Tutto quello che le sue elettrici stavolta non hanno perdonato a Berlusconi

Ritanna Armeni

Forse non sarebbe politicamente corretto ma sarebbe certamente utile che le schede elettorali fossero rosa e azzurre, le prime per le donne, le seconde per gli uomini. Potremmo così sapere come ha votato il sesso femminile e quello maschile. E fare dei paragoni, individuare delle tendenze, capire come si muove il mondo. Invece no, la scheda è uguale per tutti con il risultato che il cambiamento, se c'è, è “sessualmente” neutro, quindi comprensibile solo in parte.

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    Forse non sarebbe politicamente corretto ma sarebbe certamente utile che le schede elettorali fossero rosa e azzurre, le prime per le donne, le seconde per gli uomini. Potremmo così sapere come ha votato il sesso femminile e quello maschile. E fare dei paragoni, individuare delle tendenze, capire come si muove il mondo. Invece no, la scheda è uguale per tutti con il risultato che il cambiamento, se c'è, è “sessualmente” neutro, quindi comprensibile solo in parte. Le storiche (ma immagino anche gli storici) se ne lamentano. E' difficile capire senza un'elementare distinzione del colore delle schede gli spostamenti elettorali, e quindi politici, delle donne nella storia degli ultimi quaranta o cinquant'anni. I giornalisti, che dovrebbero raccontare l'oggi, invece non sanno qual è stato il ruolo del sesso femminile nelle ultime tornate elettorali, in queste elezioni amministrative e nel referendum, per esempio, rispetto a tre anni fa, quando Berlusconi è diventato presidente del Consiglio dopo uno straordinario afflusso di voti sulla sua maggioranza.

    Allora, gli analisti del voto e dei flussi elettorali dicevano che erano soprattutto le donne a sostenerlo. Prevalentemente non giovani, di cultura medio bassa, madri di famiglia, erano affascinate dalle sue televisioni e dalle sue promesse. Confidavano in lui per l'avvenire dei figli. Amavano il suo modo non rituale di fare politica. Loro, il centro della famiglia, attente ai conti della spesa e ai problemi del quotidiano, in questi diciassette anni non l'hanno mai abbandonato. Neppure quando le prime pagine dei giornali rigurgitavano di episodi poco edificanti sulla vita privata del premier. Anche allora hanno tenuto. I sondaggi, dopo le prime esternazioni e accuse di Veronica Lario, erano ancora più che lusinghieri per il Cavaliere. Le donne sembravano non schierarsi, come si poteva pure pensare, con la moglie arrabbiata e tradita ma la ritenevano “ingrata”. Un marito – sembrava pensassero – che aveva prodotto tanta ricchezza e ne aveva elargito a piene mani anche a lei, qualche svago se lo poteva pur prendere. E ancora dopo, negli anni seguenti, gli scandali sessuali ripetuti e insistiti con gran clamore dai media italiani e stranieri, almeno all'apparenza, non avevano scalfito granché. Non avevano apparentemente influito nei discorsi al mercato o nelle cucine.

    Ma oggi?
    Oggi che il fascino di Berlusconi è così offuscato come appare dai dati già nel voto del “totale degli elettori” che cosa pensano le donne? Lo hanno abbandonato come hanno fatto gli uomini o resistono e subiscono ancora il fascino del grande seduttore? Il premier può ancora puntare sulla loro fiducia o anche su questo fronte questa è evaporata?
    Capirlo non è facile con queste schede elettorali. Occorre ricorrere a strumenti meno precisi, cercare di addentrarsi nel terreno ambiguo delle intenzioni di voto che – si sa – poi si possono modificare. “Molto spesso la rabbia viene sopravvalutata”, ammonisce Nando Pagnoncelli, presidente dell'Ipsos. Ma nelle intenzioni di voto l'elettore medio si divide in due e si possono intravedere almeno i giudizi e sentimenti dei due sessi. Si può tentare una misura, per quanto imprecisa, di come la rabbia o la delusione o il consenso attraversano l'elettorato maschile e femminile. Si può cercare di capire quindi – e questo ci interessa – quale sia stato il ruolo delle donne nel cambiamento oggi. Ci sembra di sentirli gli osservatori (maschi o femmine che siano) che a questo non hanno pensato: “Che importanza vuoi che abbia? E' la massa dei voti che conta, è il voto realmente espresso”. Non è vero, naturalmente, conta anche il disagio, la sfiducia, la delusione.

