Elogio del Deputato Ignoto

Matteo Marchesini

E' passata una settimana da quando il deputato radicale Marco Beltrandi ha votato contro l'ipotesi di accorpare amministrative e referendum. Sui giornali e sul web, gli insulti lanciatigli addosso dal centrosinistra meno riflessivo si vanno placando. Resta appena qualche rigurgito: ma somiglia al vociare stanco di chi, caduta l'adrenalina collettiva del linciaggio, torna da solo barcollando verso casa. Dopo esser stato impiccato a quel suo gesto, Beltrandi viene lasciato cadere di nuovo nell'oblio.

    E' passata una settimana da quando il deputato radicale Marco Beltrandi ha votato contro l'ipotesi di accorpare amministrative e referendum. Sui giornali e sul web, gli insulti lanciatigli addosso dal centrosinistra meno riflessivo si vanno placando. Resta appena qualche rigurgito: ma somiglia al vociare stanco di chi, caduta l'adrenalina collettiva del linciaggio, torna da solo barcollando verso casa. Dopo esser stato impiccato a quel suo gesto, Beltrandi viene lasciato cadere di nuovo nell'oblio. I media che sono stati così solerti nello scagliarsi contro di lui in questa occasione, rientrano in letargo quando si tratta di documentare il prezioso lavoro che lo stesso deputato svolge (ad esempio) nel chiedere conto del destino del trattato italo libico, rimasto appeso al vuoto.

    I media sonnecchiarono anche il giorno in cui Beltrandi, con la sparuta truppa radicale e pochi altri, s'oppose alla ratifica di quel trattato. Cerchiamo allora di ristabilire le proporzioni. Anch'io credo che sull'election day questo parlamentare abbia fatto una scelta sbagliata. Del resto, i primi a imputargli l'errore sono stati i suoi compagni di partito eletti col Pd, alle cui voci s'è aggiunto un eloquente comunicato di Pannella. Forse Beltrandi voleva rivendicare complesse ragioni che questo voto non poteva né contenere né tradurre in pratica senza equivoci. Il suo è un atto formale tanto più discutibile, in quanto insidia proprio la “seconda scheda” così cara a Torre Argentina. Insomma: se intendeva rilanciare la sacrosanta battaglia per l'abolizione del quorum, indicando nell'accorpamento un escamotage alla lunga controproducente, il deputato ha scelto un'occasione e un mezzo incongrui. Però bisogna subito aggiungere qualcos'altro.

    Ascoltando le sue giustificazioni – parziali, ma argomentate con fine senso del diritto – chi conosce Beltrandi non fatica a ritrovare nel suo tono insieme puntiglioso e disarmato lo stesso carattere inerme e onesto, antinarcisista e correttissimo che lo ha sempre contraddistinto. Purtroppo, un carattere del genere non può che esporsi indifeso, troppo indifeso, a qualunque sopraffazione. E' un obiettivo perfetto per quelli che – anziché discutere i temi nel merito, come questo parlamentare sgobbone vorrebbe fare – sono continuamente a caccia di capri espiatori, zimbelli, bersagli facili e incapaci di reagire. Così il centrosinistra politico e giornalistico degli Scilipoti, cioè lo schieramento che sponsorizzò i disinvolti parlamentari oggi “migranti”, ha linciato allegramente un deputato laborioso quanto poco noto, e quindi debole di fronte ai media. Beltrandi non ha nemmeno il physique du role pubblico o la comunicatività seducente di certe figure radicali: ma proprio per le sue goffe movenze woodyalleniane ci sta tanto più simpatico – specie oggi che il presunto carisma ha un rapporto sempre più stretto con la mistificazione.

    Incidenti come quello che gli è capitato, molto più dei suoi errori, rivelano la prepotenza d'una buona fetta di quarto e quinto potere. Un tizio privo di megafoni come lui, se scivola, può esser preso a calci senza scrupoli: nessuno teme le minacciose reazioni che certo verrebbero sia dai leader più influenti, sia soprattutto dagli opinionisti-star, editorialmente potentissimi e chiamati ogni giorno a dir la loro su tutto lo scibile umano, specie sulla stampa a larga tiratura tanto amata dagli elettori del Pd. Così, ora questi (e)lettori hanno ancora la bava alla bocca davanti al Marco minor, ma continuano a riflettere assai poco sul fatto che i criteri di selezione della classe dirigente Idv somigliano molto a quelli dell'Udeur, e i criteri di selezione del ceto intellettuale più in vista della presunta gauche somigliano molto a quelli con cui si reclutano le veline. Per ridicolizzare il povero radicale, Concita De Gregorio non ha esitato ad accostare la piccolezza del suo gesto alla catastrofe giapponese. Ma ha fatto anche di più: ha sostanzialmente imputato a Beltrandi d'esser quasi ignoto. Non so immaginare riflesso stilistico più vicino a ciò che l'Unità bollerebbe come “berlusconismo”. E sì, cara direttrice, è vero: Beltrandi non ha né l'influenza mediatica di Veltroni o Vendola, né quella di Ascanio Celestini. Ma appunto per questo andrebbe trattato con più cautela: almeno se si è sensibili alle reali dinamiche di potere. Anzi, proposta per il prossimo futuro: chi lo ha impiccato a un solo atto, ora dovrebbe avere il buon gusto di raccontare anche tutto ciò che dello scrupoloso lavoro di Beltrandi non ha raccontato in passato.

    E si dice Beltrandi: ma al suo nome potrebbero sostituirsi quelli dei tanti operai della politica, miti e caparbi, che giorno per giorno vengono cinicamente additati alla pubblica gogna da chi finge di non essere – come invece è – assai più potente di loro. Bisognerebbe sempre sentirsi responsabili della influenza dello strumento attraverso cui si parla, nonché (se si è in vantaggio) del peso simbolico della immagine propria e altrui. Davanti a una polemica sollevata sul Foglio da Marina Terragni, la compagna di partito di Beltrandi Emma Bonino ha parlato, del tutto fuori luogo, di “character assassination”: mentre avrebbe potuto approfittarne per precisare le sue analisi. Al contrario, Beltrandi avrebbe qualche buona ragione per servirsi della formula. Ma l'idea non lo tenta. Perciò, anche quando i suoi puntigli mi fanno un po' arrabbiare, a questo fragile Deputato Ignoto io voglio bene.