O un vero e concreto dibattito in Aula, o il coraggio (necessario) delle urne

Ritanna Armeni

Intanto non se ne può più di questa lenta agonia, di questo film che non finisce, di questo tira e molla scandito dalle notizie sullo spread e sui titoli in Borsa che si alternano a quelle di deputati che trasmigrano da un gruppo parlamentare a un altro. Poi non se ne può più della lettera della Bce, nuovo dogma, verità indiscussa, postulato da cui nessuno apparentemente si discosta, ma di cui (come spesso avviene per le verità che si proclamano indiscutibili ) si è perso il senso e il significato.

    Intanto non se ne può più di questa lenta agonia, di questo film che non finisce, di questo tira e molla scandito dalle notizie sullo spread e sui titoli in Borsa che si alternano a quelle di deputati che trasmigrano da un gruppo parlamentare a un altro. Poi non se ne può più della lettera della Bce, nuovo dogma, verità indiscussa, postulato da cui nessuno apparentemente si discosta, ma di cui (come spesso avviene per le verità che si proclamano indiscutibili ) si è perso il senso e il significato.

    Quella lettera, invece, può servire a chiarire quale è la linea politica che il governo e il premier intendono seguire rispetto alla crisi finanziaria, al rientro dal debito pubblico e alla crescita e quale è la linea dell'opposizione. Finora non si è capita né l'una né l'altra. Berlusconi dice che vuole seguire le indicazioni della Bce, ma poi rinvia e tergiversa, desta nei partner europei il sospetto di difficoltà taciute e di intenzioni diverse. L'opposizione accusa il premier di non seguire i suggerimenti della Banca centrale, ma poi non dice che cosa farebbe al suo posto. Li accetterebbe in toto o solo in parte? Li considera un buon inizio per la crescita oppure un insopportabile atto di macelleria sociale? E quali misure alternative eventualmente proporrebbe?

    Perché quella lettera non è un valore “non negoziabile” si può respingere, si può accettare, si può discutere. Oggi malgrado la confusione che regna sotto il cielo e anche, a quanto appare, nella testa del presidente del Consiglio, ci sarebbe un modo molto semplice per fare chiarezza: che tutti i protagonisti di questa fase della vita politica dicessero la loro, nel luogo che la democrazia prevede, cioè il Parlamento, e che da quella discussione e da quel dibattito si traessero le dovute conseguenze. Se Berlusconi vuole effettivamente seguire le direttive della Banca centrale può andare in Parlamento e proporle. Evitando a se stesso ed evitando a tutti noi quel terribile e umiliante ruolo di un premier “tentenna”. Se viene bocciato può, anzi deve, ritirarsi, dimettersi. E deve chiedere nuove elezioni perché solo un nuovo pronunciamento popolare e non la trasmigrazione di questo o di quel deputato può dargli ragione o torto.

    Se l'opposizione non ci crede bocci la Bce e Berlusconi e dica la sua, cessando quel gioco malsano e ipocrita per cui le direttive della Banca centrale europea sono cattive se portate avanti dal premier e buone ed efficaci se esposte da Mario Draghi o da Eugenio Scalfari. Abbia il coraggio di discutere e di dividersi: ci vuole la patrimoniale? di che entità? quali misure per l'evasione fiscale? quali liberalizzazioni? quali modifiche al mercato del lavoro, alle pensioni? quali parti del patrimonio vendere? La divisione, il rischio sono di gran lunga preferibili alla ricerca di formule quali: governo di emergenza, di unità nazionale o tecnico, che avrebbero l'unico scopo di occultare le divergenze. Un governo “struzzo” che nasconde la testa sotto la sabbia sperando di non essere visto per quello che effettivamente è, servirebbe solo a perpetrare una condizione di disagio e di insopportabilità oggi troppo diffusa. A farne le spese oggi sarebbe (forse) Berlusconi, domani chi (certamente) gli si oppone.