La fossa in mezzo al mare

Sandro Fusina

In un istante tutti gli uomini si dibatterono in mezzo alle onde. Le grida disperate dei marinai che annegavano, le urla di furore e di disperazione degli altri sembravano calmare per un istante la violenza della tempesta.

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    In un istante tutti gli uomini si dibatterono in mezzo alle onde. Le grida disperate dei marinai che annegavano, le urla di furore e di disperazione degli altri sembravano calmare per un istante la violenza della tempesta; giacché, appena la nave fu calata a fondo, il vento cessò, la calma riapparve, e i raggi della luna rischiararono i pallidi volti dei naufraghi che lottavano in mezzo all'oceano”. Letta una descrizione di un naufragio, si sono lette tutte. Soprattutto se, come questa, appartengono alla letteratura popolare, alla letteratura di avventura che un tempo riempiva le pagine delle riviste come “Il giornale illustrato dei viaggi”, edizione 1888 Sonzogno, e oggi ritornano in film e telefilm. Da un punto di vista della narrazione e dello stile si potrebbe fare di meglio. Per esempio le voci umane potrebbero essere più sommesse, o tacere addirittura. Non è scontato che nella lotta disperata con le intemperie gli uomini urlino. Ma non si potrebbe fare meglio dal punto di vista della verità. E' improbabile che uno scrittore abbia di un naufragio un'esperienza diretta. Tutto quello che crede di sapere lo sa dalla letteratura, tutto quello che può fare è reinventare la situazione a seconda delle sue predilezioni narrative.

    E' curioso pensare
    che proprio da una situazione convenzionale abbia avuto origine quella metafora continuata della società moderna che è il romanzo borghese. Senza un naufragio come avrebbe potuto Robinson Crusoe impersonare la figura integrale dell'homo faber, dell'uomo borghese, capace di riorganizzare idee e strumenti e opportunità per imbrigliare secondo i suoi fini e per il proprio bene le circostanze? E' vero che qualcuno si è preso la briga di redigere la partita doppia della sua creatività, per arrivare a un risultato a somma zero. Il narratore sollecito ha fatto in modo che gli elementi, i flutti, i venti e le correnti, fossero carini con Robinson, facendo posare il relitto, con a bordo ogni possibile strumento, a portata di mano.

    A rendere terribile il naufragio,
    come metafora dello sconvolgimento del progetto, non è tanto il pericolo di morte quanto le incognite del dopo. Il naufrago sopravvissuto ai flutti finisce per trovarsi in circostanze in cui le sue aspettative e i suoi valori sono rovesciati. Quale scherzo di cattivo gusto è sopravvivere alla furia cieca degli elementi per trovarsi su una scialuppa sovraffollata e assediata dai pescecani, o finire inermi in un'isola proprio davanti a un calderone cui attende un selvaggio che per tutto ornamento ha un osso umano infilato tra i capelli? Ma squali e cannibali sono agenti dell'avventura, dell'impresa e dei suoi rischi. Può (poteva) capitare ben di peggio. Dall'avventura si può (si poteva) essere di ritorno, soddisfatti per il successo, quando una tempesta coglie (coglieva) la nave sulla costa del Connemara o della Bretagna. Ma sono posti domestici, infatti un faro indica tra i marosi la via sicura. Che ne sa il capitano che quel faro non esiste, ma è una lanterna che certi suoi compaesani fanno viaggiare su e giù tra le corna di un bue per fingere il movimento delle onde? Dirige sul porto e finisce sugli scogli. I suoi uomini che non ce la fanno ad arrivare a riva sono i più fortunati. Periscono senza dovere rendersi conto che a finirli saranno pacifici contadini e pescatori che parlano la loro stessa lingua e nelle buone notti di tempesta si trasformano in spietati naufragatori per godere un po' dei beni che arrivano dall'altra parte del mondo.

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