Note a margine di un'iniziativa culturale dell'Inps

L'E42 non si fece mai, ma ci ha lasciato più cose di ogni altra Expo

Sandro Fusina

Numero 11, del 21 ottobre 1942, di Civiltà, la magnifica rivista della Esposizione universale di Roma. Il comitato  di direzione è composto da Valentino Bompiani, editore, Emilio Cecchi, scrittore, ed Efisio Oppo, pittore. Presidente è Luigi Federzoni, senatore e anche presidente dell'Accademia d'Italia e dell'Istituto dell'enciclopedia italiana. Illustrato da magnifiche fotografie di rose e altri fiori, vi si legge un lungo articolo sui giardini all'Esposizione.

    Numero 11, del 21 ottobre 1942, di Civiltà, la magnifica rivista della Esposizione universale di Roma. Il comitato di direzione è composto da Valentino Bompiani, editore, Emilio Cecchi, scrittore, ed Efisio Oppo, pittore. Presidente è Luigi Federzoni, senatore e anche presidente dell'Accademia d'Italia e dell'Istituto dell'enciclopedia italiana. Illustrato da magnifiche fotografie di rose e altri fiori, vi si legge un lungo articolo sui giardini all'Esposizione. E' l'ultimo numero della rivista, il dodici non uscirà. La guerra non si è conclusa con la rapidità e con l'esito annunciati. E' svanita la prospettiva di inaugurare quella esposizione universale che è stata concepita e progettata come risposta dell'Italia imperiale e fascista alle grandi esposizioni di Parigi del '37 e di New York del '39.

    I giardini non sono stati solo disegnati e tracciati, ma sono stati anche piantumati e arredati di ceppi di rosa. E' stato l'odio per i fiori, la noncuranza o la necessità a consigliare di piantarvi nidi di mitragliatrici nei giorni concitati dell'insurrezione? Alla fine della guerra dei giardini non rimane granché. Restano invece, anche se smozzicati, molti degli edifici che nel 1942 erano già costruiti, quasi pronti ad accogliere l'esposizione.
    Per una sorta di paradosso l'E42, l'esposizione che non ci fu, ha lasciato molte più cose di qualunque altra edizione della storia delle esposizioni universali. Ha lasciato la griglia e gli edifici cardine di un quartiere tracciato in una zona dove prima c'era solo una campagna che, a giudicare dalle fotografie d'epoca, non era prospera né ridente. Sulla scelta dell'area e sulla concezione dell'impianto ci furono le inevitabili polemiche e gli inevitabili contrasti di visione e di interessi che caratterizzano il percorso progettuale di ogni fiera. Ma la filosofia di fondo era condivisa fino dall'inizio.

    L'Esposizione non doveva essere effimera
    , durare solo i mesi della manifestazione, ma doveva essere il nucleo di un nuovo insediamento urbano che esprimesse la vocazione imperiale e moderna dello stato fascista. I padiglioni non sarebbero stati di legno e di stucco, grandi e pomposi baracconi da fiera, destinati a scomparire senza lasciare tracce; sarebbero stati invece edifici solidi, palazzi veri e propri, costruiti con i materiali più nobili e più duraturi. L'architettura italiana viveva in quegli anni una delle sue stagioni più felici. Parteciparono e vinsero il concorso per i diversi edifici i nomi più prestigiosi della professione. Al progetto di due giovani ma già affermati professionisti romani, Mario Paniconi e Giulio Pediconi, guidati da quello che può essere considerato l'interprete più efficace del classicismo degli anni Trenta, l'architetto milanese Giovanni Muzio, fu affidata la realizzazione della piazza delle Esedre e la Porta imperiale e i due edifici di qua e di là della piazza, finanziati quello a est dall'Ina e quello a ovest dall'Infps. Per il momento le costruzioni erano destinate alle esposizioni. La destinazione finale si sarebbe decisa in seguito.

    L'edificio dell'Infps fu coerentemente pensato per la Mostra della previdenza
    . Fu il pittore Efisio Oppo, arbitro onnipotente delle scelte estetiche dell'E42, ad avere l'ultima parola sulla decorazioni. Nel 1941 vennero realizzati i bassorilievi dei due edifici. Quelli dell'Infps furono firmati da Mirko Basaldella e da Giuseppe Marzullo. Quando furono interrotti, per ovvie ragioni di forza maggiore, i lavori erano a buon punto. Nel 1943 l'Istituto nazionale di previdenza sociale perse la effe che nella sigla stava per fascista e diventò Inps. Nell'immediato Dopoguerra i grandi ambienti monumentali furono popolati dai senzatetto. L'Eur sembrava una città morta ancor prima di nascere. I costosi palazzi, smozzicati e malandati sembravano destinati a essere abbattuti. Poi, grazie in gran parte all'iniziativa del commissario dell'Eur Virgilio Testa, che ai tempi del progetto dell'E42 era segretario del comune di Roma, tutto è tornato a vivere.
    Sabato 23 e domenica 24 l'Inps invita il pubblico a visitare il palazzo di Muzio, Paniconi e Pediconi. In mostra ci sono le opere d'arte poco note della collezione dell'istituto, soprattutto della Scuola romana.