Intervista a Egon Krenz

Voleva rifugiarsi sotto il patto di Varsavia

Andrea Affaticati

“Sono veramente orgoglioso che l'Fdj, l'organizzazione giovanile della Ddr, abbia allevato un futuro cancelliere della Repubblica Tedesca” così diceva ieri Egon Krenz, erede per cinquanta giorni di Erich Honecker, capo della Sed, il partito unico della Ddr al nutrito gruppo di corrispondenti accorsi alla stampa estera di Berlino. Krenz è un irriducibile.

    “Sono veramente orgoglioso che l'Fdj, l'organizzazione giovanile della Ddr, abbia allevato un futuro cancelliere della Repubblica Tedesca” così diceva ieri Egon Krenz, erede per cinquanta giorni di Erich Honecker, capo della Sed, il partito unico della Ddr al nutrito gruppo di corrispondenti accorsi alla stampa estera di Berlino. Krenz è un irriducibile. Condannato a sei anni e mezzo di carcere nel 1997 (dei quali due condonati), per complicità negli omicidi di chi cercava di scavalcare il Muro di Berlino, ieri ricordava che “non ho accettato nessun patteggiamento. Io non mi piego”. Orgoglioso dei frutti della Fdj, non del Merkel pensiero.

    Ancora non si da pace per il fatto che “con il 9 novembre del '89 è naufragato il mio sogno”, il sogno di poter riformare la Ddr dall'interno. Domenica voterà la Linke. Una notizia per la quale Oskar Lafontaine forse non esulta più di tanto. Ai tempi del Muro si sentivano spesso e ora si dice sia subentrato il gelo tra di loro. Così alla domanda del Foglio se sente ancora Lafontaine, Krenz svicola: “Seguo attentamente quel che fa Lafontaine, quando ci incontriamo non ci evitiamo”, poi però ammette: “No, non si è ancora fatto avanti per una vacanza sul Mar Baltico da me”.  Krenz ci tiene a mettere i puntini sulla "i" della Storia, del suo sforzo personale per evitare qualsiasi spargimento la notte del 9 novembre: “Il vero pericolo allora era una guerra civile e anche un confronto armato tra le due Germanie. Voi parlate tutti della Caduta del Muro. Ma il Muro non è caduto, l'abbiamo aperto. Ed è merito della preparazione umanistica dei nostri soldati alla frontiera se quella notte non c'è stato spargimento di sangue”.

    Certo la Ddr, avrebbe dovuto reagire più prontamente alle richieste della piazza. “All'inizio”, racconta Krenz “i manifestanti di Lipsia e Dresda scandivano lo slogan ‘noi restiamo qui', non fuggiamo, ma voi avviate le riforme. Ma non essendoci stata reazione dai vertici della Sed allora iniziarono a ripetere ‘Siamo noi il popolo'. Abbiamo sbagliato, è vero, ma oggi sento gente che rassegnata dice: ‘Noi eravamo il popolo'”.