Il fallimento perfetto

Alberto Brambilla

Basta un weekend per fallire. Se i politici iniziano ad ammetterlo, secondo gli economisti da tempo non ci sono alternative: la Grecia è insolvente. E tra loro c'è chi lo urla, come Nouriel Roubini sul Financial Times. Lo scenario è quello di un default “non ordinato”, ovvero un atto unilaterale di uno stato sovrano, deciso tra i palazzi governativi di Atene, e dichiarato in un tempo lampo. Anche David Riley, capo dei rating sovrani dell'agenzia di rating Fitch, ieri si è detto convinto che il fallimento arriverà ma definisce “esagerate” le ipotesi di rottura dell'euro.

Leggi Così Tremonti rivede i conti e cerca con Draghi idee turbo sviluppiste

    Basta un weekend per fallire. Se i politici iniziano ad ammetterlo, secondo gli economisti da tempo non ci sono alternative: la Grecia è insolvente. E tra loro c'è chi lo urla, come Nouriel Roubini sul Financial Times. Lo scenario è quello di un default “non ordinato”, ovvero un atto unilaterale di uno stato sovrano, deciso tra i palazzi governativi di Atene, e dichiarato in un tempo lampo. Anche David Riley, capo dei rating sovrani dell'agenzia di rating Fitch, ieri si è detto convinto che il fallimento arriverà ma definisce “esagerate” le ipotesi di rottura dell'euro.

    Ma come andrebbe nel caso la scelta fosse quella di tornare alla dracma? E' venerdì, il governo di Atene annuncia l'entrata in vigore di una nuova moneta con effetto immediato e dichiara che tutti i depositi, i prestiti e i contratti denominati in euro devono essere convertiti in dracme; l'esempio è quello della scissione di Slovacchia e Repubblica ceca nel 1993, come ricorda John Greenwood, capo economista del colosso d'investimenti americano Invesco, descrivendo in un report la prospettiva più cupa ma “meno costosa” di un default. L'intervento del governo, seppure in deroga ai trattati esterni con l'Europa, avrebbe effetto dal lunedì successivo. Un periodo fisiologico e necessario a ritirare le banconote targate Bce circolanti sul territorio greco per stamparne altre con il simbolo della nuova dracma. Il ritorno alla valuta nazionale sarebbe l'unica valvola di sfogo dopo il fallimento, perché solo tramite la svalutazione competitiva – impossibile in Eurozona – le esportazioni potrebbero riprendere fiato garantendo l'obiettivo di una bilancia dei pagamenti positiva.

    Secondo Roberto Perotti, docente di Politica economica alla Bocconi ed editorialista del Sole 24 Ore, “bisogna prepararsi in anticipo – dice al Foglio – serviranno delle ‘dracme di ponte' per gestire la transizione. Il problema però sarebbe il sistema bancario, con la cruciale necessità di indire una ‘bank holiday'”.

    “Si tratta cioè di chiudere gli istituti per un certo periodo di tempo – spiega Perotti – per evitare una corsa generalizzata agli sportelli. Perciò c'è da aspettarsi che il governo fino a poco prima di dichiarare fallimento negherà tale possibilità”. Altro correttivo alla fuga di capitali sarebbe l'imposizione di un “corralito”, cioè un limite prefissato di prelievo dai depositi personali per diverse settimane. Il fallimento avrebbe poi un effetto a catena sulle banche europee proporzionale alla rispettiva esposizione sul paese in default: Francia (56,9 miliardi), Germania (23,8), Regno Unito (14,7). L'impatto deflagrante, rilevava ieri l'agenzia Bloomberg, colpirebbe in particolare le banche tedesche sostenute dallo stato dall'inizio della crisi, come la Hypo Real Estate Holding e la WestLB, che lascerebbero un conto salato ai contribuenti tedeschi. Per Hypo si parla di investimenti in Grecia per 12 miliardi. Cifre elevate se si pensa che i due principali istituti, Deutsche Bank e Commerzbank, sono esposti nel complesso per 3,35 miliardi. Senza contare le svalutazioni in portafoglio dovute all'acquisto di bond greci in scadenza al 2020 (circa il 21 per cento dei titoli greci sottoscritti dagli istituti europei). “Un'altra conseguenza – aggiunge Perotti – è che la Grecia probabilmente perderà accesso al mercato mondiale dei capitali per parecchio tempo, com'è successo per l'Argentina. Gli investitori non saranno più disposti a farle credito. E poi non dobbiamo dimenticare i costi sociali: è molto probabile un'ulteriore recessione e un impoverimento in aumento. In Argentina, nei primi due anni la povertà è andata alle stelle, ne sono serviti sei per tornare ai livelli di reddito precedenti al fallimento”. Il default sarà sempre più facile a farsi che a dirsi.

    Leggi Così Tremonti rivede i conti e cerca con Draghi idee turbo sviluppiste

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.