Il crematorio di Viareggio

Redazione

“Il fuoco era alto, è arrivato sopra le macchine, nelle case, faceva pressione sulle finestre e entrava dentro gli appartamenti”. È un racconto collettivo

Se non fosse per la vampa di fine giugno che sale dalla massicciata ferroviaria e affatica i carabinieri sotto la visiera, in questi cinquecento metri solitari di Viareggio sembrerebbe già arrivato l’autunno. La luce è debole, gli alberi sono rimasti senza foglie, spogliati dall’onda d’urto, l’ovale davanti alla stazione rosa è deserto, le facciate delle case sono serrate, si vedono soltanto poche persone ferme agli angoli, e sono deserti anche i tavolini dei bar. E’ la zona perimetrata dopo la strage di lunedì notte. Quattordici morti, tre dispersi, quindici feriti gravissimi, una fila di veicoli bruciati, un treno carico di micidiale gpl mezzo deragliato, due edifici rasi al suolo, gli altri anneriti, soprattutto attorno alle finestre. L’estate è invece appena fuori, attorno all’area presidiata dalla polizia, tutti i curiosi si affacciano alle transenne in costume da bagno, lontano dalla bolla di isolamento del dopobomba che chiude la stazione.

 

Ancora più lontano il traffico scorre più caotico del solito, perché le strade di tutti i giorni sono bloccate. Dentro la bolla, molto oltre i picchetti dei carabinieri, una squadra speciale di tecnici dei vigili del fuoco fatta arrivare da Venezia ha prima raffreddato e poi svuotato con calma le cisterne superstiti del convoglio, piene di gas di petrolio liquefatto. Gas allo stato liquido, un modo economico per trasportarne tanto in poco spazio. Ma se qualcosa va storto: “E’ stato come un atto terroristico”, dicono gli abitanti delle vie a ridosso della stazione. Viene da pensare che cosa sarebbe successo se fossero esplose tutte: quando sgombrano i binari sfilano piano davanti alla gente, oblunghe e affumicate. La notte della strage, per prima è arrivata l’onda gelida del gas liquefatto che usciva in pressione dalla cisterna. Il gpl infiammabile si volatilizza rapidamente, assorbe il calore dell’aria e ghiaccia tutte le superfici, diventa una nuvola lattiginosa troppo pesante per alzarsi e disperdersi, satura l’ambiente. Poi è arrivato “il muro di fuoco”. Gli abitanti di via Ponchielli lo descrivono così, alto, più dei tetti delle case, e compatto. “Sono state le scintille del treno deragliato a innescare la fiammata, quello sfregamento di metallo contro metallo per duecento metri, era inevitabile. Il fuoco era alto, è arrivato sopra le macchine, nelle case, faceva pressione sulle finestre e entrava dentro gli appartamenti”. È un racconto collettivo. Chi non è tra le voci principali aggiunge dettagli, chi non parla annuisce.

 

“C’erano due treni passeggeri in arrivo nei minuti immediatamente successivi all’incidente – ha detto ieri il consigliere regionale della Toscana Marco Montemagni – un Intercity proveniente da Roma e un regionale diretto a Firenze. Solo grazie alla velocità del capostazione i due treni sono stati bloccati”. I due macchinisti che guidavano il convoglio merci sono sotto choc. Non hanno parlato con i giornalisti, anche se sono già stati ascoltati dal magistrato e hanno raccontato che cosa è successo ai loro colleghi. Anche loro ricordano i due momenti separati del disastro, quello preparatorio – “quando siamo scesi dalla motrice, dopo la frenata, camminavamo nel gpl, siamo scappati a rintanarci dietro un muretto – e gli scoppi. Hanno detto di aver sentito uno strattone al merci, di essersi affacciati e di aver visto la prima cisterna “fuori sagoma”: stava correndo fuori dai binari. Hanno frenato, la locomotiva si è staccata, loro hanno avuto il tempo di afferrare i documenti di viaggio e di fuggire. Mentre davano l’allarme, il fuoco. I condomini che danno sulla massicciata e sul via vai ferroviario non sono la zona più ambita di Viareggio. Chi ha i soldi sta sul lungomare, oppure più in centro, o al lido. Fatalmente tra questi morti di Viareggio ci sono stranieri. Quattro s’erano fermati a mangiare all’aperto sotto un gazebo, e sono stati investiti in pieno.

 

Hamza era un marocchino di 17 anni, giocava a calcio qui vicino nella squadra giovanile di Camaiore. Ha girato per casa per trovare la sorellina, l’ha spinta in salvo, poi è svenuto per il fumo ed è rimasto nella casa che bruciava. Una bambina straniera di tre anni ora è ricoverata all’ospedale Bambin Gesù di Roma, senza i suoi genitori, con ustioni sul novanta per cento del corpo. Una coppia ha capito il disastro in arrivo, ha preso un figlio e l’ha portato in macchina, è tornata indietro per prendere l’altro, la nuvola ardente li ha uccisi tutti. Poco lontano il calore ha imbiancato i resti di cinque macchine e ha ripulito anche i mozzi delle ruote dalla gomma dei pneumatici. Secondo le prime verifiche tecniche, il disastro è stato causato dalla rottura dell’asse del primo carrello. Il vagone appartiene a una società privata americana con sede europea a Vienna, la Gatax Rail Austria. I sindacati dei ferrovieri accusano: “Questo tipo di rottura del carrello è diventato un incidente frequente, per colpa dalla cattiva manutenzione, ma finora non s’è fatto nulla perché le conseguenze fortunatamente non sono mai state così catastrofiche”. Eppure il via libera alla circolazione di quel carrello è stato dato tre mesi fa dall’Agenzia per la sicurezza ferroviaria tedesca. Immatricolato e revisionato il 2 marzo 2009. Il ministro dei Trasporti Altero Matteoli ha nominato una commissione d’inchiesta.

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