Tutt'altro che Medioevo

Ecco chi sono gli orchi di oggi

Alessandro Schwed

Al Direttore – E' un'epoca di orchi, ma ci sono quelli trendy e quelli ormai tralasciati. Cercherò di sottoporre alla vostra attenzione il fatto di come gli orchi tralasciati costituiscano l'annuncio di un crollo che contiene tutti i crolli. Quanto all'orco di Sarah, molti si chiedono perché il maschio non sia mai cambiato.

    Al Direttore – E' un'epoca di orchi, ma ci sono quelli trendy e quelli ormai tralasciati. Cercherò di sottoporre alla vostra attenzione il fatto di come gli orchi tralasciati costituiscano  l'annuncio di un crollo che contiene tutti i crolli. Quanto all'orco di Sarah, molti si chiedono perché il maschio non sia mai cambiato. Aggiungono che lo stupro e l'assassinio consumati dalla persona chiamata lo zio (l'uomo che sorride con in testa un elegiaco cappello da pescatore) sia il ritorno al Medioevo: cioè al signoraggio sulle donne. Non ci siamo: il Medioevo ha salvato la classicità dopo lo sbriciolamento - qui siamo in pieno sbriciolamento e stop. Quanto ha fatto Zio, riporta a molto prima, a quando i maschi uccidevano le prede a colpi di sassi acuminati e le donne custodivano il fuoco come un segreto inspiegabile, arrivato con un fulmine su un albero.

       E' terribile che basti così minimamente poco per tornare indietro e oltrepassare la linea della normalità immettendosi di nuovo nella caverna, nello stupro e nell'omicidio. Ma una cosa: è inquietante che l'uomo con il cappello da pescatore venga chiamato orco, quando invece è zio. Infatti non è stata la parola orco a far tremare, ma la parola zio. Chi si aspetta che lo zio sia un orco? Per uccidere e violentare non servono il muso da orco, denti aguzzi. Basta essere carogne pavesate di normalità. Del resto, gli zii, i padri e persino i nonni-orco, quelli che mettono contro il muro di una cantina e prendono tutto, non hanno mai smesso di esserci. Quanto agli orchi-innocenti, quelli che urlano in libertà, minacciano di gogna, impiccagione, evirazione, tortura, che chiedono la morte senza processo (guardate su Facebook il grande successo del gruppo “Lasciate lo zio di Sarah alla folla”) è una folla euforica di orchi. Una baldoria di incontrastata violenza. Accanto, fiorisce un gruppo goliardico con centinaia e centinaia di aderenti, che si fa chiamare “Sono un ebreo fatto arrosto”.

    Accanto ancora,
    da giorni sbranano l'ex cantante degli Almanegretta e Saviano perché hanno partecipato a “Per la verità, per Israele”, e nei forum si fa scempio di ebrei nella più consumata normalità – questo sì, come nel Medioevo. Nella società profonda, c'è un mondo che non conosciamo, diffuso, che si vela dell'anonimato di Internet e nelle chat chiama gli ebrei “schiavetti”, “nasoni”, oppure, con uno squisito calambour, “nasisionisti”, e naturalmente “figli di satana”, il popolo d'Israele.  Allora io mi scandalizzo che ci siano due pesi e due misure: che in questa sudicia epoca antisemita si veda lo stupro omicida di una bambina e non si veda tutto intorno quello che proprio in queste ore e sotto gli occhi di tutti dicono impunemente agli ebrei, con quanto è successo in Europa sessantacinque anni fa.

       Su Facebook, il nostro riflesso internettiano, luogo-non-luogo dove intercettiamo il mondo, le adolescenti non si sentono più sicure. C'è questo omicidio di famiglia che sussurra: attente, l'orco è accanto a te. Da un certo punto di vista, potrebbe rassicurare che sia stato un orco solitario, dunque un'eccezione e non la norma; ma se un orco è vestito da pescatore, ed è lo zio, come fare a riconoscere che invece è un orco? Piuttosto di dire è stato un orco a uccidere e violare Sarah, sarebbe educativo dire che se qualcuno, un amico, lo zio, ti insidia, è torbido, insistente, devi dirlo ai tuoi, alla polizia, al preside, a una persona di cui ti fidi. Poi gli orchi non sono solo in famiglia, non sono solo zii, sono suburra, plebe, tifoserie violente. Vorrei ricordare che venticinque anni fa, allo stadio Heysel di Bruxelles, i supporter del Liverpool, ubriachi di birra sugli spalti crollati, orinarono sui cadaveri dei tifosi juventini, mentre le squadre continuavano a giocare. Dirigenti del calcio orchi e orchi sugli spalti. A quanto pare, la democrazia, la modernità non coincide necessariamente con la civiltà, e men che meno con la crescita spirituale. Scrivo queste riflessioni con davanti il semplice trafiletto che da un anno Eric Priebke – nazista novantenne delle Ardeatine, decano di un mondo che quasi riuscì a sterminare il popolo ebraico –  dopo il tardivo processo e un'immeritata vita in libertà, adesso non è più in cella. E' a piede libero per necessità personali. E per me, adesso, prima della violenza su Sarah e della sua atroce morte, c'è Priebke che passeggia libero in città – fine del retaggio democratico della liberazione dell'Europa, fine della fine della Seconda guerra mondiale.

