Davvero era inevitabile il governo tecnico?

Ricordate i Piigs? Cinque ragioni per cui votare in Italia non era una follia

Claudio Cerasa

Ehi, ragazzi non fatevi fregare. In questi giorni, lo avrete notato, sta passando la linea che la scelta di non andare a votare è stata una decisione prima ancora che saggia semplicemente inevitabile. Perché – è ovvio no? – quando un paese economicamente sta messo molto male quel paese non può, non deve, perdere tempo a sciogliere le Camere e non può certo permettersi di convocare inutili elezioni.Ragazzi: non è vero. Non votare, ovviamente, non era l'unica scelta, e non era una scelta inevitabile. E' stata una scelta. Punto. Una scelta, però, che in questi mesi ha fatto soltanto l'Italia.

    Ehi, ragazzi non fatevi fregare. In questi giorni, lo avrete notato, sta passando la linea che la scelta di non andare a votare è stata una decisione prima ancora che saggia semplicemente inevitabile. Perché – è ovvio no? – quando un paese economicamente sta messo molto male quel paese non può, non deve, perdere tempo a sciogliere le Camere e non può certo permettersi di convocare inutili elezioni. Non serve. E' un rischio. Non si fa. E' meglio di no. Perché sarebbe un grave danno per l'economia. Perché ci sarebbe il default. Perché lo spread impazzirebbe. Perché i mercati non capirebbero. Eccetera. Ragazzi: non è vero. Non votare, ovviamente, non era l'unica scelta, e non era una scelta inevitabile; e commissariare democraticamente la democrazia non era affatto un atto dovuto. E' stata una scelta. Punto. Una scelta, però, che in questi mesi ha fatto soltanto l'Italia.

    Facciamo qualche esempio? Ma sì, facciamolo. E cominciamo da una premessa. Negli ultimi mesi, sono stati sei i paesi in Europa i cui governi sono caduti a causa dell'aggravarsi della crisi economica. Sono i famosi P(i)iigs: Portogallo, Irlanda, Islanda, Grecia, Spagna. E ora anche l'Italia. Tutti questi paesi, nel momento in cui i governi sono caduti, si trovavano in condizioni economiche disastrose. In Portogallo, quando il 23 marzo cadde il governo guidato da José Sócrates, Moody's aveva appena declassato il rating, portandolo da A1 ad A3; il pil nel trimestre precedente era calato dello 0,3 per cento e i tassi dei titoli con scadenza a 5 anni avevano oltrepassato la soglia (record per il paese) dell'8 per cento. Insomma: situazione drammatica. Nonostante ciò, però, lo scorso 5 giugno (tre mesi dopo la caduta del governo) in Portogallo si è scelto di votare. Le cose non sono migliorate, ok, ma il Portogallo oggi ha un nuovo governo legittimato a governare. L'Italia diciamo un po' meno.

    Cambiamo paese e arriviamo in Irlanda. Anche qui la storia è nota: il governo è caduto il 22 gennaio, e le elezioni sono state anticipate al 25 febbraio. In quei giorni, ricorderete, la disoccupazione era arrivata al 13,4 per cento (cinque punti in più rispetto all'Italia) e la disoccupazione giovanile al 28 per cento (più o meno come in Italia). Dopo le elezioni, il pil ha ricominciato a crescere e, dopo aver fatto registrare nel quarto trimestre 2010 un poco incoraggiante meno 1,3 per cento, quattro mesi fa, dopo mille difficoltà, è arrivato a segnare un più 1,3 per cento. Andiamo avanti e prendiamo il caso della Spagna. Zapatero (vedi inserto I) ha annunciato le elezioni lo scorso 29 luglio. E lo ha fatto con la Spagna che si è vista declassare il rating sia da Fitch sia da Moody's (da AA+ a AA-). Con la disoccupazione arrivata al 22,6 per cento (quasi tre volte quella dell'Italia). Con la stima (ottimistica) di deficit pubblico per il 2011 intorno al 6 per cento (in Italia siamo al 4 per cento). Risultato? Ovvio: in Spagna, naturalmente, si voterà domenica prossima. Un esisto, questo, che tempo fa, neanche a dirlo, si era augurato anche il segretario del Partito democratico Pier Luigi Bersani. Tanto che negli stessi giorni in cui furono convocate le elezioni in Spagna Bersani, intervistato da Repubblica (era agosto), disse esattamente quanto segue. “La Spagna almeno una mossa l'ha fatta”. “Si riferisce alle elezioni anticipate, segretario?”. “Esattamente. E non lo dico per un interesse di bottega ma per un'analisi obiettiva della situazione. Di fronte a una novità di questo tipo i mercati capirebbero che ci stiamo occupando di dare una svolta”. “Dunque cancelliamo l'ipotesi di un governo transitorio?”. “O si va a votare subito o si trova lo spazio di una soluzione transitoria”. Il voto prima di tutto, dunque. Si vede che ora la linea del Pd è leggermente cambiata.

    Proseguiamo. E in Islanda cosa è successo? In Islanda il premier Geir H. Haarde si è dimesso il 26 gennaio 2009. In quei giorni, anche qui la storia è nota, il Fondo monetario internazionale aveva previsto per la fine dell'anno un deficit di bilancio pari al 13,5 per cento (13,5!), e il pil, rispetto al trimestre precedente, aveva registrato una contrazione (pazzesca) del 10 per cento. Stranamente però in Islanda non c'è stato nessun governo tecnico. Ci sono state le elezioni: il 25 aprile 2009. E lo stesso naturalmente vale per la Grecia: dove con una disoccupazione arrivata al 18 per cento, con un deficit annuo intorno all'8,5 per cento, e con un pil che nell'ultimo trimestre ha registrato una contrazione del 5,2 per cento, George Papandreou si è dimesso dalla guida del governo il 10 novembre. Il giorno successivo ha giurato il governo transitorio, guidato da Lucas Papademos, che ora traghetterà il paese alle elezioni. Si voterà il 19 febbraio 2012. Sì: si vo-te-rà. Perché si è scelto così. E si è scelto così anche in Spagna, in Portogallo, in Islanda, in Irlanda. Ovunque. Ma in Italia no, le elezioni per carità.
        twitter@ClaudioCerasa

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.