Fra Cina e Russia è solo un flirt, per ora niente amore

Carlo Stagnaro

Cina e Russia stringono i legami commerciali, ma sul gas l'amore non  scoppia. L'incontro di ieri a Pechino tra il premier russo, Vladimir Putin, e il suo collega cinese, Wen Jiabao, chiude una lunga polemica tra il Cremlino, irritato per il contrabbando e le contraffazioni da parte dell'ex Impero Celeste, e il paese della Grande Muraglia, a sua volta infastidito dal bullismo di Mosca.

    Cina e Russia stringono i legami commerciali, ma sul gas l'amore non  scoppia. L'incontro di ieri a Pechino tra il premier russo, Vladimir Putin, e il suo collega cinese, Wen Jiabao, chiude una lunga polemica tra il Cremlino, irritato per il contrabbando e le contraffazioni da parte dell'ex Impero Celeste, e il paese della Grande Muraglia, a sua volta infastidito dal bullismo di Mosca. Quello che divide è evidentemente inferiore a quello che unisce, comunque, se è vero che i due leader hanno stretto un'alleanza  che pone le basi perché Pechino soddisfi la sua fame di energia, e Mosca il suo bisogno di investimenti stranieri. “La Cina sta lavorando con la Russia  per rafforzare i legami bilaterali – ha detto Wen – e lanceranno grandi  progetti nel petrolio, nel gas e nell'energia nucleare”. Sono stati firmati  contratti per un valore complessivo di circa 3,5 miliardi di dollari, di cui quasi la metà prestiti cinesi alle banche russe.

    Sotto l'entusiasmo, però, restano le incomprensioni. Una riguarda la decisione, da tempo accarezzata ma sempre rimandata, di  adottare lo yuan (o, al limite, il rublo) in alternativa al dollaro e l'euro nella gestione degli scambi, allo scopo anche di creare una nuova moneta  regionale. Ma questa è politica. Quanto alla sostanza, cioè il gas, si  sarebbe raggiunto un accordo di massima sui volumi – le indiscrezioni  parlano di una fornitura da 70 miliardi di metri cubi all'anno, quasi quanto l'intero consumo italiano – ma è sui prezzi che non si è ancora trovata un'intesa. I russi, ovviamente, spingono su livelli più alti, forti delle  previsioni post-crisi secondo cui, quando la domanda riprenderà, i mercati  potrebbero tornare in tensione. I cinesi rispondono che l'impatto della  recessione è profondo, e apre una lunga stagione di sovraproduzione che  necessariamente si rifletterà nei prezzi.

    A complicare lo scenario, arrivano  le opposte indicazioni del numero due di Putin, Igor Sechin, secondo cui si  è messo “nero su bianco esattamente quando verrà firmato il contratto e  quando cominceranno le forniture”; e di Jiang Jiemin, capo della China  National Petroleum Corporation (Cnpc, la longa manus di Pechino nell'upstream petrolifero all'estero), che ha smentito tutto. L'incertezza sottostante all'accordo non è, del resto, una novità: è almeno  dal 2002 che le due nazioni si corteggiano, senza riuscire a convolare a  giuste nozze: pareva che nel 2006 l'aria cambiasse, ma infine non se ne è  fatto nulla neppure allora. La causa è la medesima di oggi: l'impossibilità  di trovare un arrangiamento su volumi e prezzi. In questa fase, secondo  molti osservatori la controparte più debole è proprio il Cremlino, anche  perché la Cina si è mossa in giro per il mondo per siglare contratti di approvvigionamento dovunque vi fosse lo spazio: solo nel 2008, ha firmato  contratti di lungo termine per l'importazione di gas liquefatto con paesi  produttori (come Australia e Qatar) e imprese private (Exxon, Shell e  Total).

    A dicembre, infine, il Turkmenistan inizierà a pompare gas nel tubo da 7000 chilometri che lo collega a Pechino, che a regime dovrebbe trasportarne 40 miliardi di metri cubi all'anno. E' forte, dunque, la  sensazione che si sia ancora fermi al palo, come ha confidato un dirigente di Cnpc all'agenzia Reuters: “Sospetto che si tratterà solo di un tentativo di inizio, anzi ché un solido accordo. Un vero contratto richiederebbe un sacco di lavori preparatori dei quali saremmo stati messi a conoscenza”.  Gli europei dovrebbero guardare con preoccupazione a questi sviluppi? Al momento, no. Non solo perché non si è ancora mosso nulla. Soprattutto, la  realizzazione di pipelines e lo sviluppo di giacimenti sono investimenti  enormi, che per ripagarsi richiedono il pieno utilizzo della capacità  disponibile. Non c'è ragione che, per sostenere la domanda cinese, i russi  rinuncino a far quattrini con quella europea. Semmai, essi hanno l'esigenza  di aumentare la produzione nazionale: per questo Putin sta cercando di  limare l'immagine della Russia come paese inospitale per gli stranieri.