    Diciamo che la Seconda Guerra Mondiale ricomincia. Sotto la cupola della libertà presunta, vive, no, ringiovanisce Eric Priebke. Prolifera il professore negazionista dell'università di Teramo; danno di saponette agli ebrei solitari che vanno su internet ad arginare il pozzo nero del mondo che erompe: sono anti-sionisti, antisemiti, di sinistra, di destra, filo-islamisti, nazi-jihadisti, fascisti dell'ultim'ora, tifosi odiatori. Legioni di orchi che danno addosso gli ebrei: perché sono una lobby, perché con la scusa dell'Olocausto, perché vi siete inventata 'sta balla del sionismo, perché avete ucciso Dio, perché siete degli zozzi, un popolo di guerrieri, di figli di satana, strozzini, cospiratori, lobby, massoni, paraventi, fate sacrifici di sangue coi bambini cristiani, state a 'ffa ai palestinesi quello che i nazisti hanno fatto a voi.  

         E' tale la messe delle ingiurie e menzogne, che ogni cosa ha cambiato nome come se la Creazione fosse stata resettata da un dio impostore, ebbro, violenta e analfabeta. Andrebbero ristabilite le gerarchie, cosa sia lecito chiamare libertà, pietà, e per chi indignarsi come prima cosa: per lo zio orco, o per Priebke che cammina liberamente in una città italiana. I media puntano sul cavallo dello zio assassino e stupratore: giocano agli apprendisti stregoni, e in un immenso Egitto, dopo sé stessi, tentano di far schiavi anche noi della cronaca  nera.  Ricapitolando: c'è l'omicidio tribale di Sarah e ne parlano tutti, e un famoso nazista in libertà, e non ne parla nessuno. I titoli di scatola sono per Lele Mora e Corona, e ora per questo cavernicolare noir familiare. Ci chiediamo se vi siano gerarchie da rimettere in ordine; se i nazisti e i facinorosi abbiano diritto di chattare e formare gruppi nei social forum, senza che la polizia postale intervenga, sciolga le riunioni, identifichi gli apologeti dello sterminio ebraico e li mandi in una miniera di sale a lavorare per la collettività. Ci chiediamo se il relativismo mediatico possa regolare la temperatura della cronaca; se le redazioni possano parassitare per giorni e settimane gli omicidi e la vippologia da talk, e omettere che Priebke scavalla libero in città. E ci si domanda infine che esistano a fare le redazioni, se la cronaca è gastronomia per tener desto l'appetito morboso. Bisogna sapere che così si disattivano la pietas e le date della Storia. Se quel vecchio, efferato SS è a zonzo, pacificamente libero, quale è il valore degli altri crimini? E chi siamo noi, guardoni o uomini liberi? Se lui non è in cella, quale è il valore effettivo della libertà, e quale il valore della parola “vittima” di cui ci riempiamo la bocca? Se Priebke è impunemente libero, domani la notizia di Zio sarà sostituita da una petroliera che perde nafta, e in uno sfilacciarsi successivo di libertà e Storia molti crimini minori saranno commessi da orchi minori, passando dal peccato grande al piccolo come per la catena dei peccati di cui parla Agostino, ma alla rovescia. Perché se è lecito lasciare in libertà i vecchi nazisti, lecito ripetere la persecuzione ebraica, tutto è lecito.

