Tutti a terra, tra i ribelli di Libia

Redazione

Un gruppo di uomini fa la guardia al check point alle porte della cittadina di Darna, nell'est della Libia. I giovani indossano la jalabiya, tradizionale tunica araba, e portano una lunga barba. Con inusuale disciplina militare, chiedono i documenti agli stranieri che vogliono visitare la città e controllano il contenuto dell'automobile. Il piccolo porto di Darna, in disuso da 30 anni, non sembra avere nulla di diverso rispetto ad altri luoghi dell'est.

    Un gruppo di uomini fa la guardia al check point alle porte della cittadina di Darna, nell'est della Libia. I giovani indossano la jalabiya, tradizionale tunica araba, e portano una lunga barba. Con inusuale disciplina militare, chiedono i documenti agli stranieri che vogliono visitare la città e controllano il contenuto dell'automobile. Il piccolo porto di Darna, in disuso da 30 anni, non sembra avere nulla di diverso rispetto ad altri luoghi dell'est. Gli abitanti sono sempre stati in prima fila nell'opposizione al regime: negli anni Settanta, Darna fu teatro di una rivolta contro il regime di Gheddafi. E nel 1996 fu il campo di battaglia della lotta tra il Gruppo libico islamico per il combattimento (Lifg), movimento islamista legato ad al Qaida, e le forze governative.

    Di tutte le cittadine dell'est Darna è il luogo che più preoccupa gli occidentali. Nel 2007, le forze americane trovarono centinaia di file in un covo di al Qaida a Sinjar, in Iraq. I documenti rivelavano che, dopo i sauditi, la più alta percentuale di jihadisti stranieri nel paese era libica. E in un cablogramma del 2008, reso pubblico da Wikileaks, la città di Darna è definita da un diplomatico americano “una fonte di combattenti stranieri” per l'Iraq. Nelle scorse ore, Anwar al Awlaki, influente imam e guida spirituale di al Qaida, ha scritto sulla rivista Inspire, legata al movimento, che le rivolte arabe daranno più spazio ai jihadisti. E secondo fonti talebane raccolte dal Daily Beast centinaia di libici starebbero tornando dall'Afghanistan per combattere al fronte i fedelissimi di Gheddafi. A Derna nessuno nasconde che alcuni abitanti siano partiti in passato per l'Afghanistan e per l'Iraq e che tra loro c'è chi oggi combatte al fronte contro i sostenitori di Gheddafi, assieme a ex membri del Lifg. I nuovi vertici della cittadina negano però qualsiasi tipo di affiliazione ad al Qaida e accusano la propaganda del regime di voler dirottare la rivoluzione.

    Seduto al tavolo di uno dei pochi ristoranti aperti in città, Said al Sheari, 24 anni, jeans sgualciti e t-shirt verde, racconta di essere appena tornato dopo otto giorni al fronte. Ad addestrare i giovani di Darna, dice, è Abdel Hakim Hasidi, il nuovo responsabile della sicurezza della città, “un uomo di guerra – spiega – che ha combattuto in Afghanistan”. Hasidi ha 45 anni, indossa una giacca di pelle sulla mimetica. Ha i modi di fare e le maniere rudi dell'uomo d'armi. Ha lasciato la Libia nel 1995, proprio quando iniziava lo scontro tra Gheddafi e gli islamisti. Era ricercato dal regime per la sua assidua frequentazione della moschea, dice lui. Dopo qualche tappa in diversi paesi arabi, Hasidi è in Afghanistan dove secondo quanto rivelato a diversi giornali ha combattuto contro gli americani. “Non ho preso le armi, insegnavo arabo e mi sono sposato”, ha invece detto al Foglio.

    Nel 2002, racconta, è però arrestato dagli americani e consegnato due anni dopo ai libici di Saif al Islam Gheddafi. In Libia finisce in carcere due volte. Oggi coordina l'addestramento dei giovani di Darna che partono al fronte. “Sono circa 300”. Il regime nei primi giorni della rivolta lo ha accusato di essere l'emiro di “uno stato islamico di Darna”. Lui smentisce di avere legami con qualsiasi gruppo fondamentalista. Se un tempo odiava l'America al 100 per cento, dice, oggi la percentuale è scesa di molto sotto il 50. “Stiamo già combattendo assieme”. Alcuni degli uomini che sono stati in Afghanistan, Iraq e gli islamisti che negli anni 90 presero le armi contro le forze del regime sono oggi al fronte ma sono molto meno ostili verso l'occidente.

    “Quelle su al Qaida sono tutte voci messe in giro dalla propaganda di Gheddafi. Qui in strada, anche tra le persone più religiose, l'ideologia di al Qaida non passa – dice Mansour Hasidi, membro del comitato cittadino e parente di Abdel Hakim–- Sì, ci sono persone che sono state in Afghanistan e in Iraq e molte di loro sono state pagate dal regime”. Tarek al Majari racconta di aver combattuto a Baghdad. Nel 2003, poco prima dell'invasione americana, è partito per l'Iraq tre settimane. Si è arruolato all'università di Darna, dove c'era un ufficio speciale del regime libico che rilasciava tessere ai volontari. Ci è andato a sue spese, racconta il trentenne, un cappellino con i colori della rivoluzione in testa. Mostra una lunga cicatrice sullo stinco sinistro. “Sono stato colpito in uno scontro a fuoco con gli americani vicino all'aeroporto di Baghdad”. Ha combattuto con l'esercito e i feddayn di Saddam Hussein, “non per il dittatore, ma per il popolo iracheno. Quando ho capito che gli iracheni volevano l'aiuto americano, ho lasciato il paese”.

    Negli anni 80, il colonnello Gheddafi aveva incoraggiato  migliaia di libici a unirsi al jihad in Afghanistan, nel tentativo di ottenere il ruolo di leader del mondo islamico, scrive sul Daily Telegraph Praveen Swami. Al loro ritorno, però, molti dei combattenti avevano usato le loro abilità militari contro il regime, facendo scattare la repressione del governo. Oggi, spiegano molti analisti, non ci sono nel paese movimenti islamisti organizzati o una chiara leadership. Tuttavia, “se c'è un vuoto di potere, ci sarà mercato per al Qaida”, ha detto alla Cnn Noman Benothman, ex membro del Gruppo islamico libico per il combattimento.