La frustata british

Alberto Brambilla

Niente sortilegi o pozioni, solo fatti. La Gran Bretagna guidata dal conservatore David Cameron ha concepito la propria politica economica a partire da una certezza: la crescita non è una creazione dello stato. L'ha ribadito ieri sul Financial Times il ministro per l'Industria e l'innovazione, Vince Cable, un liberaldemocratico al governo in tandem con i conservatori del premier

    Niente sortilegi o pozioni, solo fatti. La Gran Bretagna guidata dal conservatore David Cameron ha concepito la propria politica economica a partire da una certezza: la crescita non è una creazione dello stato. L'ha ribadito ieri sul Financial Times il ministro per l'Industria e l'innovazione, Vince Cable, un liberaldemocratico al governo in tandem con i conservatori del premier. “Il nostro lavoro è importante, ma modesto – nota Cable – creare un ambiente adatto alla crescita degli affari, investire, innovare. Recuperare ciò che l'economista John Maynard Keynes chiamava gli ‘spiriti animali'”. Il punto di partenza è l'investimento privato, non la spesa pubblica o l'attesa di una crescita dei consumi. Parte della strategia di Londra, secondo le intenzioni della coalizione governativa esposte da Cable, si basa sulla ripresa del commercio e del settore manifatturiero. Intenzione che si rintraccia anche nell'Orange Book di cui Cable è coautore. Un pamphlet su “come tornare al liberalismo” datato 2004, considerato la guida per la politica economica targata Lib-Dem, tutta all'insegna di “deregulation, competitività, mercato libero, investimenti”.

    Sono concetti che ora vanno riempiti, dice Cable: “Ridurre i costi di transazione dei tribunali industriali, fare in modo che le pratiche non si accumulino sulle scrivanie, apertura degli appalti pubblici, regole privatistiche per la Royal Mail (le poste), un mercato unico più liberale”. Tra le modalità scelte per ridurre l'indebitamento dello stato, infatti, c'è anche la privatizzazione dei postini di Sua maestà, in discussione in queste settimane in Parlamento. “Questo non è ‘laisser-faire' – ha aggiunto ieri Cable – il nostro approccio è pragmatico, non ideologico”. Per il governo inglese la frustata pragmatica era quasi irrinunciabile, visto il massiccio abbattimento della spesa pubblica praticato negli ultimi mesi e che ha limitato le opzioni di politica economica a disposizione. Ma a Londra non ci si limita soltanto a fare di necessità virtù.

    Cameron ha infatti dimostrato una buona dose di coraggio, due giorni fa, presentando la nuova riforma del welfare. La stampa britannica parla della “più grande scossa al welfare state dalla Seconda guerra mondiale in poi”. La riforma entrerà in vigore dal 2013 e, secondo il suo ideatore, il ministro del Lavoro e delle Pensioni, Iain Duncan Smith, segnerà una svolta: “Il welfare attuale ha lasciato più di un adulto su quattro fuori dal mercato. Quasi due milioni di bambini vivono in famiglie senza lavoro e alcune generazioni sono intrappolate nella povertà e nella dipendenza. Questa è una tragedia, le nostre proposte sono l'inizio di una nuova era”. La scelta indica inoltre una cesura con la “cultura del sussidio” – come l'ha definita Cameron – che porterà un risparmio per l'erario di 5,5 miliardi di sterline in quattro anni, puntando a reinserire nel mercato i disoccupati di lungo corso. In sintesi, si tratta di eliminare un sistema di sussidi statali ai disoccupati tanto generoso da aver reso sconveniente, in alcuni casi, tornare nelle file degli occupati.

    “Lavorare non rappresenterà mai più la scelta sbagliata dal punto di vista economico”, ha dichiarato il premier: “Renderemo finalmente redditizio il lavoro, specialmente per i settori più poveri della popolazione”. Ecco allora che un singolo credito universale sostituirà un complesso sistema di benefit; chi non accetterà un lavoro decoroso perderà questo sostegno (fino a sei mesi per tre rifiuti), verranno ridotti i sussidi per l'alloggio, riformati i crediti d'imposta e cancellati gli assegni familiari per le fasce ad alto reddito. Non sarà un processo “indolore”, ha avvertito Cameron, già oggetto di critiche in queste ore. La riforma potrà subire modifiche, ma comunque rientra nella visione della cosiddetta Big Society: “Meno stato, più comunità”, ovvero la missione politica dell'inquilino di Downing Street. Perché ogni cittadino, rimboccandosi le maniche, sia utile al proprio vicino.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.