Il pullover di sinistra - Intervista a Sergio Chiamparino

Stefano Cingolani

Una sfida da accettare, fino in fondo. Sarà perché la parola gli piace, tanto da averci titolato il suo ultimo libro (“La sfida”, uscito da Einaudi), ma Sergio Chiamparino è convinto che la rivoluzione Marchionne offra alla sinistra un'occasione da non perdere. Il sindaco di Torino, una delle teste più anticonformiste del Pd, accoglie l'invito del Foglio, collega il caso Fiat alla situazione politica e spiega: "Vuol sapere chi vincerà la partita del governo?".

    Una sfida da accettare, fino in fondo. Sarà perché la parola gli piace, tanto da averci titolato il suo ultimo libro (“La sfida”, uscito da Einaudi), ma Sergio Chiamparino è convinto che la rivoluzione Marchionne offra alla sinistra un'occasione da non perdere. Il sindaco di Torino, una delle teste più anticonformiste del Pd, accoglie l'invito del Foglio, collega il caso Fiat alla situazione politica e spiega: “Vuol sapere chi vincerà la partita del governo? Vince chi è in grado di offrire una proposta credibile per guidare il paese in un sentiero di crescita. Anche per questa ragione, la sinistra deve ritrovare un nesso stretto con la produzione materiale. Sono stato recentemente a Chicago, a un convegno organizzato dalla London School of Economics e dalla Brookings Institution, dedicato a Torino come case study, insieme ad altre città. Ebbene, il filo rosso era proprio il recupero della manifattura”.

    Dopo la centralità dei servizi e l'ubriacatura finanziaria, si torna in fabbrica? “Sì, ovviamente, nel modo articolato e diffuso in cui si presenta oggi”. Anche questo, dunque, è un messaggio americano. Come possiamo chiamarlo, americanismo e marchionnismo, parafrasando Antonio Gramsci? Lei ricorda che il fordismo per Gramsci era la risposta in avanti del capitalismo americano alla grande crisi, rispetto alla risposta regressiva dei fascismi europei. “Sa qual è la parola più usata dalla sinistra negli ultimi anni? Difendere. Non cambiare. Che cosa difendiamo alla Fiat? Il contratto dei metalmeccanici che risale al 1972? Ha ragione Pietro Ichino nel saggio anticipato dal Foglio. Il sistema Marchionne, naturalmente, non esaurisce la rappresentanza del lavoro e bisogna costruire nuove forme. Ma il contratto nazionale che sedimentava i rapporti di forza non sta più in piedi. Lo stesso vale per la concertazione e la triangolazione governo, sindacati, Confindustria: andava bene per contenere l'inflazione e controllare la massa salariale. Adesso, invece, si tratta di ricostruire il lavoro e ricodificarlo partendo dal luogo della produzione”.

    Chiamparino vede materializzarsi lo spettro della scala mobile. Tra il 1984 e il 1985 i pochi che dentro il Pci non volevano il referendum erano isolati e hanno avuto ragione solo dopo la sconfitta. La riforma dei contratti ha lo stesso valore simbolico e politico, insiste il sindaco di Torino che teme un'altra battaglia di retroguardia. “Un maggior rapporto tra assetto delle relazioni sindacali e struttura contrattuale è imprescindibile – sottolinea il primo cittadino – mantenere rigidi i salari contrattuali senza tener conto della realtà, è contrario all'interesse dei lavoratori e pregiudica la possibilità di agganciarsi alle dinamiche di mercato”.
    Ma se fosse un sindacalista che cosa farebbe? “Avrei chiesto già da tempo un contratto dell'auto. Del resto, l'ho proposto nel mio libro prima che ne parlasse Marchionne. Gli Stati Uniti sono un modello lontano? Allora guardiamoci accanto. In Germania c'è un contratto nazionale che serve come punto di riferimento generale e poi contratti di impresa che hanno valore al posto del contratto nazionale. Chi propone che tutto sia rinegoziabile in azienda, dunque, non è fuori dal mondo. Il vero scandalo sono gli stipendi: appena la metà di quelli tedeschi. Marchionne è l'unico capo della Fiat che io ricordi, ad aver detto in pubblico, alla tv, di essere disposto ad aumentare i salari”. Il primo dopo Giovanni Agnelli negli anni Trenta. “Ecco, se fossi un sindacalista, farei un discorso forte sul salario da scambiare con una cogestione della flessibilità, richiamando anche il management alle sue responsabilità. Si tratta di consentire che i lavoratori vengano spostati per assecondare i picchi produttivi, straordinari, lavoro al sabato, meno assenteismo”.

    Insomma, Chiamparino delinea un nuovo ruolo del sindacato che definisce “gestione della forza lavoro e non solo vigilanza contrattualistica”. Il luogo del confronto, a questo punto, diventa il piano industriale: “Ciò richiama anche la responsabilità dell'azienda: i manager stiano là dove si scambiano le informazioni, creando momenti di codecisione sulle condizioni lavorative. E' questo il passo da far compiere alle imprese. Ecco, metterei alle strette Marchionne sulle scelte produttive”.

    E' credibile Fabbrica Italia? “Si tratta di andare a vedere, anche se per Mirafiori trovo proposte interessanti, come la produzione di veicoli di alta gamma e l'uso delle carrozzerie Bertone. E' il primo esperimento di collaborazione con Chrysler. Non vorrei che, di fronte a resistenze incomprensibili, sfumi anche questa prospettiva. Capisco che Marchionne prima voglia saggiare chi ha davanti, però è ora di abbandonare questa tattica a spizzichi e bocconi. Naturalmente non si possono pretendere concessioni in cambio di nulla. Ma invece di attardarsi in discussioni astratte e obsolete, incalzerei la Fiat sugli investimenti”.
    Se fosse ministro dello Sviluppo cosa farebbe? “Accompagnerei la trasformazione del gruppo con la ricerca, la sperimentazione di nuovi sistemi, punterei su quella che si chiama la green economy. Insomma, favorire lo sviluppo delle forze produttive, questa è la strada obbligata”. E se fosse un operaio Fiat? “Prenderei la busta paga di 1.200 euro al mese, sperando che il mio nome non appaia sulla lista dei cassintegrati (perdendo così altri 400 euro), e chiederei conto al mio sindacato perché, nel difendere i diritti acquisiti, non ha fatto nulla per cambiare la mia situazione materiale”.