Il futuro dei giornali è a oriente

Maurizio Stefanini

Il futuro dei giornali è a oriente. Conoscete The Times of India? No? Male: stiamo parlando del quotidiano di lingua inglese più importante del pianeta come numero di lettori. Una tiratura che secondo i dati del 2008 era di 3,183 milioni di copie, contro i 2,986 del Sun, 2,311 del Daily Mail, i 2,293 di Usa Today, i 2,012  del Wall Street Journal, l'1,494 del Daily Mirror, e l'1,038 del New York Times.

    Conoscete The Times of India? No? Male: stiamo parlando del quotidiano di lingua inglese più importante del pianeta come numero di lettori. Una tiratura che secondo i dati del 2008 era di 3,183 milioni di copie, contro i 2,986 del Sun, 2,311 del Daily Mail, i 2,293 di Usa Today, i 2,012  del Wall Street Journal, l'1,494 del Daily Mirror, e l'1,038 del New York Times. Che, tra l'altro, è superato anche da altri  due giornali indiani di lingua inglese: The Hindu, con 1,272 milioni di copie, e l'Hindustan Times, con 1,143 milioni. Ma The Times of India a sua volta è solo ottavo, in una graduatoria che vede ai primi sei posti altrettanti quotidiani giapponesi: primo lo Yomiuri Shimbun , con 14,067 milioni di copie. Appena settimo è il primo di una lingua europea: il tedesco Bild (3,548 milioni). E tra esso e The Times of India c'è poi il cinese Cankao Xiaoxi, con 3,183 milioni.

    Ouest-France, giornale locale che con 789.000 copie è il primo di lingua francese, sta appena al numero 81. La Komsomolskaya Pravda, primo giornale russo con 735.000 copie, è al numero 84. De Telegraaf, il primo olandese con 792.000 copie, è al numero 90. Il polacco Fakt, 686.000 copie, è 95esimo. Mentre Corriere della Sera e Repubblica sono rispettivamente ai numeri 98 (664.000 copie) e 101 (625.000). Nessun giornale di lingua spagnola o portoghese tra i primi 100, ma in compenso ce ne sono ben 76 asiatici: 25 cinesi, 20 indiani, 19 giapponesi, 5 sud-coreani, 4 thailandesi, e uno ciascuno di Indonesia, Pakistan e Turchia.  

    Appunto, questi dati risalgono al 2008: sono quelli raccolti dalla World Association of Newspapers (Wan-Ifra). Nei giorni scorsi la stessa Wan ha tenuto a Roma una Conferenza Internazionale per l'Industria dell'Editoria e della Stampa Quotidiana. Dalle varie relazione emerge appunto che è vero che in occidente i giornali di carta sono in crisi; ma in Asia la loro vendita sta invece aumentando. In particolare in Cina e in India, dove già vengono vendute 350 milioni di copie ogni giorno. “L'ultimo biennio è stato uno dei peggiori dell'editoria giornalistica italiana abbia attraversato dall'ultimo conflitto mondiale”, ha ricordato il presidente della Fieg, che peraltro porta il nome singolarmente appropriato di Carlo Malinconico. Caduta degli introiti pubblicitari: l'incremento dello 0,6 per cento del 2010 viene dopo un calo del 16,4 per cento del 2009. Calo della diffusione: meno 6 per cento nel 2009. “Ma la crisi della stampa non è affatto conclusa e l'analisi delle cause non può essere ricondotta a fattori di mero ordine congiunturale”.

    Colpa di Internet, dunque? In effetti, proprio lo “spostamento a oriente” dell'editoria cartacea di cui parla il segretario dell'Asig Sergio Vitelli dimostra come le cose siano più complicate. È vero che il più 14,20 per cento dei consumi di quotidiani di carta in Africa si ha in una zona arretrata, dove la scoperta del giornale può corrispondere all'arrivo della crescita dei consumi individuali a un livello che da noi c'è già stato decenni fa. Ma, appunto, il più 16,09 per cento di Cina e India si ha invece in Paesi all'avanguardia sul fronte delle nuove tecnologie: la Cina ha la prima popolazione di internauti del pianeta, mentre l'India nella Slicon Valley di Bangalore forma i migliori creatori di software del mondo. D'altra parte, anche negli Stati Uniti il calo nei consumi di carta stampata si è arrestato nei primi mesi del 2010. E lo stesso Malinconico ha rilevato come in realtà con 24,1 milioni di lettori di quotidiani e 32,8 milioni di lettori di periodici l'industria dell'editoria italiana sia tra quelle che hanno retto meglio alla crisi. Quanto all'idea di far pagare i contenuti su Internet come soluzione, i dati resi noti dimostrano invece che dove l'editoria italiana raggiunge livelli record a livelli mondiali è nella diffusione della stampa gratuita: seconda solo alla Spagna, che pure abbiamo ricprdato non avere giornali nella top-100 mondiale.

    Secondo Malinconico, invece, il problema vero sarebbe che il settore ha un costo medio per addetto che è oltre il doppio di quello calcolato da Mediobanca per la media dei comparti produttivi. Insomma, anche qui Cindia si dimostra imbattibile proprio per la propria capacità di offrire una manodopera ad alta qualificazione e a basso prezzo. L'unica differenza: le barriere linguistiche e culturali in genere non rendono possibile delocalizzare anche i giornali come si è fatto per le auto o per le scarpe. Almeno per ora.