Angela Azzaro, libera femminista che fa incazzare i puritan-zdanoviani

Stefano Di Michele

Certo che Angela Azzaro è una che se le va a cercare. Ora, a parte la censura su Alfabeta2 – e le sta bene: lei è divertente, lì mette noia pure il nome della rivista – ha sempre saputo fare di meglio. E' noto, per dire, come sta combinata la rivoluzione, per tacere di come stanno messi i rivoluzionari. E mica da oggi. Da ieri, dall'altro ieri, dal secolo scorso. E' possibile allora, appena due anni fa, avanzare tale proclama, “la rivoluzione proletaria passa anche per il buco del culo!”?

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    Certo che Angela Azzaro è una che se le va a cercare. Ora, a parte la censura su Alfabeta2 – e le sta bene: lei è divertente, lì mette noia pure il nome della rivista – ha sempre saputo fare di meglio. E' noto, per dire, come sta combinata la rivoluzione, per tacere di come stanno messi i rivoluzionari. E mica da oggi. Da ieri, dall'altro ieri, dal secolo scorso. E' possibile allora, appena due anni fa, avanzare tale proclama, “la rivoluzione proletaria passa anche per il buco del culo!”, essendo peraltro convinti, i rivoluzionari in questione, che il culo l'abbiano fatto i padroni a loro?

    Angela ride: “Ma se era una citazione di Luciano Parinetto, serissimo filosofo marxista, ripresa da Aldo Nove… Scusa, una delle espressioni che usiamo di più è ‘inculato': perché abbiamo un rapporto così conflittuale con questa parte del corpo?”. Va a sapere. Quando stava a Liberazione con Sansonetti e dirigeva l'inserto Queer, era la pena e lo scandalo di tutti i militanti ortodossi, restii ad affiancare la lotta per il comunismo alla sorte delle personali chiappe. A. A. è sarda, “femminista e comunista già da bambina”, e molto si diverte a farla – organicamente e politicamente – fuori dal vasetto. Nel giornale rifondazionista (ora sta, sempre con Sansonetti, a Gli Altri), Queer era la meglio cosa che a sinistra potevi trovare, almeno la più divertente – al confronto, Alias dei compagni-coltelli del Manifesto aveva la vivacità dell'annuario pontificio. “Volevo fare un numero sul culo, ma quello me lo impedirono”. Provocazioni divertenti,  spiazzanti.

    Come quella volta che dedicarono l'intero manufatto a un elogio del microfallo (roba decisamente troppo elitaria, questa sì, rispetto ai bisogni reali delle masse) e a una rivalutazione di “Gola profonda”, che “era considerato profondamente antifemminista per via della faccenda del pompino” – non risultando, alle scapigliate/i redattrici/ori sansonettiane/i né politicamente discutibile né praticamente deprecabile. A. A. è così: un po' Pippi Calzelunghe (un suo, giustificatissimo mito), un po' folletto benefico, calciatrice fino a diciannove anni. Che ha certo letto per ben due volte la “Recherche” di Proust – “la prima volta quattro mesi, la seconda tre e mezzo” – che spizzica Joyce e il suo “Ulisse”, Agota Kristof tutta, e tutta Virginia Woolf, Gadda sempre e per sempre – ma  bombarda il (buon)senso comune della sinistra. Quella perbenista. Così, quando tutti si affannavano intorno all'aumento dell'Iva per Sky (losca manovra del Cav.), invitò i compagni a mobilitarsi invece, nell'interesse delle masse, contro la pornotax – essendo notoriamente maggiore il numero dei pipparoli, pure a sinistra, rispetto ai tenutari di Sky: “Aumenta la forbice tra ricchi e poveri, tra chi può godere senza risparmi e chi, invece, già tartassato su altri piani si vede negato anche questo bisogno-desiderio”. Fa molte cose di sinistra, A. A.,  e molte cose di sinistra che fanno incazzare la sinistra più permalosa. “La sinistra per come è diventata. Questa sinistra di oggi non accetta sfumature, opinioni diverse. Tutti devono dire le stesse cose, sennò vengono espulsi dalla comunità di appartenenza”, spiega. A. A. un giorno sfotte Santoro, un altro l'intera falange intellettuale, “il ruolo dell'intellettuale oggi è camminare sui tappeti rossi della Festa del cinema”.

    Quando, insieme ad altri giornalisti di sinistra, difese il diritto dei ragazzotti di CasaPound di manifestare, si beccò di tutto e di più. Sui siti antagonisti si possono ancora leggere biografie del genere: “Pennivendola impaccata di soldi pure lei (e non neghi!), radical chic, sansonettiana di ferro, possibile che svolgesse il ruolo della Lewinsky per il direttorissimo” – capito, i femministi doc? Ora collabora con la Fondazione Alda Fendi, per alcuni spettacoli teatrali, insieme al regista Raffaele Curi. Ma sempre si diverte a provocare. Come quella volta: “D'altro canto, diciamocelo, Corona è pure un bellissimo ragazzo, e preferirei passare una serata con lui piuttosto che con qualche lugubre intellettuale ulivista”. Magari non scherzava neanche.

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