Oscar Giannino ci spiega perché lo Zecchino d'Oro non può chiudere

Maurizio Stefanini

Scoppia il caso dell'esclusione di Cino Tortorella, lo storico Mago Zurlì, dall'edizione di quest'anno dello Zecchino d'Oro. “Sì, c'ero anch'io. Ho cantato anch'io allo Zecchino d'Oro, in un'epoca in cui quel programma era un punto di riferimento assoluto per chi era bambino in quei primi anni del boom. Era una passione straordinaria, che accomunava tutti attorno al vestitino da mago di Cino Tortorella, a Mariele Ventre e al passerotto dal fiocco rosso”. A parlare è Oscar Giannino.

    “Sì, c'ero anch'io. Ho cantato anch'io allo Zecchino d'Oro, in un'epoca in cui quel programma era un punto di riferimento assoluto per chi era bambino in quei primi anni del boom. Era una passione straordinaria, che accomunava tutti attorno al vestitino da mago di Cino Tortorella, a Mariele Ventre e al passerotto dal fiocco rosso”. A parlare è Oscar Giannino. Scoppia il caso dell'esclusione di Cino Tortorella, lo storico Mago Zurlì, dall'edizione di quest'anno dello Zecchino d'Oro; la Cisl lancia l'allarme e una campagna, per il rischio che in seguito al taglio dei fondi questa edizione del mezzo secolo sia anche l'ultima; e così per salvare una trasmissione che ha fatto la storia della tv e del costume si muove ora anche il ministro per l'Attuazione del programma di Governo Gianfranco Rotondi. “Come ministro, come papà di due bambine che lo Zecchino d'Oro non se lo perdono mai e come italiano che con quell'evento è cresciuto”. 

    Ma nell'attesa che la situazione si risolva, il Foglio riporta la testimonianza di un suo autorevole ex-redattore, che prima di diventare una colonna del giornalismo economico italiano, e anche prima della sua precedente carriere di dirigente del Pri, nella prima metà degli anni '60 dello Zecchino d'Oro fu un giovanissimo concorrente. Anche se il suo nome nell'albo d'oro non lo troverete perché, per ragioni familiari, partecipò con le generalità di un altro parente. E per confidarsi pone anche la condizione di poter non indicare né quel suo pseudonimo, né la canzone interpretata, né il piazzamento. “Non vorrei che Dagospia o qualcuno del genere ne facesse un tormentone”.

    Malgrado questa preoccupazione, però non c'è imbarazzo nel racconto. “Era un processo di selezione a livello di base che aveva carattere veramente nazionale, e che cominciava a inculcare a bambini ancora molto piccoli valori di merito ben distinti dal velinismo di oggi. Io, che frequentavo un oratorio dei Salesiani, mi ricordo una manifestazione interminabile in cui il bambini dovevano cantare allo sbaraglio per tutto un sabato. Una tensione lunghissima, in cui il merito era anteposto a tutto. Per arrivare all'Antoniano contava la capacità interpretativa, contava un minimo di intonazione, ma ancora più importante era il riuscire a dar voce ai diversi caratteri dell'universo dell'infanzia di un paese che iniziava a sentirsi uno. Era un grande programma non demagogico per rappresentare anche nei difetti di pronuncia e nelle calate dialettali un'immagine delle diverse culture del paese, che era presente fin nelle selezioni dal basso con attenzione quasi antropologica. E per i bambini, appunto, era l'occasione per misurarsi fuori dai contesti scolastico e familiare con un criterio di merito, fin dalla più infantile delle esperienze”.

    Sembra quasi la descrizione di uno strumento di ideologia risorgimentale, più che cattolica. Deamicisiano nel senso originale del termine… “Proprio così. Posso dirlo in maniera particolare io, che venivo da una città come Torino, che di quel'ideologia era impregnata. L'oratorio salesiano che io frequentavo era di fronte alla Fiat, costruito con gli stessi mattoni rossi della Fiat, ed era stato costruito in un pezzo di quei terreni agricoli che gli Agnelli avevano fatto destinare a altro uso quando avevano dovuto fare Fiat Mirafiori: un pezzetto che era stato dato a suore e salesiani, quasi per riscattare tutta quell'operazione. Virginia Agnelli, si chiamava. Conviveva col Nido della Fiat, frequentato da gente che aveva scritto ‘Fiat' sul grembiulino. Assieme c'erano poi la scuola elementare e l'istituto tecnico industriale. Si attraversava la strada, e si entrava a lavorare alla Fiat. Lo Zecchino d'Oro diventava un modo per dimostrarci che non eravamo fatalmente condannati a questo destino: di diventare per forza operai alla catena di montaggio della Fiat”.

    Qualche altro ricordo? “Potei partecipare alle selezioni solo impuntandomi. Mi presentai alle selezioni con una canzone di Gianni Morandi. Una cosa che ricordo pure è che per partecipare alle selezioni bisognava impegnarsi ad acquistare un'enciclopedia per ragazzi molto diffusa all'epoca: "Conoscere". Ma ricordo soprattutto Mariele Ventre: bravissima, straordinaria. Una dedizione veramente infinita nell'inculcare la musica anche nel meno musicofilo dei bambini, fino ad ottenere risultati strepitosi”. 
    E com'è che ora lo Zecchino d'Oro è a rischio di chiusura? “L'Italia di oggi è molto diversa, e probabilmente è fin dagli anni Ottanta che si è persa la cifra di quell'intuizione geniale. Probabilmente è stata dannosa anche l'internazionalizzazione esasperata. Ma senza più quel tipo di Italia da rappresentare è pure vero che senza i concorrenti stranieri sarebbe degenerata in un banale concorso per giovani cantanti”.