I consigli pro crescita di Fmi e Ocse dimenticati da Tremonti

Alberto Brambilla

“Esperti e scienziati” servono, ma il paese deve rivolgersi al “sostegno di enti internazionali come Fondo monetario internazionale, Ocse e Commissione europea”. Con queste parole il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, si è congedato mercoledì dalla stampa alla fine del Consiglio dei ministri centrato sulle riforme per rilanciare l'economia. Tremonti ha sottolineato che un Piano per la crescita, come quello governativo, deve essere “serio, definito, strutturato e soprattutto validato nelle sedi che poi alla fine contano”.

    “Esperti e scienziati” servono, ma il paese deve rivolgersi al “sostegno di enti internazionali come Fondo monetario internazionale, Ocse e Commissione europea”. Con queste parole il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, si è congedato mercoledì dalla stampa alla fine del Consiglio dei ministri centrato sulle riforme per rilanciare l'economia. Tremonti ha sottolineato che un Piano per la crescita, come quello governativo, deve essere “serio, definito, strutturato e soprattutto validato nelle sedi che poi alla fine contano”, e cioè le istituzioni economiche internazionali, al netto di ciò che gli esperti dicono in patria.

    Una formula retorica per frenare i piani sviluppisti del Cav., ha sottolineato qualche osservatore. Eppure le stesse organizzazioni, pur rimarcando l'importanza della tenuta delle finanze pubbliche, da qualche tempo esortano Roma a intraprendere la strada delle riforme strutturali per crescere.
    Il Fondo monetario internazionale l'ha evidenziato a maggio, e specificato a ottobre: la bassa produttività è il “tallone d'Achille” del paese. Ergo: “Il rischio di un aggravamento della condizione potrebbe essere mitigato se l'Italia dovesse intraprendere un programma di riforme strutturali (…). Ciò richiede di affrontare con più forza i problemi di lunga data come scarsa produttività e debolezza fiscale. Una strategia simile aiuterebbe i mercati finanziari nel distinguere l'Italia dagli altri paesi avanzati altamente indebitati. L'esperienza internazionale – aggiunge il Fondo monetario – dimostra che l'attuazione di tali riforme richiede una guida politica determinata nel corso di molti anni e può richiedere tempo considerevole per dare i suoi frutti”.

    Né tali riforme costringerebbero ad allentare i cordoni della borsa. Come ha sottolineato in un'intervista martedì scorso al Foglio Arrigo Sadun, direttore esecutivo per l'Italia del Fondo monetario, alcune criticità potrebbero sparire a costo zero “eliminando tutti quegli ostacoli (burocratici, corporativi, etc.) che soffocano l'economia e limitano la concorrenza”. I suggerimenti non arrivano soltanto da Washington. Nell'ultimo Economic Outlook dell'Ocse, l'organizzazione con sede a Parigi che riunisce i 33 maggiori paesi industrializzati, si spiega infatti che una crescita più debole rispetto alle proiezioni potrebbe mettere a rischio anche l'allineamento del deficit agli standard europei (ovvero 3 per cento del pil): “Per garantire credibilità – dice il rapporto – devono essere messe in atto misure strutturali di bilancio (al contrario di una tantum).

    In più dovrebbero essere promosse riforme dal lato dell'offerta per migliorare il potenziale a lungo termine dell'economia italiana”. Ne ha parlato mercoledì al Foglio anche il vicesegretario generale e capo economista dell'Ocse, Pier Carlo Padoan: “Il problema oggi è sostenere uno sviluppo di lungo periodo, mentre gli stimoli alla domanda servono nel breve”.

    In Europa qualcosa si muove, anche su impulso della cancelliera tedesca Angela Merkel. Il rigore sui conti, che la Germania ha chiesto ripetutamente di perseguire agli altri stati membri, sembra non bastare più nemmeno a Berlino. La Merkel sta promuovendo infatti in queste settimane un Patto per la competitività. Bruxelles pare più attendista, ma pure il commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, ha dichiarato che ora si tratta di vincere una “doppia sfida”: avviare cioè un percorso di riforme strutturali affiancate a una stretta vigilanza sui conti pubblici.

    Ieri, infine, anche la Banca centrale europea, nel suo bollettino mensile, ha evidenziato la necessità di un ulteriore sforzo da parte dei paesi dell'Eurozona, auspicando “profonde riforme” in quelli con un disavanzo elevato e scarsa competitività (vedi Italia): “Occorre attuare con urgenza riforme strutturali consistenti e di ampia portata, a complemento del riequilibrio dei bilanci, per migliorare le prospettive di maggiore crescita sostenibile e più elevata occupazione. Il rafforzamento della concorrenza nei mercati dei beni e servizi e una maggiore flessibilità del mercato del lavoro contribuirebbero ulteriormente agli indispensabili processi di aggiustamento dell'economia”, fanno sapere da Francoforte.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.