Due ragioni per cui Eco, a 80 anni, è diventato un Bongiorno per dottorandi

Matteo Marchesini

Jacques Le Goff riassunse il senso del pontificato di Giovanni Paolo II nell’espressione “Medioevo più televisione”. La battuta si adatta anche a Umberto Eco, il Papa del midcult italiano, che coi suoi romanzi in serie ha volgarizzato la Scolastica e buona parte della cultura occidentale per ammannirla al lettore-massa: quel lettore che è cresciuto col “Nome della rosa” e coi programmi Mediaset, senza vedere alcun contrasto tra le due cose.

    Jacques Le Goff riassunse il senso del pontificato di Giovanni Paolo II nell’espressione “Medioevo più televisione”. La battuta si adatta anche a Umberto Eco, il Papa del midcult italiano, che coi suoi romanzi in serie ha volgarizzato la Scolastica e buona parte della cultura occidentale per ammannirla al lettore-massa: quel lettore che è cresciuto col “Nome della rosa” e coi programmi Mediaset, senza vedere alcun contrasto tra le due cose. Il contrasto lo vede solo Eco, che pretende di avere botte piena e moglie ubriaca, di cavalcare le mode culturali e poi di pontificare sulla deriva che queste mode hanno inoculato nell’Italia del Duemila. Ora lamenta la decadenza delle facoltà umanistiche. O a parlare così è un omonimo del tizio che sponsorizzò le false specializzazioni di Dams e Scienze della Comunicazione, o siamo davanti a una faccia tostissima. La seconda che ho detto. Ma forse è un caso di schizofrenia: quella schizofrenia che Eco diagnosticò a Berlusconi nel savonaroliano Palasharp. Già dopo le elezioni del ’94 aveva dichiarato: “Mi vergogno di essere italiano”. Insomma, si vergognava dei suoi milioni di lettori, di tutti i connazionali che divorano i libri di questo Calvino spiegato ar popolo, di questo Barthes del buon senso piemontese.

    La verità è che sulle labbra di Eco l’indignazione suona fuori posto: basta guardare questo “illuminista bizantino” (così Enzo Golino) per capire che il suo pacioso ottimismo è a prova di bomba. Eco non è un monaco che accusa, ma un manager che gronda serotonina. In lui, come ha notato Alfonso Berardinelli, il bambino e il prof convivono con allegria: ciò che manca è l’uomo. Ma il ritratto più formidabile è di Piergiorgio Bellocchio. In Eco, dice Bellocchio, “tutto è déjà lu”. E citando i comici inviti al coraggio di “Sette anni di desiderio”, così conclude: “Ecco la frase: ‘Nervi saldi, staremo a vedere’. Mirabile sintesi del pensiero, dell’atteggiamento morale, insomma dello stile di Eco. Reggetevi forte, ragazzi: si va al cinema.

    Sincronizziamo i cronometri: la merenda è alle cinque. Il faut être absolument modernes: parlerò alla Festa dell’Unità. Recita le tue ultime preghiere: scacco al re. Ci siamo e ci resteremo – in poltrona. Calma e sangue freddo: cameriere, il conto”. Insomma, è inutile che questo ottantenne paffuto e roseo si travesta da magistrato di una Suprema corte politico-culturale che “giudica e manda secondo ch’avvinghia”: resterà sempre il venditore di un’enciclopedia tascabile dove Superman si confonde con Tommaso d’Aquino. Resterà, cioè, un Mike Bongiorno per dottorandi.