    Per questo abbiamo cercato con pazienza e qualche cosa abbiamo trovato. Qualche giorno fa, ad esempio, in un articolo di Renato Mannheimer sul Corriere della Sera a proposito dei risultati del referendum e della partecipazione al voto del 57 per cento degli italiani, si afferma fra due trattini “con una particolare accentuazione fra le donne”. Nient'altro, né un numero né un commento. Era solo un'impressione dell'analista? No, il dato concreto questa volta era ufficiale, del ministero degli Interni. Se l'elettorato ai referendum ha votato al 57 per cento le donne hanno votato al 60 per cento. La distanza dagli uomini è stata di circa cinque o sei punti. “Del resto – ci spiega Mannheimer – non sono state le donne le più attive sui siti web durante la campagna elettorale?”. Certo, basta navigare su Internet per rendersene conto. Ma l'impressione è una cosa e un numero un'altra. Quest'ultimo dà qualche certezza in più. E quel cinque o sei per cento in più può dire molte cose: che le donne non sono andate a rimorchio del voto maschile ma hanno avuto una funzione di traino, che si sono sentite più coinvolte, che apprezzano di più una politica che si fa su contenuti concreti, quella della vita quotidiana. Forse le discussioni informali sono un mezzo di trasmissione delle idee e delle opinioni che amano di più dei talk show televisivi. Insomma quel cinque-sei per cento è illuminante se lo si divulga, lo si considera e si riesce a leggerlo. Lo conferma Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell'Istat: “Raccogliamo dati dal 1993, e tutti ci dicono che le donne parlano meno di politica degli uomini, seguono meno i dibattiti, aderiscono meno ai partiti. Fanno eccezione solo le giovanissime fra i 14 e i 17 anni che partecipano più dei loro coetanei ai cortei e alle manifestazioni delle loro scuole. Le donne sono invece più coinvolte nell'associazionismo”. Per Linda Laura Sabbadini la domanda da porsi dopo i referendum è la seguente: “Sono davvero lontane dalla politica o la politica è lontana da loro?”.

    Se i voti non si possono dividere in schede rosa e azzurre o, se si vuole, in rosse e verdi, si possono analizzare e distinguere gli atteggiamenti e le intenzioni di voto. Con le domande che i sondaggisti pongono vicino alle elezioni. E allora per capire ci serviamo di un sondaggio che ci ha gentilmente fornito Polimetro Ipsos. Le intenzioni di voto non danno sicuramente la certezza dei cambiamenti e la loro precisa entità, ma la tendenza riescono a dimostrarla. Allora se mettiamo a confronto le intenzioni di voto per il Pdl e la fiducia nel premier nel maggio 2008, subito dopo le elezioni che sanciscono il trionfo del Cavaliere, e quelle del maggio 2011, alla vigilia della sconfitta dei ballottaggi, nel momento probabilmente di massimo disagio, delusione e sconcerto, il comportamento femminile si intravede e con una buona dose di chiarezza. All'interno di un calo di consensi sul suo partito e sul suo governo che riguarda (ripetiamo per chiarezza, sondaggi sulle intenzioni di voto) il 41 per cento di coloro che lo avevano precedentemente votato, il calo fra le donne arriva al 45 per cento. Anche qui come nel voto referendario, uno scarto, un'accentuazione. E poi l'altra sorpresa. Sono le giovani che guidano la strada dell'abbandono. Al 64 per cento dicono di voler dire addio al partito del Cavaliere fra i 25 e i 34 anni, al 50 per cento ritirano la loro fiducia (48 per l'esattezza) fra i 35 e i 44. Il tasso di abbandono è minore, circa al 35 per cento, solo fra le più anziane. E' giovane, quindi, la donna che emerge con la sua disillusione nella fase calante del berlusconismo, oppure è la madre di figlie e figli giovani o adolescenti. Mentre era più anziana quella che aveva subito il fascino e accettato il comportamento del premier e del suo partito dal 1994 fino a qualche mese fa.
    Che cosa ha portato le donne più giovani a guidare la schiera delle deluse, a dare la propria impronta al disagio che solo in parte – sia chiaro – si è espresso nel voto perché – lo ricordiamo ancora una volta – di un sentimento stiamo parlando che non è detto si trasformi automaticamente in un giudizio negativo nelle urne?

