Arietta di cordiale benservito

Ugo Bertone

“Vado a mangiare”. Alessandro Profumo liquida così i cronisti che lo aspettano pazienti in Piazza Affari. E' così veloce l'uscita dell'amministratore delegato di Unicredit che non c'è neppure il tempo di presentargli Maurizio Cattelan che si agita in piazza per guidare gli operai che finalmente, dopo tante polemiche, hanno avuto l'autorizzazione di montare l'ennesima scultura trasgressiva dell'artista: il “Dito medio”, cioè una enorme mano con tutte le dita mozzate salvo, per l'appunto, il medio che s'alza dritto verso il cielo.

    “Vado a mangiare”. Alessandro Profumo liquida così i cronisti che lo aspettano pazienti in Piazza Affari. E' così veloce l'uscita dell'amministratore delegato di Unicredit che non c'è neppure il tempo di presentargli Maurizio Cattelan che si agita in piazza per guidare gli operai che finalmente, dopo tante polemiche, hanno avuto l'autorizzazione di montare l'ennesima scultura trasgressiva dell'artista: il “Dito medio”, cioè una enorme mano con tutte le dita mozzate salvo, per l'appunto, il medio che s'alza dritto verso il cielo. Ironia del caso: l'opera, in quella che resta la piazza simbolo della City meneghina, sarà inaugurata giusto venerdì 24, l'indomani del comitato strategico di Unicredit che sembrava decisivo per le sorti di Profumo, il banchiere che, dall'inizio degli anni Novanta, ha guidato la scalata ai vertici della finanza europea. Ma la partita ha avuto un'accelerazione imprevista: oggi, infatti, è in programma un consiglio di amministrazione straordinario convocato in tutta fretta, tanto improvviso quanto decisivo per le sorti di Profumo. Tutto lascia pensare, insomma, che la partita si deciderà ben prima del 30 settembre, data prevista in un primo momento per la resa dei conti. La sensazione, insomma, è che gli avversari del banchiere abbiano deciso di forzare la mano alle colombe, vedi la Fondazione Crt, disposte ad aspettare fino alla prossima primavera per chiedere conto a Profumo dei risultati della sua gestione: “Lo giudicheremo in assemblea“ aveva detto al Corriere Economia il presidente Andrea Comba mentre Fabrizio Palenzona, l'uomo forte in Unicredit che in primavera è stato decisivo per salvare la poltrona di Profumo, lascia capire che stavolta non si spenderà più di tanto per il banchiere anche se lavora per una soluzione meno traumatica. Al contrario, i “falchi”, tra cui spiccano Luigi Maramotti, l'azionista numero uno di Max Mara cui fanno capo altri importanti privati (a partire dal gruppo Pesenti) e, soprattutto, i rappresentanti di Fondazione Cariverona, capitanati in cda dal vicepresidente Luigi Castelletti, sono per una soluzione drastica. Con il consenso, pare, dei consiglieri in arrivo dalla Germania, tra cui spiccano top manager come Hans-Jürgen Bischoff, capocontrollore di Daimler, e lo stesso Theo Waigel, ex ministro delle Finanze.

    L'impressione, insomma, è che sul fronte di piazza Cordusio si possa saldare un'alleanza tra la Baviera e i leader veneti del Carroccio: il sindaco di Verona, Flavio Tosi, e il governatore Luca Zaia, in fiera competizione per il controllo del sistema del credito sul territorio del nord-est, ma entrambi consapevoli che l'occasione è davvero “storica”. Da una parte si può ridimensionare la vocazione “romana” dell'istituto (quasi una provocazione la scelta di allargare i cordoni della borsa per la campagna acquisti del club giallorosso), dall'altra inaugurare un asse con Monaco di Baviera che già fa sognare la Liga. Anche per questo motivo il duello di oggi in Piazza Cordusio ha ormai assunto un peso politico, oltre che finanziario, che va al di là dei confini nazionali. Anzi, della stessa Unione europea. Una vera e propria riedizione, insomma, della finale di Champions League, sponsor Unicredit, tra Profumo, appassionato interista (che non ha lesinato mezzi alla campagna acquisti della Roma con una generosità sospetta) e il presidente Dieter Rampl, banchiere bavarese dai modi semplici che figura nel consiglio di sorveglianza del Bayern Monaco. E stavolta non ci sono dubbi: il Veneto e, forse, il Piemonte tifano per i tedeschi che hanno scelto di giocare all'attacco.

