Un rompighiaccio in Confindustria

Michele Masneri

Sergio Marchionne è un alieno per questa Confindustria, certo, ma allo stesso tempo si inserisce in una grande tradizione di rupture lunga come la storia Fiat. Ne è sicuro Giancarlo Galli, giornalista economico e saggista, “fiatologo” di lungo corso, autore di “Gli Agnelli. Il tramonto di una dinastia” (Mondadori, 2003). Galli, in un colloquio con il Foglio, prima elogia il “realismo” che ha spinto l'ad di Fiat a “internazionalizzarsi, a differenza dei sindacati e – ancora più grave – a differenza dell'attuale Confindustria”. Poi spiega perché il manager abbia in realtà stretti legami con i suoi predecessori.

    Sergio Marchionne è un alieno per questa Confindustria, certo, ma allo stesso tempo si inserisce in una grande tradizione di rupture lunga come la storia Fiat. Ne è sicuro Giancarlo Galli, giornalista economico e saggista, “fiatologo” di lungo corso, autore di “Gli Agnelli. Il tramonto di una dinastia” (Mondadori, 2003). Galli, in un colloquio con il Foglio, prima elogia il “realismo” che ha spinto l'ad di Fiat a “internazionalizzarsi, a differenza dei sindacati e – ancora più grave – a differenza dell'attuale Confindustria”.

    Poi spiega perché il manager abbia in realtà stretti legami con i suoi predecessori. “Marchionne si muove come un rompighiaccio, certo”, dice Galli, “ma nel solco di una lunga tradizione. Perché la Fiat è sempre stata un'azienda proiettata in avanti. Già il fondatore, il Senatore Giovanni Agnelli, doveva lottare contro i suoi soci della Torino bene per dimostrare che il futuro era nella motorizzazione di massa. Così il Senatore, quando la Fiat era ancora poca cosa, andò a trovare Henry Ford, nel 1912”. La stessa visione di rottura si vedrà con i grandi manager del Lingotto, nelle loro relazioni col mondo politico e sindacale. “Vittorio Valletta, che era un socialdemocratico vicino a Giuseppe Saragat, aveva un'idea precisa di progresso e modernizzazione, e negli anni Venti fece stroncare l'occupazione della fabbrica voluta nientemeno che da Antonio Gramsci”. “Anche lì”, continua Galli, “c'era un quadro politico incerto e tentennante, Giolitti prima voleva intervenire, poi fece marcia indietro.

    La Fiat fece da sola e diede l'esempio. Nel Dopoguerra, sempre Valletta sconfigge Comitati di gestione e Cgil portando al trionfo Cisl e Uil”. Nel frattempo “investe anche a Kragujevac, allora Yugoslavia, oggi Serbia, l'impianto dove Marchionne realizzerà alcuni suoi modelli”. E sempre nella Guerra fredda, Valletta inventa Togliattigrad, in Unione sovietica. Sono i semi dell'internazionalizzazione. Poi Cesare Romiti, con la famosa marcia dei Quarantamila, il 10 ottobre del 1980: “Anche in quel caso i politici erano terrorizzati. Berlinguer ai cancelli, la retorica dell'unità nazionale. Viceversa, con la marcia del 1980 Romiti e la Fiat sbloccarono la situazione, non solo per il Lingotto ma anche per il paese”. Insomma “Marchionne è un rompighiaccio”, conferma Galli, ma “anche il miglior interprete di una lunga tradizione, quella che nei momenti-chiave sente il dovere di avere il coraggio di tagliare il nodo gordiano. Marchionne è un decisionista, viene dalla scuola del management americano”. Con Obama, in America, “per salvare la Chrysler hanno deciso in fretta – prosegue Galli – mentre in Italia non si decide nulla, si fanno solo tavoli, sempre tavoli”.

    Cosa penserebbe Gianni Agnelli, presidente di Confindustria dal '74 al '76, dell'uscita della Fiat di Marchionne? “Certo, sono due epoche non comparabili – risponde Galli – e a quel tempo non esisteva la possibilità di dire ‘io vado via', non c'era l'opzione dell'estero, mentre oggi di fatto la Fiat è già andata via. Eppure sono sicuro che avrebbe approvato, l'obiettivo principale è salvare la Fiat. Agnelli non avrebbe capito invece una Confindustria che non rispetta la sua ragione sociale, quella di sindacato dei produttori. Questa Confindustria di Emma Marcegaglia cerca invece la mediazione tra i produttori e il paese. Ma questa non è la sua funzione. Marcegaglia passa il suo tempo ai convegni e in televisione, magari per poi candidarsi in politica nel Pd, come un Colaninno Jr. qualsiasi”. “E' chiaro – conclude Galli – che ora la mossa di Marchionne avrà un effetto dirompente. Ma, oggi come allora, si può dire che ‘ciò che è bene per la Fiat è bene per l'Italia'”.