Non solo Scalfari
“Una è una bischerata scritta bene, l'altra è una bischerata e basta”, così Vittorio Feltri liquida il fondo siglato da Sergio Romano ieri sul Corriere e anche l'editoriale di domenica firmato da Eugenio Scalfari su Repubblica. Mario Sechi, il direttore del Tempo, sostiene, invece, che “da ieri Romano è ufficialmente l'anti Scalfari. Il Fondatore di Repubblica propugna un'idea para golpista, Romano gli va contro e dice delle cose interessanti che tuttavia non condivido fino in fondo”. I due direttori, Feltri e Sechi, entrambi allegramente e notoriamente consanguinei al centrodestra, sono solo apparentemente in disaccordo.
“Una è una bischerata scritta bene, l'altra è una bischerata e basta”, così Vittorio Feltri liquida il fondo siglato da Sergio Romano ieri sul Corriere e anche l'editoriale di domenica firmato da Eugenio Scalfari su Repubblica. Mario Sechi, il direttore del Tempo, sostiene, invece, che “da ieri Romano è ufficialmente l'anti Scalfari. Il Fondatore di Repubblica propugna un'idea para golpista, Romano gli va contro e dice delle cose interessanti che tuttavia non condivido fino in fondo”. I due direttori, Feltri e Sechi, entrambi allegramente e notoriamente consanguinei al centrodestra, sono solo apparentemente in disaccordo. Ma di cosa si parla? Ieri il Corriere della Sera, con un editoriale di Sergio Romano, ha indicato senza ricorrere a eufemismi paludati una via d'uscita dalla politica non traumatica per Silvio Berlusconi. Un fatto, di per sé, rilevante: è raro che i giornali italiani facciano chiare proposte politiche. In sintesi, tratteggiando a tinte molto fosche la soluzione finale proposta da Scalfari sulle colonne di Repubblica qualche giorno prima, ovvero l'idea di un intervento duro e senza precedenti del Quirinale per far sloggiare il Cavaliere da Palazzo Chigi, l'ambasciatore Romano ha proposto al premier di annunciare lui le elezioni ancipate al 2012 rinunciando, contemporaneamente, a una ricandidatura. “Il Corriere propone una via morbida perché avverte il pericolo della soluzione giacobina in stile 1992, cioè la soluzione Scalfari”, spiega Sechi, che pure non condivide nulla dell'articolo. Così come è sferzante Feltri, che ironizza sulle conclusioni di Romano, ma pure sembra distinguere la “bischerata” di Scalfari, dall'“irrealistica conversazione da tè” proposta dal Corriere. La novità di tono contenuta ieri nel fondo del Corsera, capace di assumersi la responsabilità di indicare una via alternativa all'antiparlamentarismo di Repubblica, colpisce entrambi i direttori che pure non concedono nulla di più a Sergio Romano. “Si capisce lontano un miglio che non ha letto il rapporto con il quale l'agenzia Standard & Poor's ha declassato l'Italia”, dice Feltri.
Sia a Vittorio Feltri sia a Mario Sechi non sfugge la novità emersa dall'editoriale di Sergio Romano ieri sul Corriere della Sera. L'ambasciatore ha descritto uno scenario che facendo morbidamente a meno di Silvio Berlusconi conservi l'impianto bipolare del sistema politico italiano che rischierebbe, qualora si imponesse al contrario la dura soluzione di Eugenio Scalfari, l'esplosione del centrodestra in mille rivoli. Si tratta, lo spiega in controluce lo stesso Romano, di una soluzione ben vista dal mondo di riferimento del Corriere, forse del suo azionariato, forse dei suoi lettori borghesi e terzisti.
Detto questo Feltri non condivide una virgola di quanto scritto dal Corriere. “Romano fa riferimento al rapporto dell'agenzia Standard & Poor's, ma è ovvio che non l'ha letto, altrimenti avrebbe capito che il motivo del declassamento del nostro debito risiede nelle deficienze di una società bloccata dai veti della Confindustria, dei sindacati, degli ordini professionali. Tutte forze che esercitano un ruolo ostativo a ogni cambiamento. Berlusconi ha le sue colpe, ma siete sicuri che buttando il Cavaliere a mare sarà tutto meglio? C'è un altro governo capace di forzare i poteri ultrar eazionari e consociativi? Secondo me no. Romano riduce tutto al problema di Berlusconi, non affronta la questione di fondo: un altro governo sarebbe capace di scontentare i sindacati, di fare incazzare la Lega, di prendersi anche i fischi? Il welfare lo ridurrà Bersani con il fagotto di Vendola e con Di Pietro? La soluzione non è un altro governo. Perché questi non faranno niente, non possono. Cacciare Berlusconi è un obiettivo in sé, scollegato dagli interessi nazionali. Se parliamo dell'Italia e del declassamento, dobbiamo anche avere l'onestà critica di spiegare che la risposta ai guai risiede nella capacità di convincere la società italiana dell'evidenza: non possiamo continuare a vivere al di sopra delle nostre possibilità”.
Ed è anche quello che pensa Mario Sechi, ma con una sfumatura precisamente indirizzata al senso più profondo dell'editoriale pubblicato da Sergio Romano sul Corriere. Dice il direttore del Tempo: “C'è una sola ragione per la quale Berlusconi potrebbe decidere di lasciare: risiede nella consapevolezza di avere consumato la sua straordinaria parabola politica e nella convinzione che sia necessario assicurare al Pdl e al centrodestra un futuro. Anche Romano lo dice nel suo articolo. Ma il futuro del Pdl in questa fase dipende dalla voglia e dalla capacità di Berlusconi di interpretarlo. E perché il Cavaliere possa consegnare il Pdl alle generazioni future è necessario che Silvio Berlusconi ci sia fisicamente, che il premier sia nelle condizioni di decidere. Senza forzature, senza violenze antidemocratiche. La domanda è questa: è sicuro il professor Romano che se Berlusconi facesse un passo indietro la caccia all'uomo avrebbe fine? E' così sicuro che al Cavaliere sarebbe risparmiata una fine a pietrate? E dopo che Berlusconi ha mollato che succede? Improvvisamente diventiamo un paese felice e prospero?”.


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