Nancy Pelosi accanto ad un ritratto di Liu Xiaobo a Oslo

Il Nobel della disperazione

Giulio Meotti

Si è svolta senza di lui la cerimonia di assegnazione del Nobel per la pace a Oslo. Un massiccio schieramento di polizia ha circondato la casa della moglie Liu Xia. Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama che ha chiesto la liberazione del dissidente cinese

Numerosi sono i paesi che boicotteranno la cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace al dissidente cinese Liu Xiaobo. Non andranno a Oslo, oltre alla Cina ovviamente, anche Russia, Colombia, Tunisia, Arabia Saudita, Pakistan, Serbia, Iraq, Iran, Vietnam, Afghanistan, Venezuela, Filippine, Egitto, Sudan, Ucraina, Cuba e Marocco. Non accadeva dal 1936, dal Nobel assegnato al giornalista antinazista Carl von Ossietzky, che neppure a un familiare del Nobel fosse consentito di ritirare il premio. Si è parlato della “solitudine di Xiaobo”, che non può vantare la popolarità di Andrei Sacharov e Lech Walesa ai tempi dell’Unione sovietica. L’accademico è virtualmente sconosciuto in Cina, mentre negli Stati Uniti la New York Review of Books lo celebra come “A Hero of Our Time”. Il professore di letteratura è in carcere per il manifesto Carta 08, in cui auspica l’apertura della Cina ai diritti umani (“non sono concessi benevolmente dallo stato, ogni persona nasce con diritti alla dignità e alla libertà”), alla forma repubblicana, alla proprietà privata e chiede l’abolizione del sistema della “rieducazione attraverso il lavoro”. Per questo approccio “occidentalista” Xiaobo è criticato anche da noti dissidenti cinesi, come Wei Jingsheng: “Il Nobel è stato assegnato a Liu perché è diverso dalla maggioranza degli oppositori”.

  

Xiaobo sarebbe troppo “americano”
, come hanno spiegato altri attivisti (Liu ha insegnato alla Columbia University e all’annuncio del premio il Congresso promulgò un inusuale elogio). Il New Yorker a novembre ha dedicato un lungo saggio alle differenze fra Xiaobo e Wang Meng, il più famoso scrittore cinese che alla recente Fiera di Francoforte ha cantato le lodi della ricca narrativa cinese. A Xiaobo, che la Rivoluzione culturale spedì ragazzo a lavorare in campagna, si deve poi la definizione di “letteratura di cicatrice” per la corrente che ha cercato di riflettere sulla Rivoluzione culturale. Un’accusa pesante contro gli scrittori conniventi con l’opera di dissimulazione compiuta dal regime sulla cometa più buia del maoismo. Inoltre, secondo Jean-Philippe Béja, grande studioso della democrazia in Cina, “Xiaobo ha sempre rifiutato di scrivere sotto pseudonimo”, a differenza di altri dissidenti. E non sempre il coraggio è ripagato con l’affetto. Vaclav Havel ha così spiegato sul New York Times il fenomeno Xiaobo: “E’ interessante notare che quando i dissidenti sembravano un gruppetto di stupidi don Chisciotte l’avversione nei loro confronti non era così forte come invece lo sarebbe stata più tardi, quando la storia avrebbe dato loro ragione. Un qualunque neo-anticomunista ce l’aveva molto di più con i dissidenti che non con i rappresentanti del regime”.

  

Xiaobo oggi si trova nel laogai Jinzhou Jinkai Electrical Group, un campo di lavoro dove si fabbricano prodotti di elettronica che arrivano nei negozi occidentali. Il motto dei laogai riecheggia l’Arbeit macht Frei dei nazisti: “laodong gaizao”, ovvero “il lavoro trasforma”. Non c’è persona migliore per commentare il premio a Xiaobo di Harry Wu, che sta ai laogai come Solzenitsyn sta ai Gulag e che oggi sarà a Oslo per ritirare il premio Nobel al posto di Xiaobo (Harry Wu ha trascorso vent’anni nei campi cinesi). Wu nel 1991 decise di rischiare la vita rientrando in Cina per filmare i campi di lavoro maoisti per il programma della Cbs news “60 minutes”. Fu catturato al confine kazaco. Per il suo rilascio si mosse la comunità internazionale. E’ grazie a Wu se oggi sappiamo tutto dei laogai in cui è internato Xiaobo. Wu ha fondato la Laogai Research Foundation, che in tutto il mondo si adopera per la raccolta di informazioni sui campi di lavoro cinesi e in Italia ha appena promosso una legge per bandire questi prodotti. Wu spiega così al Foglio il caso Xiaobo: “Dal 2002 al 2009, Xiaobo ha scritto e pubblicato più di 240 articoli, molti apparsi sul sito della mia fondazione. Ma non un solo articolo in cinese. I suoi libri nessuno può leggerli in Cina, così come le sue lezioni non potranno mai più essere ospitate a Pechino, dove Xiaobo insegnava. Ma il premio Nobel rappresenta un passo importante per sperare in un futuro più ottimista per la Cina: un futuro libero dalla tirannia e dall’autoritarismo che hanno caratterizzato gli ultimi sessant’anni. Oggi in Cina esistono oltre mille campi di lavoro, come quello in cui si trova Xiaobo. In Cina non si può nemmeno essere in disaccordo. Non si critica, non si mette in discussione. Per queste ragioni le persone come Liu finiscono nel laogai.

 

In occidente si dice che la Cina è capitalismo. Falso. E’ un paese dove la proprietà della terra è solo dello stato e dove si può comprare un palazzo, ma non la terra su cui è costruito. Hitler divideva le persone in razze e creò i campi di concentramento per abolire l’umano. Nell’ideologia di classe comunista, il Partito divide le persone sulla base dello status economico e riempie i laogai. Dal genocidio si è passati al classicidio”. Il crimine “occidentale” di Xiaobo, secondo Harry Wu, è aver chiesto vera libertà religiosa. “Nel 1949 la Cina ha distrutto le chiese. Quarant’anni dopo le ha ricostruite per controllare ciò in cui credono le persone. Il regime non ha potuto proseguire con la soppressione religiosa, così ha iniziato con il controllo della religione. Nel laogai ho visto cattolici picchiati per la loro fede”.

 

Xiaobo è diverso anche perché dichiaratamente cattolico (il suo libro, “La forza della libertà”, uscirà per San Paolo in tutto il mondo). Da qui la sua denuncia degli aborti forzati. “In Cina il regime ricorre all’aborto e alla sterilizzazione forzata”, dice Wu. “Si costringono le donne ad abortire anche al nono mese. E’ la totale distruzione della vita umana. L’origine di tutto è il controllo totale dello stato. Per essere una nazione prosperosa, la Cina ha limitato il fondamentale diritto di dare la vita”. Uno dei problemi più grandi, che spiega anche il fatto che Xiaobo è virtualmente ignoto in Cina, è che “oggi la maggior parte dei giovani cinesi appoggiano il regime perché fa intravvedere un futuro di prosperità. Non hanno mai sentito parlare dei laogai. Non sanno di Tiananmen. Io sono finito nel laogai perché mio padre era un banchiere. Xiaobo è finito nel laogai per aver scritto sulla democrazia in Cina. Ma resto ottimista perché, come ha detto Xiaobo, la Cina dovrà trasformarsi in una società in cui le parole non saranno più crimini”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.