       Eric Priebke è libero per una doppia latitanza:
    della morale e dello stato. La morale è stata sostituita dai reality e lo stato è stato sostituito dal video. Non è certo la tv che deve amministrare la detenzione di Eric Priebke. Devono esistere una classe dirigente e un pensiero capace di elaborare che il penultimo nazista vivente è un segno da custodire: e va conservato in cella. Per motivi opposti ma simmetrici, ebrei, omosessuali e zingari, minoranze incenerite dal nazismo da una parte, e dall'altra i nazionalsocialisti del tempo della razza ariana, appartengono tutti alla Storia: non all'arbitrio dei giorni. E' questa consapevolezza, unita a una coscienza vigile, a poter mantenere la Storia dentro ai fatti, le date, la verità. Non derubricare la Storia significa stabilire in che mondo viviamo e in che modo il mondo sia ordinabile – su quale scala una cosa sia lecita o no, giusta oppure ingiusta. Priebke è libero perché a causa di un'immensa nebbia (che si presenta come se non ci fosse) è considerato un vecchio. Non è affatto un vecchio: storicamente, è un bambino. Ma per i media italiani, Eric Priebke è una faccenda privata ebraica – il premier direbbe sbadatamente israeliana, il che indica quanta strada vada fatta. L'assenza di titoli sulla libertà di Eric Priebke è uno scandalo che recita a titoli cubitali: “La democrazia è fallita un'altra volta”. Lo scandalo di Priebke in libertà è il silenzio intorno alla fluidità di questa sua libertà; il sommergersi del ricordo del lupo mannaro, della sua paura, delle porte spalancate a calci, delle grida tedesche, delle madri strappate ai figli e dei figli strappati alle madri – dei nostri nonni e delle nostre nonne, i nostri zii e zie, i nostri cugini e cugine: Elena, Shalomo, Eliezer, Joseph, David, Paolo: siete stati ingoiati in un trafiletto. Prima di voi c'è lo scandalo di Lele Mora.

    Se Priebke, l'orco maggiore presente in Italia, se ne va a fare un giro in città, se questa società non protegge dagli orchi maggiori, figuriamoci dai minori. A quest'epoca monca, mancano le gambe dello spirito. Desta tanto stupore che Ciarrapico identifichi la parola ebrei con tradimento e a Montecitorio quasi nessuno gridi, ma l'assenza di Priebke dalla sua cella è un'emozione che non si mette neanche a correre. Le cose sono molto cambiate: ora, per Cappuccetto Rosso, il bosco da evitare non è più bosco, è l'ovunque: è a scuola, in un asilo nido, nel confessionale della parrocchia. E' nei luoghi normali che si svolgono le ecatombe. Forse è vero che da qualche tempo si è  alzato il sipario che copriva la scena della vita dei bambini, della famiglia, delle persone normali, e al posto dei mobili di casa, dei banchi dell'asilo, si vede un mattatoio. Ma scusate: perché dovremmo stupirci se dietro le porte di casa accadono violenze? Fuori da quelle porte, Eric Priebke cammina libero, fa la spesa, dice buona sera, e il negoziante risponde: grazie, signor Priebke, buona sera a lei. Se no, provate a dire il nome di Priebke fra la gente comune: “Hai sentito: Priebke è libero”. “Chi?”. Come accade per il lupo cattivo, nessuno lo riconosce. Va in giro mascherato da vecchio, mentre è un vecchio SS, che è una cosa molto diversa. Che è l'elemento di comunanza con lo zio, mascherato da zio e invece era macellaio. Lo scandalo del silenzio su Priebke libero contiene lo scandalo dello zio, di cui gridano tutti. Ma bisogna abituarci al nuovo corso: Priebke è un mostro in naftalina, lo zio è un mostro trendy. Ora che l'abisso ha inghiottito la ragazzina e quel bellissimo sorriso incerto, c'è da sapere che succeda in superficie, dove Priebke, l'orco capo, è libero. Lo Zio invece durerà qualche settimana e finirà nell'imbuto del presente remoto, il luogo-ossimoro dove siamo immersi. E' qui che adesso naufraghiamo, nel liquido mediatico, tra onde inesistenti e sempre più alte. E' qui che siamo disorientati, staccati dalla possibilità di guardare a oriente, il punto che determinava con sicurezza la nostra posizione. Ora che nessuno dice niente della libertà di Priebke, dove sono il nostro nord, sud, est, ovest? Quale idea di giustizia può essere riferimento?    Se Priebke è solo un nazista anziano, allora riabilitatelo e  dategli anche la pensione di guerra. A lui la pensione, agli ebrei gli insulti, poi vedremo. 

