L'analisi

Al G20 l'America eccitata dalla crescita sfiderà un'Europa depressa e sospettosa

Paola Peduzzi

Angela Merkel si sente tranquilla, dice che a Toronto, per il G20, ci sarà “una discussione molto rilassata” sulla sua – contrastata – vocazione per l'austerità. Ad agitarsi piuttosto sono gli americani, che hanno mosso l'artiglieria pesante per contrastare la cancelliera tedesca, madrina della nuova moda europea di sistemare i conti senza badare più di tanto alla crescita.

    Angela Merkel si sente tranquilla, dice che a Toronto, per il G20, ci sarà “una discussione molto rilassata” sulla sua – contrastata – vocazione per l'austerità. Ad agitarsi piuttosto sono gli americani, che hanno mosso l'artiglieria pesante per contrastare la cancelliera tedesca, madrina della nuova moda europea di sistemare i conti senza badare più di tanto alla crescita. Il presidente Barack Obama, i suoi pesi massimi dell'economia, Tim Geithner e Larry Summers, persino “l'investitore in chief” George Soros si sono mossi per ricordare all'Unione europea che se non si sostiene la domanda tutto quel che è stato fatto finora – nella fattispecie: gli enormi fondi che l'Amministrazione Obama ha messo a disposizione della ripresa – si rivelerà inutile. Geithner e Summers usano toni istituzionali, sottolineano con enfasi “crescita nel breve periodo”, perché nel lungo periodo – Keynes insegna – saremo tutti morti, ma soprattutto perché saranno passate le elezioni di medio termine negli Stati Uniti e quelle presidenziali saranno alle porte.

    Soros, che è libero di usare i toni che vuole
    , tratta la Germania alla stregua di un'Ucraina in rivoluzione orange, colpevolizza Merkel e sostiene che il crollo dell'euro è la fine del mondo. Detto dal signore che, all'inizio degli anni Novanta, “s'avventò sulla giugulare” della sterlina fino a determinarne il crollo (guadagnandoci molti quattrini) fa un po' sorridere, ma è il segnale di una grande preoccupazione. L'euro basso vanifica gli sforzi americani nel tenere il dollaro giù, che è l'unico modo per aumentare la propria competitività, a vantaggio dell'occupazione – il grande obiettivo in vista del voto di novembre è questo: creare posti di lavoro. E' un rischio che l'America, con il buco di bilancio che ha creato “spendendosi via la crisi”, non può correre.

    Il Monde di ieri pomeriggio scriveva, non senza ragione, che l'Europa arriva al G20 “in una condizione di grande debolezza”: l'austerità è un'arma a doppio taglio se non è sostenuta dalle riforme e se scivola precipitosamente verso l'aumento delle tasse – madre di tutte le tentazioni – e i trend di crescita del Vecchio continente non sono rassicuranti (non lo sono da decenni, a dire il vero). Geithner infierisce: “Al G20 di Londra l'economia statunitense si stava contraendo a un ritmo del sei per cento, ora cresce a un ritmo positivo del tre”. Numeri da sogno, numeri che segnalano un dinamismo, una elasticità strutturale che gli stati-pachiderma d'Europa hanno affossato sotto i loro conti dissestati. Però non c'erano alternative: come ha ben spiegato ieri Alberto Alesina sul Sole 24 Ore, l'Unione europea affronta una crisi di debito, e tale crisi si combatte soltanto riducendo il debito. Quando sembrava che la Spagna avrebbe seguito la Grecia sulla strada del default, Obama si affrettò a chiamare Madrid “consigliando” un piano di tagli poi solertemente adottato dal premier Zapatero.

    Non c'è dubbio che la cura al male europeo
    sia il contenimento del debito, discutibili sono le modalità con cui lo si contiene. Gli Stati Uniti hanno ragione quando dicono che l'austerità può affossare la crescita e che, se non si consuma, la ripresa non si consoliderà facilmente. Il cancelliere dello Scacchiere inglese, George Osborne, nel suo giovane radicalismo, brandendo l'ascia dei tagli al welfare, ha detto chiaramente che nel breve periodo non ci sarà crescita e gli indici sulle aspettative delle aziende europee registrano una preoccupazione simile a quella degli americani. Se ai tagli alla spesa pubblica si aggiunge una forte tassazione e si rimandano le riforme, l'Europa resterà debole e non riuscirà a innescare quel circolo virtuoso che ora i suoi leader promettono. La tassa alle banche, l'aumento dell'Iva e le tante misure adottate o proposte dagli europei non fanno ben sperare.

    Ma anche gli Stati Uniti lanciano accuse in parte stonate. Pretendono che l'Europa non faccia i propri interessi mentre loro fanno i loro e allo stesso tempo rimandano il problema di deficit – problema enorme, ieri i mercati hanno manifestato nuovo nervosismo nei confronti dei debiti sovrani, compreso quello statunitense – confidando in un rilancio scattante e immediato che non è affatto garantito. Come è noto, in questa Amministrazione c'è poca ideologia e molto pragmatismo, si guarda alla necessità del momento e su quella si agisce. Al G20 magari ci sarà tranquillità, non certo coordinamento. Business as usual, diranno gli americani.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi