Arrestate quella cicala

Alessandro Schwed

E'  un peccato che il giorno dopo la notizia sia evaporata. La notte di Ferragosto una signora che soggiornava in un agriturismo dalle parti di Tarquinia ha denunciato alla polizia una cicala che friniva senza sosta, posizionata sul pino di fronte alla finestra di camera sua. Intollerabile per la sua stanchezza, per la sua mente – per un'ignoranza stordita i cui confini sono ignoti. E' probabile che la donna fosse andata in agriturismo alla ricerca della natura, o di quello che lei riteneva essere la natura.

    E' un peccato che il giorno dopo la notizia sia evaporata. La notte di Ferragosto una signora che soggiornava in un agriturismo dalle parti di Tarquinia ha denunciato alla polizia una cicala che friniva senza sosta, posizionata sul pino di fronte alla finestra di camera sua. Intollerabile per la sua stanchezza, per la sua mente – per un'ignoranza stordita i cui confini sono ignoti. E' probabile che la donna fosse andata in agriturismo alla ricerca della natura, o di quello che lei riteneva essere la natura. Non era preparata al canto delle cicale, ma a un'oasi insonorizzata. Denaturata. Le sarebbe stato più semplice sopportare il ciclico passaggio della metropolitana sotto l'impiantito, come a casa sua; vedere alla tv Pino Scotto, quello simpatico del rock che ha perso il controllo e ormai dice solo vaffanculo; addormentarsi al suono dei vicini del piano di sopra che si scannano. Ma non convivere col canto di una cicala, lì, in piena campagna. Non essere in balìa di un insetto che non può neanche essere regolato. Le dispiace venire su in camera mia e spegnere quella cicala? Mi spiace signora, ma la direzione non risponde degli insetti sulle pareti esterne dell'agriturismo. Ah sìì?? Guardi che se non abbassate immediatamente il volume di quell'insetto, chiamo i carabinieri e domattina alle sei faccio arrestare anche il gallo!

    Può succedere di non sapere niente della natura. Basta essere del XXI secolo, vivere in città per tutta la vita, essere cresciuti tra Internet, tv e la convinzione che Avatar esiste. Poi non sappiamo come sia andata a finire fra la donna e la cicala, per esempio se la cosa abbia avuto strascichi legali. Naturalmente, dubitiamo molto che un insetto possa essere giudicato per direttissima, scortato a una casa di pena e rieducato. E' più facile che, senza neanche accorgersene, a fine udienza il giudice lo sopprima con una martellata. Certo, in un'eventuale udienza non ci sono garanzie che poi la cicala si presenti. Intanto, non se ne conosce con certezza il domicilio e la convocazione non è inoltrabile; infine, si ignora se la cicala fosse proprio quella. Tuttavia, il fatto che mi colpisce è che la cicala friniva e la signora non conosceva quel verso. Probabilmente, per avere visto in tv un monologo di Panariello, lei sapeva che cicala è un'espressione toscana che definisce quella tal parte che avete capito. Ma a parte Panariello, la donna dell'agriturismo non sapeva altro, e ora vorremmo farci un'idea di come lei sia vissuta. Da che infanzia provenga e con quali ricordi. Probabilmente, la donna non sapeva neanche descrivere il verso dell'insetto.

