Soccorso scandinavo

Perché la generosa Svezia non assiste inerte all'eurotracollo

Ugo Bertone

Il paese più generoso nei confronti dell'euro è, da sempre, uno dei più euroscettici. A ragione, probabilmente, almeno a giudicare dai risultati che premiano la Svezia del premier di centrodestra Friedrich Reinfeldt

    Il paese più generoso nei confronti dell'euro è, da sempre, uno dei più euroscettici. A ragione, probabilmente, almeno a giudicare dai risultati che premiano la Svezia del premier di centrodestra Friedrich Reinfeldt. L'economia sta crescendo a pieno ritmo, a un tasso del 4,8 per cento: certo, la disoccupazione, seppur in calo, resta all'8 per cento, ma la crisi dell'auto dopo il 2009 nero è ormai superata, mentre tornano a fiorire investimenti e nuovi posti di lavoro (140 mila entro la fine dell'anno). Inoltre il deficit pubblico di Stoccolma, membro dell'Unione europea ma non della zona euro, si mantiene al di sotto della soglia del 3 per cento sul pil, mentre il debito pubblico (il 36 per cento sul pil) è dentro i parametri di Maastricht. Un miraggio per tutti gli altri paesi europei, considerato che anche ieri sono saliti a livello record gli spread sui rendimenti dei decennali di Italia, Spagna, Irlanda e Belgio nei confronti del bund tedesco, mentre l'euro ha toccato il nuovo minimo rispetto al dollaro da 11 settimane. Non solo: per il Financial Times le tensioni sui debiti pubblici si potranno far sentire anche sul mercato dei bond privati. 

    Insomma, non ci sarebbe da stupirsi se il ministro delle Finanze, Anders Borg, il vero artefice dell'exploit, famoso tra i colleghi per il suo codino da pirata e un orecchino d'oro, si sedesse sulla riva del fiume a osservare i crucci dei colleghi di Bruxelles. Al contrario mister Borg è senz'altro, e non da ieri, uno dei pompieri più attivi a spegnere i focolai di crisi dell'euro. A maggio, nel momento più delicato della crisi greca, fece scalpore il suo violento attacco a tedeschi e francesi, a suo dire troppo rigidi con Atene: “Vi state comportando come un branco di lupi”. La Svezia, infatti, non solo ha contribuito con  598 milioni di euro al prestito a Dublino ma ha anche fatto pressioni, con successo, su Copenaghen perché la Danimarca facesse altrettanto. Solo il Regno Unito è stato più munifico nei confronti dell'Irlanda, ma in quel caso l'apparente generosità si spiega con l'esposizione delle banche inglesi nei confronti di Dublino. Anche per la Danimarca, l'aiuto trova una spiegazione nel coinvolgimento irlandese della Danske Bank. Ma i legami economici di Stoccolma con la terra della Guinness sono assai più modesti.

    L'interscambio commerciale, poco più di 400 milioni di euro nei primi dieci mesi dell'anno, è inferiore a quello con la Lombardia. Né tanta attenzione può essere giustificata soltanto dalla presenza a Dublino del colosso delle tlc Ericsson, o di Ikea, sbarcata a Dublino nel 2009, o dagli undici punti vendita di H&M, altro marchio emergente del made in Sweden. Non è quindi facile trovare una spiegazione di pura convenienza al comportamento svedese. A meno di non sposare la teoria della carambola: Stoccolma è consapevole che il crollo dell'Irlanda potrebbe contagiare le economie baltiche in cui sono coinvolte le banche scandinave. Non a caso, man mano che s'aggravava la crisi della finanza di Dublino, nel mirino sono finite la Seb Bank o Swedbank, gli istituti più presenti nel Baltico.

    Il sostegno a Dublino serve a impedire che la crisi, di rimbalzo, si trasmetta ai partner di Stoccolma, facendo ripiombare la Svezia in recessione: “Un'economia aperta e dipendente dall'export come la nostra non può prosperare in un continente in crisi”, dice Borg. La generosità svedese ha una spiegazione logica, forse più lungimirante della politica di non impegno di Norvegia e Svizzera. Atteggiamento miope agli occhi di Borg. Il “miracolo” svedese, infatti, è la combinazione di vari fattori: l'ottimo comportamento del sistema bancario, che ha imparato la lezione degli anni Novanta, quando fu necessario un salvataggio pubblico per evitare la bancarotta; la nuova flessibilità del mercato del lavoro; il vantaggio di poter usare la leva monetaria. A conferma che la nascita dell'euro è stata senz'altro un grosso affare soprattutto per chi ha preferito stare ai margini del club, nota qualche malizioso e inveterato euroscettico.