Perché la Premier League non conosce crisi

Francesco Caremani

Dopo un mese e mezzo dalla debacle mondiale contro la Germania la Premier League riapre i battenti e lo fa alla grande: domani, sabato 14, alle 12.45 Tottenham Hotspur-Manchester City, domenica 15 alle 16 Liverpool-Arsenal e lunedì 16 alle 20, per il più classico dei ‘monday night', Manchester United-Newcastle United.

    Dopo un mese e mezzo dalla debacle mondiale contro la Germania la Premier League riapre i battenti e lo fa alla grande: domani, sabato 14, alle 12.45 Tottenham Hotspur-Manchester City, domenica 15 alle 16 Liverpool-Arsenal e lunedì 16 alle 20, per il più classico dei ‘monday night', Manchester United-Newcastle United. Se, infatti, in Francia e in Italia, per ragioni diverse, si parla di anno zero, in Inghilterra, nonostante il 4-1 subito dai nemici di sempre e la mancata vittoria iridata dichiarata ai quattro venti, il football non subisce contraccolpi, della serie: è morto il calcio inglese, viva il calcio inglese.

    Il motivo intrinseco è che, piaccia o meno,
    non esiste più una scuola autoctona e, comunque, in questi ultimi trent'anni, il movimento è cresciuto nonostante i pessimi risultati della Nazionale, per assurdo potremmo dire che i due fenomeni appaiono inversamente proporzionali, anche se in Inghilterra il tifo per Lampard e compagni non conosce crisi. Così come le campagne acquisti del Manchester City che ha speso 115.950.000 milioni di euro incassandone solo 8.500.000 (fonte transfermarkt.de), provenienti dall'Italia: 6 per Bojinov al Parma e 2.5 per Garrido alla Lazio, più altri otto andati via a parametro zero. L'acquisto più oneroso, di tutta la Premier League, è lo spagnolo David Silva, 28.750.000 milioni di euro, altri 28 per Mario Balotelli, 24 per Yaya Touré, 22.7 per Kolarov e 12.5 per Jérome Boateng. Per un passivo di oltre 107 milioni. Ma guai ad abbeverarsi alla favola sciovinista dei ‘ricchi scemi', perché lo sceicco Mansour bin Zayed Al Nahyan è il proprietario, di una squadra di calcio, più liquido del pianeta ma la sua ‘ragione sociale' non è quella di buttare via i petroldollari, così come non lo è mai stata quella di Abramovich o degli altri proprietari stranieri, sempre comunque invisi ai tifosi duri e puri, soprattutto a quelli di Manchester United e Liverpool.

    Proprio i Reds sono una delle società più austere
    (fino ad ora) della campagna acquisti con soli 9.875.000 milioni di euro investiti e 13 incassati, grazie alle cessioni di Riera (Olympiakos, 6 milioni) e Benayoun (Chelsea, 7). La situazione debitoria del Liverpool verso la Royal Bank of Scotland è nota da tempo (285 milioni di sterline) e Roy Hodgson sta facendo di necessità virtù, inserendo anche due Under 18 e andando alla caccia di giocatori come lo juventino Poulsen, utili ma non indispensabili. Ragioni che hanno reso credibile la voce di acquisto del club di Anfield Road da parte dell'uomo d'affari cinese Kenny Huang, patron della Qsl sports, società di investimenti con base a Hong Kong, e rappresentante del fondo governativo China Investment Corporation. Huang potrebbe investire 350 milioni di sterline, appianando i debiti e riportando il Liverppol tra le Fab Four del calcio inglese, ma l'idea che dietro di lui ci possa essere il governo cinese ha allarmato l'intera Inghilterra, unendo due sentimenti storici: sciovinismo e anticomunismo.

    In realtà il Liverpool è appetito anche da Mukesh Ambani,
    proprietario del polo petrolifero Reliance e considerato l'uomo più ricco d'India, oltre a un altro fondo di Hong Kong, la famiglia statunitense Rhone Capital e una ricca famiglia del Kuwait.
    I motivi di tutto questo interesse per le squadre inglesi sono molteplici. Il football, in Inghilterra, è considerato ancora un ottimo investimento, grazie alla sovraesposizione mediatica che la Premier League ha a livello planetario. La possibilità d'investire soldi di cui, inizialmente, è difficile certificare la provenienza (come nel resto del mondo). L'idea di marcare la propria ascesa sociale comprando pezzi di storia di chi un tempo era il padrone dell'Impero e oggi assiste impotente al dominio economico degli ex sudditi. Il club che ha speso di più dopo il City è il Chelsea, 38 milioni di euro, di cui 22 per il centrocampista brasiliano del Benfica Ramires. Non male per chi ha appena azzerato i propri debiti ricomprandoseli sotto forma di azioni.

    Insieme a Manchester United, Arsenal, Tottenham Hotspur, Manchester City e Liverpool lotterà per il 112° titolo inglese in un equilibrio dettato più dai valori tecnici che da quelli economici, sempre in bilico tra ricchezza e povertà. Nonostante i debiti, infatti, la Premier League è il primo campionato al mondo per ricavi totali e anche quello più pagato per i diritti televisivi: 3.538 milioni di euro in tre anni, di cui 1.556 per quelli internazionali, per un totale di 1.179 l'anno (fonte futebolfinance.com). Senza dimenticare che in Italia si possono vedere tutti i match della Premier, mentre in Inghilterra solo alcuni, così anche per questa stagione, a parte qualche piccola flessione, gli stadi saranno pieni.