    Pronto, Carabinieri, la chiamo da Poggio Stella, Agriturismo “La pentola nei campi”. Dica. Vorrei sporgere denuncia. Vada avanti. Ecco, c'è qui uno che urla sempre la stessa frase… E la disturba? Se no non le telefonavo! Capisco, e dove si trova il disturbatore? Sono quaranta ore che sta di fronte alla mia finestra, non va neanche a dormire… Perfetto, sta da quaranta ore di fronte alla sua finestra e…? Oddio divento pazza! Coraggio signora, sto facendo il verbale, allora sta di fronte alla sua finestra e poi…? Non lo so… mi ipnotizza. La ipnotizza: perfetto… ma è romeno? No. Kossovaro? No. Che è? Non lo so, adesso è lì nel buio che mi fa quel verso, oddio… Sì, e che tipo di verso sarebbe, signora? Un verso che… oddio… vomito!... No, no, mi dica tutto: ora che fa? Mi sta ipnotizzando, ga, ga, ga, ga… Ha detto ga, ga, ga? Ho paura, non so quanto potrò resistere. Ma è nudo? Secondo me sì! E che le fa? Sta lì davanti alla finestra e ga ga ga! Ma mentre è nudo e fa ga, ga, ga, esibisce qualcosa? Esibisce?? Oddio mi sento male! No, signora, resista. Sì, resisto, ga, ga, ga… E mi dica, come le dice ga ga ga? E' lascivo? No… Minaccioso? No… Insolente? No… Potete venire con delle truppe scelte?
    Ore, prima di capire che era una cicala. Ancora oggi si dovrebbe sapere, senza bisogno di studiarlo sui banchi di scuola, che la cicala è un insetto della stagione calda; che ha un antico ruolo nei racconti popolari: canta e si sgola invece di essere previdente come la formica che d'estate lavora. Anche se per me non è così, e la cicala costituisce l'inizio di ogni estate, quando con l'auto arriviamo sul viale accanto alla spiaggia e la luce del sole scende filtrata dalla volta dei pini. Il motore si spegne, usciamo di macchina e ci troviamo nel rombo di milioni di cicale. La sensazione non è di essere arrivati alla spiaggia, ma che l'intera natura sia venuta ad accoglierci. Del resto, è in questa estate torrida che della gente ha protestato per una rana che faceva gra tutta la notte in uno stagno da cui poi è stata spostata. Povera rana che faceva gra allo stagno e i vigili urbani l'hanno presa in una mano guantata e condotta ad una lontana pozza, dove i moscerini sono finiti. Ed è in questa estate che la gente ha protestato un'altra volta per i gabbiani che hanno fatto il nido nel terrazzo della loro infrequentata casa al mare, vuota il resto dell'anno. Infine, è sempre in questa estate che da qualche parte, anche se non c'entra niente con l'argomento, qualcuno ha denunciato un pappagallo perché lo offendeva. Pare che gli animali non rispettino la legge. Certo, denunciare una cicala testimonia non solo lo stato dei nervi, ma una lontananza tragica dalla realtà; una distanza ormai incolmabile dal presente. Così, stanno le cose: in un modo che a molti di noi fa ridere e a molti altri invece scatena il bisogno di ripristinare la legalità e che istrici, pipistrelli, volpi e anche i gatti imparino chi comanda. A quanto pare, succede che con gli animali e gli insetti si agisca con le stesse procedure adottate per gli esseri umani. Uno di questi giorni qualcuno denuncerà un castagno perché la sera smette di fare ombra.

