Luce contro magma. I miti e l'iperpopolo giapponese

Luca Vanni

Una massa di fango e detriti travolge chilometri di litorale, e sulla congerie delle rovine emerge un'altra forza, la massa spirituale di un'intera nazione. Luce contro magma. Vicenda antica nella storia del Giappone, contrapposizione codificata già nei miti immemoriali dell'atavica tradizione autoctona, dove di fronte agli abusi del riottoso dio della tempesta Susanoo-no-mikoto, la sua augusta sorella e dea del Sole Amaterasu-omikami si ritrae in una grotta “celeste”, gettando l'universo nell'oscurità.

    Una massa di fango e detriti travolge chilometri di litorale, e sulla congerie delle rovine emerge un'altra forza, la massa spirituale di un'intera nazione. Luce contro magma. Vicenda antica nella storia del Giappone, contrapposizione codificata già nei miti immemoriali dell'atavica tradizione autoctona, dove di fronte agli abusi del riottoso dio della tempesta Susanoo-no-mikoto, la sua augusta sorella e dea del Sole Amaterasu-omikami si ritrae in una grotta “celeste”, gettando l'universo nell'oscurità; ne uscirà solo quando il consesso degli dèi le avrà apparecchiato un allettante spettacolo di musica, canti e danze, prima fioritura della massima attività spirituale ordinata: l'arte (così il “Kojiki”, testo principe del corpus scintoista, nel VIII secolo d.C.).

    Il Giappone è un paese che le contraddizioni non le compone a suon di teoremi e di dimostrazioni, ma le lascia respirare, reagire nei loro elementi costitutivi, finché da esse non emerga qualche nuova, salvifica evidenza. Osservando lo scenario di questi ultimi giorni è difficile non avvertire tutta la drammatica maestosità dell'incomponibile conflitto tra Terra e Sole, con la risposta corale del popolo che di quel Sole si riconosce figlio. E la luce, la coralità della reazione al cataclisma di venerdì scorso e alle sue soverchianti complicanze, si deve al fatto che il popolo giapponese non è un agglomerato di interessi individuali contemperati nelle convenzioni di un contratto sociale perennemente perfettibile e rinegoziabile, ma un “iperpopolo”, una di quelle rare nazioni in cui il senso di appartenenza precede ogni razionalizzazione e ogni calcolo. Per questo ha il potere di risorgere dalle proprie ceneri, e di risorgerne unito.

    L'identità dell'individuo giapponese passa per la percezione del vincolo che lo salda alla comunità in cui egli è inserito. E il sentimento della comunità si diffrange in più livelli, da quello famigliare a quello nazionale, da quello civico a quello etnico. Così lo stato è famiglia e la famiglia stato, il villaggio è chiesa e la comunità religiosa è villaggio. Molto più facile che un giapponese decida di sacrificare o di salvare la propria vita per questo o quel nesso sociale che per un ideale astratto; proprio come quel giovane sopravvissuto che all'intervistatore dell'Nhk ha dichiarato di avere trovato l'estrema risorsa per non lasciarsi inghiottire dai flutti “nel pensiero della famiglia”.

    Per queste ragioni, il problema dei singoli, o della parte, diventa un'urgenza della comunità, o della totalità. Ed ecco che in una situazione di emergenza, vediamo la più docile cooperatività da parte della popolazione, la sospensione della belligeranza politica, con l'opposizione che si dichiara pronta ad avallare il piano di budget del governo, e l'inusitata solidarietà dell'industria, con i colossi dell'elettronica che rinunciano a ore di produzione per non assorbire l'energia indispensabile altrove. Non traluce da tutto questo un surreale senso di armonia?