La lezione della "Vedova allegra" ai ministri dell'Eurogruppo

Giuseppe Pennisi

Se invece di scervellarsi con cinture di sicurezza (a spese dei contribuenti dei Paesi “virtuosi”), con nuove agenzie per controllare questo e quello (nei meandri dei servizi finanziari), con burocrazie aggiuntive, i ministri dell'Economia e delle finanze dell'Eurogruppo si mettessero alla ricerca di vedove generose, anche se “allegre”, ben disposte ad aprire il portafoglio per saldare qualche pesante “debito sovrano“ ed evitare contagi grandi e piccoli?

    Se invece di scervellarsi con cinture di sicurezza (a spese dei contribuenti dei Paesi “virtuosi”), con nuove agenzie per controllare questo e quello (nei meandri dei servizi finanziari), con burocrazie aggiuntive, i ministri dell'Economia e delle finanze dell'Eurogruppo si mettessero alla ricerca di vedove generose, anche se “allegre”, ben disposte ad aprire il portafoglio per saldare qualche pesante “debito sovrano“ ed evitare contagi grandi e piccoli? Il pensiero, molto “buonista”, non può non venire in mente dopo avere gustato, al Teatro Filarmonico di Verona, l'allestimento de “La Vedova allegra” di Franz Lehár che la fondazioni lirica della città scaligera co-produce con quelle di Trieste, Napoli e Genova - una prassi efficace per assicurare buona qualità a costi contenuti.

    La regia di Federico Tiezzi non sposta l'azione alla crisi finanziaria dei giorni nostri - come fa Christof Loy nella mirabile “Arabella” di Richard Strauss in scena a Francoforte – ma al 29 ottobre 1929, ossia al “venerdì nero” preso, convenzionalmente, come data d'inizio della Grande Depressione. In “Arabella” – lo sappiamo – siamo alle prese con un famiglia nobile ma spiantata dopo la guerra austro-prussiana del 1866: l'unica speranza è un ricco matrimonio per la bella figlia maggiore. In “Vedova allegra” il quadro è molto più simile a quello della crisi odierna: in una Parigi visionaria, che lo spiantato Lehár aveva solo sognato, si tenta di evitare la bancarotta di uno stato per insolvenza del proprio debito sovrano “combinando” il matrimonio di un diplomatico godereccio con una connazionale, diventata, dopo solo otto giorni dalle nozze, vedova, ed ereditiera di un banchiere il quale possiede il 51 per cento del patrimonio del Paese (e verosimilmente almeno il 60 per cento del Pil). Sul fondale del palcoscenico, scivolano i listini di Borsa e i principali indici azionari, come “ticker” dei programmi delle televisioni finanziarie.

    Sul boccascena, eros e denaro si sciolgono nella profondità e nella leggerezza dei valzer con i loro tempi in ¾ che seducono con eleganza, e languore misto a brio. La vicenda è nota, anche perché “La Vedova allegra” è una delle operette più rappresentate, nonostante il genere fosse già considerato al crepuscolo quando il 30 dicembre 1905 (solo tre settimane dopo la prima mondiale di “Salomé” di Richard Strauss, una coincidenza non solo casuale) debuttò in un teatro “leggero” di Vienna. Sovente viene messa in scena nel periodo di fine anno da compagnie in economia, semplificando una partitura che, giustamente, Bernstein, Karajan, Kleiber, Matacic, Rudel e altri Dei della bacchetta consideravano tra le più raffinate.

    Nell'edizione in scena a Verona, Julian Kavatchev dispone di una orchestra di classe, le danze sono affidate ad un corpo di ballo di grande professionalità, e i cantanti- attori sono in gran parte giovani già sulla cresta dell'onda. Inoltre, le parti dialogate sono, fortunatamente, scarnite dai frizzi, lazzi e giochi di parole volgarotti, entrati (in Italia) nella tradizione. Pur sapendo come va a finire (la “vedova” risolve tutti i problemi del debito sovrano ed anche una buona parte di quelli di lenzuola e di corna), ci si diverte e si gustano musica, canto e danze. Torniamo ai “debiti sovrani” nell'Eurogruppo. C'è una “vedova” pronta a fare da cavaliere bianco? La wagneriana di ferro Frau Merkel non sembra gradire il ruolo non solamente perché non è vedova - pur se il discretissimo consorte compare unicamente al Festival di Bayreuth - ma perché i suoi elettori seguono il principio secondo cui condoni, sanatorie e salvataggi fanno più male che bene. Anche e soprattutto a chi si è indebitato.