    Si può regolamentare tutto?
    La composizione della società assieme alle farfalle, alle maree, ai gechi che scendono e salgono per i muri senza nessuno che ogni tanto li sanzioni. Si vede che il disordine è grande e quasi nessuno sente di trovarsi nel posto dove credeva di stare. Intanto, la natura non sta al suo posto: vuoi perché siamo entrati in una nuova era glaciale, vuoi perché abbiamo forato l'ozono, i mari sono zeppi di scarti industriali e i delfini fanno la fine che dovrebbero fare i tonni. Anzi, nel caso abbiate osservato una mattanza, i delfini fanno la fine che non dovrebbero fare neanche i tonni. Di sicuro, la nostra esistenza è fuori dal suo centro precedente: una mutazione umana è avvenuta, si chiama computer, che è comodo, utile, semplificatorio, ma ha alterato la percezione del pianeta e della nostra convivenza col pianeta medesimo, convincendoci della possibilità di vivere un'esistenza regolabile. E come noi regoliamo sullo schermo colore, volume, brillantezza di suono e immagine, gli appuntamenti con la cronaca, e poi in casa anche l'aria fresca del condizionatore, gli orari della lavatrice, così crediamo di governare vecchiaia, cellulite, identità, fisionomia, nascita e agonia. Modelliamo i giorni, ma i giorni rimangono quelli e a un tratto presentano il conto. Il fatto è che abbiamo inscenato un'immensa fiction di nomi che eludono non tanto la nostra ignoranza, perché in apparenza saremmo informati come non è mai accaduto, quanto invece modellano i nostri potentissimi condizionamenti. E' la bolla sottile della cosiddetta realtà virtuale che a forza di gonfiarsi è uscita dal teleschermo e fa credere possibile di plasmare la realtà con un clic. Senza che nessuno lo programmasse, una immensa realtà fittizia è entrata in noi ed è diventata noi. Non che la realtà virtuale ci stia comandando in modo subliminale: ci sta comandando l'oblio. Ci domina quello che perdiamo per strada. A un tratto siamo in un mondo basato sulla promessa che c'è tutto quello che ci deve essere nel momento che lo vogliamo. Vuoi la natura? Basta un clic per prenotare. Un Instant World con la natura istantanea da asporto: l'orario del vento, i decibel consentiti alle rane e la sera alle otto le notizie alla tv satellitare, anche se sei in un casolare in mezzo a un altipiano. Quando parlano della personalizzazione del palinsesto, di questo parlano: non di una programmazione televisiva di tv generalista, tv on demand, tv su Internet; ci parlano della possibilità di formare nel dettaglio la realtà di ognuno. Un film-vita di pace, amore, adrenalina. Con il controllo delle e-mail da sopra la stalla e la vista satellitare del pianeta, degli oceani e del podere dove ti trovi proprio adesso – senza la morte, semmai con l'anestesia. Nel frattempo, in silenzio, la vecchia realtà è scivolata dalla finestra ed è spirata. Può anche darsi che urlasse, ma chi l'ha sentita? Stavamo guardando Tele-Manila.
    La signora che ha denunciato la cicala non abita distante da noi. Lei vuole, come ormai molti, la natura regolata. Una natura senza natura.

     Solo quarant'anni fa, e che sono quarant'anni?,
    in Italia, nazione fatta di mille diverse e bellissime campagne, la natura era in un luogo opaco. Dimenticata da generazioni. Distante dal viale dove abitavamo, dal mercato dove mamma andava fare la spesa, dalla piazza dove lavorava babbo, dalla scuola dove studiavamo. Soprattutto, la natura ci era velata dalla nostra abitudine di vivere in città come nella sola realtà esistente, una volta usciti dalla quale non ci sarebbe stato nulla. Semmai, la natura era prendere il treno e andare al mare d'estate. O la corriera, e salire in collina. E durante l'anno, chi voleva vedere come fosse stare tra la natura, doveva guardare le inchieste televisive o un film neorealista, con gli antifascisti nascosti nei casolari anneriti dal fumo, ad addentare un pezzo di pane condito con l'olio. Finché, negli anni Settanta, sparute avanguardie di famiglie in fuga non dalle città quanto dalla vita addossata agli orologi vennero in Toscana a vedere se si potevano cambiare le giornate. Prima annusarono le colline del Chianti, il Chiantishire dove la storica colonia inglese aveva trasformato i poderi in residenze adagiate fra gli ulivi, e tu guarda, le colline erano le stesse aguzze dei quadri di Giotto; poi in cima a un colle c'era un alimentari, si entrava per un panino, una signora diceva la venga, passi, e indicava alle sue spalle. Uno passava e sul retro c'era una corte con la pergola, due tavolini e le tovaglie a scacchi. La signora ti aveva seguito e diceva la si accomodi, uno si accomodava e arrivava un piatto di pappardelle al sugo di lepre, per pane la schiacciata calda, sicché la giornata era fatta. Ma il Chianti era preso dagli inglesi, costava. Allora, le avanguardie in fuga dalle città giunsero alle crete senesi, alla Valdorcia, a Montalcino. Si misero a guardare e a essere guardate. Entravano nei poderi, gli occhi sgranati sul fuoco nel camino. I più ricordati tra loro sono quelli che venivano da Milano, con la loro calata. Erano i più provati ed entusiasti di tutti. Dicevano: guarda, il fuooooco! E' acceeeeso! Il paiooooolo! Che beeeello! E altrettanto accadeva colle vocali di prosciutto, pecorino, e della bombola d'alluminio con dentro il latte: è appena muuuunto! La gente del posto era stupita del loro stupore e i cittadini erano sollevati dalla sopravvivenza effettiva e al tempo stesso mitologica di quel mondo rurale, proprio sotto i loro occhi. Realtà per loro nuovissima, dove per scaldare la casa la gente accendeva il fuoco, teneva l'olio negli orci, il vino nelle botti e non era un racconto del Boccaccio. Ma una realtà che non finiva di presentare profumi, e sguardi all'orizzonte, mentre in città non esisteva la sensazione di uscire dal cerchio dei palazzi.

