutela dei diritti d’autore on line più duro. Molto simile a quello appena bocciato in America.

    • Piero Vietti
    • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.