Perché le riforme di Tremonti ancora non incidono

Stefano Cingolani

Tutto era cominciato il 31 gennaio con una lettera al Corriere della Sera, nella quale Silvio Berlusconi proponeva “la più grande frustata al cavallo dell'economia che la storia italiana ricordi”. Non “un'azione antidebito da formichine”, bensì misure per “portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni”. Il presidente del Consiglio lanciava l'offerta anche all'opposizione che l'ha fatta cadere. Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, ha preso in mano l'iniziativa.

    Tutto era cominciato il 31 gennaio con una lettera al Corriere della Sera, nella quale Silvio Berlusconi proponeva “la più grande frustata al cavallo dell'economia che la storia italiana ricordi”. Non “un'azione antidebito da formichine”, bensì misure per “portare la crescita oltre il tre-quattro per cento in cinque anni”. Il presidente del Consiglio lanciava l'offerta anche all'opposizione che l'ha fatta cadere. Giulio Tremonti, ministro dell'Economia, ha preso in mano l'iniziativa, prima ha atteso che l'Unione europea definisse il patto dell'euro, approvato il 25 marzo, poi ha elaborato un piano quadriennale previsto dalla nuova sessione europea di bilancio, con provvedimenti di riforma che dovrebbe aggiungere lo 0,4 per cento a una crescita che quest'anno sarà dell'1,1 e l'anno prossimo dell'1,3 per cento.

    Il documento di 162 pagine è frutto di un meticoloso lavoro del Tesoro. Come sempre, il diavolo si nasconde nei dettagli e nell'appendice finale che presenta una griglia di 85 provvedimenti la maggior parte dei quali già annunciati, previsti, discussi o deliberati dal Parlamento. Esattamente, 51 sono misure già operative, due “terminate” ma non ancora tradotte in legge (incentivi per i precari e per le auto a bassa emissione), 17 legiferate e non attuate; quelle nuove, definite “programmate”, si riducono a 15.

    Nella premessa teorico-politica, il ministro dell'Economia ripete il mantra: “Stabilità e solidità della finanza pubblica”, senza le quali “non sono possibili sviluppo economico ed equilibrio politico democratico”. Poi arriva il patto di stabilità europeo, anzi il “patto plus” perché viene rafforzato con i nuovi strumenti di coordinamento delle politiche economiche e fiscali e verifica politica. Altro che uscire dall'Ue: dentro questo corsetto europeo si incardina il documento italiano di programmazione finanziaria. Il quale rimanda al piano di riforme, a costo zero per la finanza statale: si tratta di “motori di sviluppo esterni all'area della spesa pubblica in deficit”.

    Una matrioska burocratica che razionalizza l'esistente con una prospettiva che arriva fino al 2014. E non è un caso. Perché poi dovrà scattare la riforma che le condiziona tutte: il nuovo Patto di stabilità dell'Eurozona, infatti, impone ai paesi con un debito superiore al 60 per cento del pil di rientrare, tagliando cinque punti l'anno rispetto allo scostamento. La Banca d'Italia ha elaborato una simulazione macroeconomica secondo la quale la riduzione non è drammatica se il prodotto lordo crescerà di due punti percentuali ogni anno. La tabella del ministero, a condizioni immutate, mostra che il nostro tasso di sviluppo nel 2014 sarà soltanto dell'1,6. Dunque, la speranza è che le riforme lo spingano verso la soglia di sicurezza. Sarà possibile, a quel punto, ridurre il fardello debitorio senza affamare la bestia, ma resteranno ben poche risorse per forzare la crescita. Non si vedono all'orizzonte locomotive. Il contributo delle esportazioni resta minimo. La bilancia commerciale è in rosso. Non ci sono alternative, insiste Tremonti. Ma dov'è la frustata? Le tabelle finali sono la vera sostanza del documento. La loro lettura è ardua e soprattutto è molto complesso stabilire il vero stato dell'arte. Bisogna capire se e quando verranno approvati dal Parlamento i provvedimenti ancora in discussione e se i progetti partoriti dalla mente di Giove usciranno tali e quali anche dai Consigli dei ministri dei prossimi mesi (e anni). Non basta. Solo tecnici ben esperti di come funziona il sistema dei lavori pubblici sono in grado di calcolare l'impatto di opere infrastrutturali eternamente annunciate, o di cantieri ai quali è stato tagliato il nastro per essere subito richiusi.

    La griglia si divide in otto capitoli principali (contenimento spesa pubblica; energia e ambiente; federalismo; infrastrutture e sviluppo; innovazione; lavoro e pensioni; mercato e concorrenza, efficienza amministrativa; sostegno alle imprese). Tra le misure elencate, il sostegno alle energie alternative, perché l'esecutivo ha bloccato il ritorno al nucleare. Gli incentivi al solare si sono rivelati costosi e rendono meno delle promesse. Certo possono produrre occupazione diffusa. Ma l'impatto sulla bolletta energetica sarà modesto.

    Sul fattore lavoro pesa la cassa integrazione. Le ore autorizzate sono aumentate di sei volte dalla crisi del 2008 e restano ai livelli più alti. “Il primo trimestre 2011 segnala il permanere di una situazione difficile”. Ci sono otto miliardi di euro “in fase di proroga” fino alla fine dell'anno. Ma le stesse riforme annunciate avranno un impatto diverso se una parte consistente dei cassintegrati non rientrerà.

    Ancor più complessa la partita fiscale. Il Pnr dedica un capitolo importante alle imposte con annunci come la “drastica riduzione dello sterminato numero di regimi di favore”, oppure un “graduale spostamento dell'asse del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette”. In ogni caso, si accetta come vincolo inamovibile l'attuale, elevatissima pressione tributaria. Le riduzioni fiscali dovranno essere compensate da altre entrate o da riduzioni di spese. Quanto alle liberalizzazioni, ci sono pochi accenni poco dettagliati, senza indicazioni sulla tempistica, come per la riforma fiscale. Pressoché assenti riferimenti a una rinnovata politica di privatizzazioni di imprese statali, tranne il riferimento all'applicazione della legge Ronchi-Fitto sulle aziende municipalizzate.

    Troppe le incognite. Quei quattro decimali in più l'anno non sono garantiti e non sembrano davvero una frustata. Ieri il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha detto che bastano a rilanciare l'economia. Non la pensa così la Confindustria che, nonostante abbia incassato qualcosa come gli sgravi fiscali per le imprese in rete, si aspettava molto di più. Mentre Luca Cordero di Montezemolo, irritato dal  sarcasmo di Tremonti sulla solitudine degli industriali, lo invita a ridere meno e a fare di più. In verità, il ministro fa molto, ma la sua linea appare diversa da quella degli sviluppisti dentro e fuori la maggioranza.