L'Italia non potrà che tornare presto a fare affari con la Libia

Michele Masneri

Le sommosse sulla sponda meridionale del Mar Mediterraneo continuano a sostenere i prezzi del petrolio su livelli record. Mai come in queste ore politica estera e idrocarburi, anche in Europa, sono stati così legati. Non a caso ieri è stato il Consiglio europeo riunito a livello di ministri dell'Energia ad approvare le sanzioni dell'Ue contro la Libia di Muammar Gheddafi. Sempre da Bruxelles, il commissario Ue all'Energia, Günther Oettinger, ha dichiarato che il regime del colonnello non controlla ormai più i principali campi petroliferi libici.

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    Le sommosse sulla sponda meridionale del Mar Mediterraneo continuano a sostenere i prezzi del petrolio su livelli record. Mai come in queste ore politica estera e idrocarburi, anche in Europa, sono stati così legati. Non a caso ieri è stato il Consiglio europeo riunito a livello di ministri dell'Energia ad approvare le sanzioni dell'Ue contro la Libia di Muammar Gheddafi. Sempre da Bruxelles, il commissario Ue all'Energia, Günther Oettinger, ha dichiarato che il regime del colonnello non controlla ormai più i principali campi petroliferi libici. In compenso è stata confermata la notizia secondo la quale i rivoltosi nella parte orientale del paese nordafricano avrebbero dato il via libera alla ripresa delle forniture di petrolio dalle aree sotto il loro controllo.

    L'invito a non cadere in una spirale di allarmismo
    viene anche da Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, che al Foglio dice: “Certo, è la prima volta che si registra un'interruzione così lunga delle forniture, per di più dovuta a eventi politici”, però le conseguenze al momento sono nulle. “Sul fronte petrolio, l'Opec, di cui la Libia fa parte dal 1970, ha capacità inutilizzate per 6 milioni di barili giornalieri, e all'Arabia Saudita è bastato aprire i rubinetti per venire incontro allo shortage libico. I prezzi alti poi sono dovuti più alla speculazione che non a una crisi sul lato dell'offerta. Anche sul fronte del gas la situazione è tranquilla perché siamo in un momento di eccesso di offerta: con prezzi bassi in seguito al crollo degli ordinativi per la crisi economica globale; con minor utilizzo per generazione di energia elettrica grazie all'idroelettrico e alle rinnovabili e con l'Eni che si trova in credito di gas con molti fornitori grazie a contratti take or pay”. Il numero uno del settore energia del think tank bolognese che fu fondato da Romano Prodi preferisce dunque ragionare sugli scenari futuri: “La Libia è stata un ottimo partner energetico di lungo periodo, e dovremo tornare a farvi affari al più presto. Nel nostro interesse ma anche in quello del popolo libico”. Poi Tabarelli sgombra un po' di luoghi comuni sulla politica estera ed energetica italiana: “Certo Tripoli, come tutti i paesi produttori, applica contratti un po' capestro agli acquirenti, con l'80-90 per cento del prezzo del petrolio che rimane nelle mani del paese esportatore, ma per il resto il petrolio libico è uno dei migliori, con poco zolfo e molto paraffinico. Altri atout del paese nordafricano: innanzitutto la vicinanza, poi comunque non va dimenticato che Tripoli, insieme al Kuwait, è stato il paese che fra quelli Opec più ha investito nei suoi mercati di sbocco”. “E non si pensi solo alle solite Juventus, Unicredit e Fiat, ma semmai proprio nella filiera petrolifera. Come ad esempio rilevando il gruppo Tamoil nel 1986 e sviluppando una rete di punti vendita nel nostro paese che ormai conta su oltre duemila punti vendita, oltre a una importante raffineria a Cremona”.

    Non va drammatizzato il rapporto con i paesi ricchi di idrocarburi, annota il presidente del think tank Nomisma Energia, perché commerciando con essi si crea uno dei presupposti della teoria degli scambi internazionali, si esporta cioè “benessere e democrazia economica, si contribuisce a far aumentare il livello di vita nei paesi esportatori, avvicinandolo dai 4.000 dollari procapite attuali di Egitto o dai 17.000 della Libia ai 36 mila dell'Italia”. Gli idrocarburi come livellatori di differenze ma anche di know-how: “Perché è dimostrato che senza l'apporto dell'occidente i paesi produttori non hanno mai fatto grandi affari. Proprio il caso libico lo dimostra: quando il colonnello Gheddafi andò al potere, nel 1969, la prima cosa che fece fu la nazionalizzazione di tutto, per poi cacciare via gli americani. Eppure l'output petrolifero non sarà più lo stesso da allora: cala dai 3,5 milioni di barili giornalieri dell'epoca fino al milione e mezzo attuale, in un trend discendente inarrestabile”. Un rapporto di mutuo interesse, quello con la Libia, dunque, che rappresenta anche uno dei pochi casi in cui c'è stata continuità di politica estera e di energia in Italia: “Più che di politiche parlerei proprio di buonsenso”, continua Tabarelli, “di una continuità tra destra e sinistra che ha costituito uno dei pochi dossier tenuti fuori dalla litigiosità e dalla rissosità italiane”. Per i prossimi cinquant'anni, dunque, serve non solo consolidare i rapporti con Tripoli ma anzi premervi l'acceleratore. “Per esempio aumentando la capacità del gasdotto Libia-Italia portandolo dai 9 attuali a 12 miliardi di metri cubi annui”. Non drammatizzare non significa ignorare che se la “politica di buon senso” con la Libia è andata avanti almeno dagli anni di Enrico Mattei (che arrivò a Tripoli dieci anni prima di Gheddafi), per il resto la politica energetica italiana rimane al palo. Da una parte “l'Italia è il paese più dipendente dell'occidente dagli idrocarburi, con importazioni d'energia per l'85 per cento del suo fabbisogno. Un fabbisogno annuo di 180 milioni di Tep (tonnellate equivalente petrolio), di cui solo 14 milioni prodotte all'interno, il resto è importato (un quinto, pari a 37 milioni di Tep, proprio dalla Libia)”. Dall'altra il mix indicato dalla Commissione europea, secondo cui l'Italia dovrebbe arrivare al famoso “pacchetto 20-20-20” (riduzione del 20 per cento di emissioni di CO2 entro il 2020, una quota delle rinnovabili del 20 per cento dei consumi e sull'aumento del 20 per cento dell'efficienza energetica) appare lontanissimo, “fermi come siamo all'8 per cento di rinnovabili, arrivare al 17 per cento, la quota spettante all'Italia, significherebbe più che raddoppiare il risultato”. “Anche se le rinnovabili – conclude Tabarelli – non sono la chiave di volta del sistema; serve puntare sia sui rigassificatori, sbloccando soprattutto quelli già pronti come Brindisi e Porto Empedocle. E sul nucleare”. E qui, a chi prospetta di una futura dipendenza dall'estero, in questo caso per l'uranio, il presidente di Nomisma Energia ricorda che il minerale “conta solo per il 15 per cento dell'intero processo produttivo contro l'80 per cento del gas”.

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