    Per capirlo dobbiamo guardare altri dati, quelli divisi questa volta per mestiere o professione. Vediamo che sono le lavoratrici autonome, le partite Iva probabilmente, a guidare le fila delle scontente e delle deluse. Avevano sperato in un avvenire libero e meno gravoso che non hanno avuto? Avevano puntato dopo anni di scuola a una affermazione lavorativa più stabile? Probabile. Come è certo che la crisi economica ha peggiorato una condizione che già le preoccupava. Sta di fatto che il 50 per cento delle lavoratrici autonome, che avevano votato Berlusconi nel 2008, tre anni dopo dice che non ha alcuna intenzione di farlo. Nella delusione sono affiancate dalle impiegate, al 62 per cento e dalle studentesse, le più giovani fra le giovani, che dicono addio al Cavaliere al 55 per cento. Le casalinghe sono al di sotto della media, ma anche loro ritirano la fiducia al Pdl seppure solo al 43 per cento, comunque di più del complesso degli elettori. Ancora una volta le intenzioni di voto delle donne non contrastano con quelle complessive, ma indicano un surplus di delusione, di decisione e, probabilmente, di rabbia per le aspettative non realizzate. Soprattutto mostrano una donna giovane, studentessa o lavoratrice, precaria o non precaria, che ha rotto l'incanto e non rinuncia ad aspirare al cambiamento. Le donne fra i 25 e i 34 anni hanno vissuto la loro giovinezza tutta nell'era del berlusconismo, non hanno conosciuto altro e non possono fare certo paragoni. Il loro voto ha molto poco di ideologico e molto di presa d'atto di una realtà che non va e che le punisce. Le altre temono per se stesse probabilmente ma anche per i loro figli e le loro figlie. “Nella delusione delle donne – spiega Pagnoncelli – si coniuga l'indignazione per la vita privata del premier e l'insufficienza del suo governo. Le donne, in sostanza, accusano il premier di essersi distratto e di essersi occupato d'altro”. Ma perché hanno lasciato passare tanto tempo per manifestare la loro delusione? Perché per tanti anni la condotta privata del premier malgrado l'insistenza dei mass media non ha avuto alcuna conseguenza sull'elettorato e soprattutto sulle donne che parevano disinteressate? Secondo Pagnoncelli nell'elettorato femminile prevale “il pragmatismo”. In poche parole, le donne pensano “che può avere il loro consenso anche chi si macchia di peccato, se risolve i problemi”.

    Già, i problemi.
    Ritornano alla mente gli ultimi dati Istat: le giovani donne costrette a lasciare il lavoro dopo il primo figlio, le retribuzioni inferiori a quelle maschili, i ruoli lavorativi inferiori a studi e capacità, i due miliardi di ore di lavoro di cura anche fuori dalle mura domestiche. Il sentimento di sfiducia contro il governo espresso dalle intenzioni di voto è il segnale che, finito il sogno, si prende atto di una situazione che era già difficile, ma che il governo non ha fatto nulla per alleviare. E che le donne sono le più sensibili, le più deluse e le più arrabbiate.

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