Comunque vadano non sarà la fine del mondo, né del Pdl

Che succede dopo le regionali? Niente, anzi: tre anni di governo del Cav.

Angelo Mellone

Oggi che si fa l'adunata del Pdl sotto il garrire delle bandiere e della musica e del comizio del Cav. imbufalito in nome dell'amore, non è necessario scomodare il Toynbee de “Il racconto dell'uomo” per assodare che, se anche l'uomo più potente del pianeta, bossianamente parlando, è pur sempre una scoreggia nello spazio, queste elezioni regionali e il loro teatrino di ultimatum non sono certo la fine del mondo e neppure il loro antipasto. Anzi, la vista paradisiaca e quieta di un triennio senza elezioni, dovrebbe ben persuadere chiunque che prima si chiude la pratica di questa campagna elettorale meglio è per tutti.

    Oggi che si fa l'adunata del Pdl sotto il garrire delle bandiere e della musica e del comizio del Cav. imbufalito in nome dell'amore, non è necessario scomodare il Toynbee de “Il racconto dell'uomo” per assodare che, se anche l'uomo più potente del pianeta, bossianamente parlando, è pur sempre una scoreggia nello spazio, queste elezioni regionali e il loro teatrino di ultimatum non sono certo la fine del mondo e neppure il loro antipasto. Anzi, la vista paradisiaca e quieta di un triennio senza elezioni, senza liste da presentare e senza Milioni da cazziare o martirizzare alla bisogna, dovrebbe ben persuadere chiunque che prima si chiude la pratica di questa campagna elettorale così sgangherata da apparire uno screzio del destino, meglio è per tutti. Arriveranno tre anni in cui il Cav. potrà finalmente apparecchiare il tavolo delle riforme senza rogne e senza alibi, il Pdl potrà decidersi se farsi finalmente partito o organizzare in tutta calma il proprio suicidio assistito, e l'opposizione potrà pensare a come rimettersi in forze dopo anni di debilitazione democraticamente infausta. Così la storiella che il Cav. dovrebbe dimettersi se non conquista qualche regione chiave pare una barzelletta, col solo inconveniente d'essere molto diffusa sia tra i nemici sia tra gli amici più impazienti, o una profezia incapace di autoavverarsi per manifesta illogicità.

    Ma come, pensa il signor Mario che magari oggi sta a San Giovanni con la signora Luisa, il figlio maggiorenne, il cane, la bandiera di partito e la digitale pronta per le foto ricordo, perché mai il Cav. che ha la maggioranza più ampia e solida della storia repubblicana dovrebbe farsi tentare nuovamente dalla discesa negli inferi delle urne e del tritacarne mediatico-giudiziario, e contro chi non è dato saperlo, a meno di non dare credito al manipolo dei più scalpitanti che vorrebbe ridurre al silenzio ogni opzione critica dentro il Pdl. Poi possiamo alambiccarci a piacere e allenare la fantasia politica ai retroscena più intricati e alle complesse meccaniche azzurrine, resta intatto il motto che tutto lo stato maggiore del centrodestra dovrebbe scolpire nelle proprie dichiarazioni: se vinciamo, meglio, sennò pazienza, conviveremo con le bizze della conferenza stato-regioni. Sarkozy si appresta a prendere una sveglia storica al secondo turno delle elezioni regionali francesi e neppure ci pensa a dimettersi, nonostante il fuoco amico dei Copé che gli pizzica il superego, e la sinistra unita con percentuali al di sopra del 50 per cento dei voti. Tremendissimo scenario che in Italia neppure è fantasticabile.

    Anche nel caso di una leggera flessione,
    e nonostante l'assenza dei voti pesanti del territorio romano, il Pdl resterà il primo partito, liquido e litigioso ma pur sempre primo, semmai bisognoso di essere organizzativamente resettato e rassettato. Il Cav. e Fini hanno inciso nel codice genetico del loro percorso politico il destino alla coabitazione, e neppure i berluscones estremisti immaginano davvero un Pdl “per sottrazione”, deprivato della sua componente finiana. La Lega, che si prepara a fare caccia grossa di suffragi e poltronissime, ha tutto l'interesse a tenere in forze sia il governo sia la triangolazione istituzionale con Napolitano e anche Fini, in nome dell'interesse superiore alla riforma federale. Dal canto suo, il Partito democratico potrà vantare al massimo vittorie non sue, appresso a candidati subìti più che scelti, come nel caso della Puglia vendoliana e del Lazio dove la Bonino ha consensi per sperare. Si dovesse andare al voto, il Pd, delle cui continue risse interne si parla poco perché frega poco data la loro sostanziale irrilevanza politica, calerebbe nell'arena elettorale molto più debole che nell'era veltroniana, infilzato da Di Pietro, ricattato dal popolo viola, magari insidiato da una possibile resipiscenza della sinistra radicale. In queste condizioni, conclusi i doveri della caciara elettorale, nessuno ha davvero interesse a precipitare la situazione in qualche buco nero: appunto, il 30 marzo non è la fine del mondo e nemmeno il suo antipasto.