       Nel nuovo bosco di Cappuccetto Rosso nessuno è salvo. Non c'è alcuna nonna, vale a dire alcuna autorità, a dirci di non andare nel bosco. Per tutti noi, solamente homo homini lupus. E se ognuno è pronto a divorare o essere divorato, se questo bosco di sangue è legge, a che mai corrisponde  la libertà, a quali responsabilità rimanda? Povera Cappuccetto Rosso. Riposa in pace. Un bosco improvviso in cui mi trovai una volta anni fa, era la parrocchia di un carissimo amico prete, un sacerdote che sembra un artista bohemien, aiuta tutti, cucina, organizza convegni,  spazza, rigoverna, dà un letto ai poveri, scrive, è spiritoso, è grande amico degli ebrei. Persona meravigliosa. Mi aveva chiamato a presentare il mio romanzo sulla distruzione della memoria e non potevo supporre che proprio lì ci fossero orchi. Ma gli orchi sono zii, avvocati, commessi, professoresse, si vestono da persone normali, come fai a dirlo se sono orchi? Però lì le persone normali erano bravi volontari, gente che si dedica agli altri. Insomma ero fiducioso, e un po' mi vergognavo di fronte a queste persone attive, e io cosa, a parte parole? Va bene, parlo della memoria, di certe parole perdute, dell'idea assassina e come blasfema dell'esistenza dell'Astoria, la Storia che ha perduto sé stessa ed è rimasta nuda – idea che corre nel mio romanzo "Lo zio coso", in cui poi la Seconda guerra mondiale non c'è stata.

    C'è un breve dibattito, leggo i nomi dei miei tredici morti nella Shoah, il mio amico prete è turbato, ha la voce bassa e mi spiace, ma queste cose vanno fatte anche se il prezzo è alto e ogni volta neanche vorrei partire per venirle a dire, ma meno male che qui io vengo amato, perché così sono amati gli ebrei. Finisce l'incontro. Si scostano le sedie, il pubblico lascia la baracca e ridiventa ognuno. Rimango al tavolo, vorrei salutare il mio amico prete prima di partire, ma si è assentato e devo attendere. Si avvicina una ragazza, sorride. Posso farle, mi chiede, una domanda? Certo, faccio. Senta, ho ascoltato, anche mentre leggeva, il libro è scritto abbastanza bene. Ah. Ma c'è una cosa che vorrei domandarle, se posso. Dica, prego. Ecco, lei li ha perdonati i nazisti? Come?... Sì, le è mai venuto in mente che sarebbe l'ora di perdonarli? Ah, ecco, dico per riprendere fiato, lei dice perdonarli-perdonarli, beh, non lo so, faccio, cercando di guardare dietro i suoi occhiali, ma succede che di colpo ho troppi pensieri e il suo volto è come se non ci fosse. Ecco, dico alla donna, il perdono è una difficilissima azione individuale, avviene da persona a persona: c'è qualcuno che ti ha fatto male, allora bisogna pensare a lui, al suo viso, e piano piano perdonarlo. Ma io, chiedo mentre lei fruga rumorosamente nella borsetta, come faccio a perdonare centinaia di migliaia di persone  che non ci sono più, non conosco, che hanno fatto cenere di un intero popolo, tra cui i miei zii, i nonni, i cugini  che non ho mai conosciuto? Guardi, fa la ragazza,  lo dico per lei. E' una cosa brutta non perdonare, perché vede, dalla ragione si passa al torto.

      La guardo, non è possibile, eppure sta succedendo. Devo provare a farle capire, a essere calmo. Non devo pensare a mio padre che la notte tremava. Mi scusi, dico, ma non so come spiegare, io non ce la faccio a perdonare, a contenere dentro di me un simile amore per centinaia di migliaia di aguzzini sconosciuti… Io sono una persona sola. E' come se ora io le chiedessi di sollevare un camion. La ragazza mi guarda. Scuote la testa. Lo vede? mi fa, il vostro solito difetto: il cuore indurito. Mi dia retta, perdoni i nazisti. Eh? Allora?... Ci pensi, su! Poi guarda l'orologio:  oddio… parliamo parliamo, ma io ho da fare sul serio! Mi porge la mano: buona sera, e pensi al suo sbaglio: perdoni i nazisti! Esce dalla baracca, la porta si chiude con un ringhio. All'improvviso, l'orco.