Ottant'anni a guardare il cielo

Sandro Fusina

Il primo marzo 1930 Ulrico Hoepli ringraziava tutte le persone che avrebbero dovuto ringraziarlo per avere donato all'Italia uno dei planetari più importanti del mondo. Un planetario che con i suoi venti metri di diametro della volta e i suoi trecentocinquanta posti in sala faceva sembrare poco più di un giocattolo il planetario voluto da Benito Mussolini a Roma (l'immagine è tratta dal sito del Planetario).

    Come si addice alle persone cortesi, mentre faceva un regalo ringraziava. Nell'ordine inverso, ringraziava la ditta tedesca Zeiss che aveva realizzato l'apparecchio di proiezione. Ringraziava l'impresa che aveva costruito l'edificio. Ringraziava l'architetto E. Ernst che aveva curato “l'organamento tecnico e i servizi sussidiari” . Ringraziava l'ormai celebre Piero Portaluppi per aver ideato e disegnato con “classica eleganza l'architettura del fabbricato”. Ringraziava il direttore dell'osservatorio di Brera che avrebbe diretto l'istituzione. Ringraziava, senza fare nomi, il podestà e le autorità municipali di Milano, che avevano concesso la sede ai Giardini pubblici. Ringraziava, senza citarne la carica, S.E. l'onorevole Benito Mussolini che, “promovendo l'istituzione del Planetario a Roma”, aveva promosso in lui la prima idea del planetario milanese.

    Il primo marzo 1930 Ulrico Hoepli ringraziava tutte le persone che avrebbero dovuto ringraziarlo per avere donato all'Italia uno dei planetari più importanti del mondo. Un planetario che con i suoi venti metri di diametro della volta e i suoi trecentocinquanta posti in sala faceva sembrare poco più di un giocattolo il planetario voluto da Benito Mussolini a Roma.

    Ulrico Hoepli, svizzero, non fu l'unico libraio straniero che cercò di colmare il mercato librario italiano (basta ricordare nomi come Olschki e Loescher) ma fu il più importante. Non tanto perché riuscì a diventare l'editore tipografo preferito dall'Accademia dei Lincei, non solo perché fu l'editore del monumentale “Corpus nummorum italicorum”, il corpus delle monete italiane, a cui sua maestà Vittorio Emanuele III dedicò quelle energie che forse avrebbe potuto risparmiare per gli affari di stato, ma soprattutto perché riuscì ad aprire librerie in tutt'Italia (famosa quella di Roma, diventata negli anni Sessanta Rizzoli) e perché avviò con i suoi manuali (alcuni titoli continuano a essere ristampati senza modifiche) un'enciclopedia approfondita e insostituibile, capace di saltare, a grande livello specialistico e con un linguaggio spesso cordiale, dalla grammatica del sanscrito all'allevamento dei suini, passando per l'edizione critica della Divina Commedia.

    Centomila visitatori all'anno
    Ma la sua opera di maggior successo fu il Planetario di Milano. Gli costò molti dei quattrini che aveva accumulato nella sua vita laboriosa ma ne valse la pena. Se in ottantadue edizioni il “Manuale dell'ingegnere” ha venduto centocinquantamila copie, il Planetario, gestito solo da quattro persone, compreso il direttore, un valente astrofisico, stacca ancora centomila biglietti all'anno. Con l'inquinamento luminoso, ormai è solo al Planetario che si possono osservare il cielo e i suoi movimenti. Grazie al proiettore Zeiss, che è stato sostituito all'originale nel 1968, la profondità dell'immagine è ancora ottima. Un videoproiettore potrebbe espandere le possibilità. Si potrebbe per esempio cambiare il punto di vista e mostrare il cielo come si vede da una stella lontana. Ma i videoproiettori non sono in grado di rendere la qualità d'immagine del vecchio Zeiss.
    Però le macchine si deteriorano. Il vecchio proiettore va cambiato, come va cambiata la cupola di alluminio. Per la bisogna erano stati accantonati gli otto milioni di euro necessari. Erano stati accantonati, ma non stanziati. Ora c'è chi dice che andrebbero destinati a opere di maggior valore estetico e culturale. Come se ci fosse qualcosa di più bello e di più profondo del cielo (l'immagine è tratta dal sito del Planetario).