    L'ordine del giorno di domani,
    infatti, lascia adito a pochi dubbi: “Rapporti con il top management”, recita l'avviso firmato dal presidente. Il che equivale a chiedersi, fuori dal linguaggio formale dei consigli di amministrazione, se Profumo poteva, anzi doveva (è questa la sua interpretazione) tenere all'oscuro il suo presidente, il bavarese Dieter Rampl, degli acquisti effettuati dalla Lia, la Lybian Investment Authority, che hanno portato la quota in Unicredit controllata dalla finanza di Gheddafi nel complesso al 7,6 per cento, rafforzando le partecipazioni già detenute dalla Banca centrale di Tripoli (eredità dell'investimento in Capitalia). Ben al di sopra, dunque della partecipazione del primo azionista di casa nostra, la Fondazione Cariverona, che non va oltre il 4,7 per cento. Oppure, come pare pensarla la grande maggioranza dei “soci forti” (fondazioni e singoli privati, italiani e tedeschi senza eccezioni), non è più ammissibile che Profumo gestisca la banca come “cosa sua”, senza accettare di condividere le scelte strategiche se non con i suoi subordinati: ai tempi delle vacche grasse, quando Profumo garantiva quotazioni e dividendi in crescita alle fondazioni, l'opposizione veniva facilmente tacitata. Ma, dallo scoppio della crisi dei subprime in poi, le quotazioni di Unicredit sono scese in Borsa da quota 6,5 euro a meno di due, con un salasso superiore a quello di altri istituti di analoghe dimensioni, dal Santander di Emilio Botín, il leader del settore, alla stessa Intesa che pure non è stata gratificata, come Unicredit, da due aumenti di capitale che oggi permettono alla banca di guardare senza troppi patemi d'animo ai requisiti di Basilea III. Non solo: gli ultimi conti trimestrali dell'istituto, per colpa di un inatteso salasso della filiale in Kazakistan, hanno raffreddato le speranze dei soci in un dividendo di un certo spessore a fine anno: un bel guaio per le fondazioni, da Torino a Treviso, che contano sulla cedola per l'erogazione degli interventi sul territorio. Facile capire, in questa cornice, come si siano raffreddate le simpatie per Profumo. Certo, il banchiere si è già difeso davanti a Rampl sostenendo che non è stato lui a sollecitare l'intervento libico. Non solo. E' tutt'altro che certo, affermano i consulenti mobilitati dallo stesso Profumo, che si possa attribuire al governo di Tripoli il controllo diretto delle due partecipazioni, distinte sul piano giuridico. Infine, le nuove norme sul “market abuse” impongono all'amministratore un assoluto riserbo. Profumo, insomma, avrebbe commesso un reato a rivelare al suo presidente l'esistenza di forti acquisti dalla Libia prima dell'annuncio in Consob. Non si sa se sia stata questa spiegazione a far infuriare herr Rampl, uno che sulla governance non transige. Al di là delle sottigliezze giuridiche, del resto, non è facile sostenere che Lia e Banca centrale libica non siano connesse. E poi, non ci sono solo i libici, che pure hanno già gratificato la banca italiana aprendo loro le porte del mercato locale, con grande arrabbiatura di inglesi e tedeschi. Grazie anche alle quotazioni in saldo, in Piazza Cordusio si sono affacciati altri soci del medio oriente, vedi gli azionisti di Al Aabar, dopo una missione nel Golfo del team di Profumo. Intanto, salgono le partecipazioni in mano ai fondi anglosassoni, tra cui Black-Rock, controllato tra l'altro da Bank of America. Ma che presto potrebbe essere ceduto, magari proprio a soci mediorientali. Ma non è solo, o soprattutto, questione di business.

    Manovre sull'azionariato di questa entità
    in una banca di quel livello, si fa notare, non possono avvenire senza coinvolgere responsabilità politiche ai massimi livelli, del resto previsti da precisi trattati quando si è di fronte a mosse dei fondi sovrani. Per questi motivi le manovre libiche attorno a Unicredit suscitano e continuano a suscitare non pochi sospetti a Monaco di Baviera come a Verona. Certo, Banca d'Italia ha chiesto informazioni a Rampl, già all'oscuro, che dovrà rispondere ai rilievi di via Nazionale. Ma, si domandano i soci veneti, non era il caso di muoversi con altra energia? E perché, almeno finora, non c'è stata una reazione ufficiale del governo? Il rischio, si chiedono alla Fondazione Cariverona, dove da venerdì siede una squadra di sette uomini del Carroccio, è che nella prossima assemblea, quella di primavera, i soci libici e i loro alleati siano in grado di determinare una nuova alleanza.

    Intanto, complice la riorganizzazione dell'istituto, contro cui ha votato in primavera Luigi Castelletti, il rischio è che il credito arrivi a nord est con il contagocce. Insomma, per questi e altri motivi, oggi farà caldo nella sala di consiglio di Unicredit, giusto a fianco di quel ristorante per i manager che l'avvocato Agnelli, per anni consigliere del Credito Italiano, amava al punto di dire che “il Credito è una buona mensa a un passo da uno sportello di banca”. I veterani non escludono pure un finale a sorpresa: Profumo, com'è già avvenuto in altre occasioni, potrebbe giocare d'anticipo e presentare le dimissioni, vista la convocazione di fatto ostile verso di lui da parte di Rampl, consapevole che gli indecisi alla fine potrebbero stare con lui. In passato, la strategia ha funzionato. Stavolta, forse no. Sarà una giornata rovente. E farà caldo pure poco più in là, negli altri salotti della finanza che conta da Piazzetta Cuccia, sede di Mediobanca, alle Generali. Un ribaltone in Unicredit, infatti, avrebbe conseguenze immediate sia nella banca che fu di Enrico Cuccia, di cui la banca guidata da Alessandro Profumo resta l'azionista numero uno. Insomma, non è in gioco solo il controllo di una delle due grandi istituzioni creditizie italiane o, cosa non meno importante, il ruolo delle fondazioni (e, in esse, dei partiti) nell'assetto del sistema bancario italiano. Oggi è in palio un passaggio-chiave nella galassia finanziaria. Ed è per questo che alcuni prevedono che alla fine il ribaltone non ci sarà: Profumo, per indisponente che sia (quando vuole) resta un pezzo da Novanta. E di qui in primavera, se grazie alla ripresa dell'est i conti migliorassero, i soci potrebbero ritrovare il sorriso: in Baviera, nel Veneto, a Tripoli. Chissà.