    A Pienza, a Sant'Angelo in Colle, l'olio fluiva lento e denso, e fu di fronte a questa diversa velocità – così remota dal distributore automatico delle bibite – che la frescura delle cantine ebbe la meglio sulla fantascienza dei frigoriferi. Queste persone che lasciavano Milano, Roma e per piccole somme compravano poderi diroccati, venivano guardate con stupore dai paesani che appena finito di liberarsi del mondo di prima, gettando nel fuoco di cui sopra le vecchie angoliere e le credenze, sostituendole con la sfolgorante presenza delle cucine “americane” dai riposanti ripiani in formica verde da cui i milanesi erano appena fuggiti. Di converso ancora, erano guardati con stupore questi cittadini che spendevano due milioni per un podere col tetto bucato e lo rimettevano a posto andando a cercare le vecchie tegole e le credenze tarlate e le madie gettate. La notizia di un possibile vivere arrivò nelle città, si sparse e la campagna cominciò a popolarsi di una certa quantità di cittadini. Da allora, da quella riscoperta generale della natura, il mondo italiano ha fatto molte capriole, e tra la riscoperta della natura e adesso c'è l'avvento della cultura virtuale, la materializzazione del villaggio globale: la guerra in diretta tv, il terrorismo in diretta tv, la sensazione di avere tutto a portata e senza rischi. Il mondo a un passo. Fino alla bolla fragilissima delle avventure senza avventura e della natura senza natura. Cioè, uno va a passare le vacanze in un agriturismo perché fuori dalla finestra col doppio vetro c'è la natura; ma all'improvviso i fischi del vento smuovono una tegola, i gra dei rospi eludono il controllo umano e gli odori dello stallatico girano anarchici nell'aria.

    A leggere la notizia della donna che denuncia la cicala, c'è la sensazione di essere stati diseredati senza essersene accorti. Eppure, non tanto tempo fa, la notizia della donna che denuncia un insetto sarebbe stata scambiata per un racconto di Achille Campanile: una di quelle storie che rinfrescano e fanno vedere come siamo. Adesso il mondo delle cose ci è entrato nel corpo e siamo ibridati con le cose. Ricordo il 1984 perché non fu un anno qualsiasi: comprai il mio primo pc. All'inizio fu dura, il sistema di scrittura era complicato. Poniamo che tu volessi cancellare una parola, bisognava evidenziarla e fare control q. Se invece desideravi cancellare un rigo, lo evidenziavi in giallino e facevi control y. Per scrivere era necessario tenere a memoria una sorta di tavola algebrica. Uno dei primi giorni del mio apprendistato, mentre ero per strada, mi pare che stessi andando a fare la spesa, ebbi un pensiero sgradevole e ne rimasi infastidito. Volevo cancellare quel pensiero importuno che mi stava rovinando la mattinata. Senza rendermene conto, bisbigliai: “Control y”. Lì, devo avere cominciato a dimenticare qualcosa, ma cosa?
    Comunque, la prima formica che mi viene a passeggiare sulle lenzuola, io la denuncio.