Il finanziere condannato a 150 anni di carcere

Madoff e i suoi fratelli

Maurizio Stefanini

Ponzi, sempre Ponzi, fortissimamente Ponzi. Ovvero il Ponzi's scheme, inequivocabilmente tirato fuori dopo la disavventura di Bernard Madoff: il già presidente del Nasdaq, che aveva iniziato col giocare in Borsa i soldi guadagnati come bagnino, e il cui Bernard Madoff Investment Securities ha tirato dentro nel suo crack di 50 miliardi di dollari gran parte del Gotha mondiale. 

    SCANDALO MADOFF: TRIBUNALE LO CONDANNA A 150 ANNI (AGI/REUTERS) - New York, 29 giu. - Il giudice Denny Chin, della corte distrettuale di Manhattan, ha condannato a 150 anni di carcere il finanziere Bernard Madoff, 71 anni, autore della piu' grande truffa della storia di Wall Street. La sentenza, che accoglie le richieste dell'accusa, e' stata accolta dalle grida e dagli applausi delle decine di vittime della frode che oggi hanno sfilato in tribunale per testimoniare contro l'ex presidente del Nasdaq. Autore di una colossale truffa basata sullo 'schema Ponzi', il cui valore si aggirerebbe tra i 50 e i 65 miliardi di dollari, Madoff era stato arrestato lo scorso inverno e aveva confessato i suoi crimini in udienza a marzo. (AGI)

    Dal Foglio del 3 genniao 2009

    Ponzi, sempre Ponzi, fortissimamente Ponzi. Ovvero il Ponzi's scheme, inequivocabilmente tirato fuori dopo la disavventura di Bernard Madoff: il già presidente del Nasdaq, che aveva iniziato col giocare in Borsa i soldi guadagnati come bagnino, e il cui Bernard Madoff Investment Securities ha tirato dentro nel suo crack di 50 miliardi di dollari gran parte del Gotha mondiale. Unicredit e Banco Popolare, Royal Bank of Scotland e Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, Natixis e Hsbc, Steven Spielberg e Elie Wiesel sono solo alcuni di coloro che hanno creduto a quella che in realtà era solo una “piramide finanziaria”.

    Una delle spiegazioni più efficaci del concetto è forse quella che Mimì dà a Montalbano nel romanzo di Andrea Camilleri “L'odore della notte”. “Metti conto che tu mi affidi un milione per farlo fruttare. Io, dopo sei mesi, ti do duecentomila lire d'interessi, il venti per cento. E' un tasso altissimo, e la voce si sparge. Arriva un altro amico tuo e mi affida il suo milione. Alla fine del secondo semestre, io do a te altre duecentomila lire e altrettante ne do al tuo amico. A questo punto decido di sparire. E mi sono guadagnato un milione e quattrocentomila lire. Levaci quattrocentomila di spese varie, la conclusione è che mi metto in tasca un milione netto”. Solo che il commissario televisivo se la prende poi col Villaggio Globale. “‘Minchia. Tutta colpa della televisione', fece Montalbano. ‘Che c'entra la televisione'. ‘C'entra. Non c'è telegiornale che non ti tempesti con la Borsa, il Nasdaq, il Dow Jones, il Mibtel, la Minchiatel… La gente s'impressiona, non ci capisce niente, sa che si rischia ma che si può guadagnare, e si getta tra le braccia del primo imbroglione che passa”. Ma uno come Madoff è di calibro ben al di sopra del “primo imbroglione che passa” a incantare gli sprovveduti provinciali dell'immaginaria Vigàta.

    All'alba di tutte le piramidi, lo scozzese John Law fu addirittura, nel 1720, primo ministro di fatto di Francia, anche se il titolo formale ancora non esisteva. Figlio di un orefice di Edimburgo, autore nel 1705 di alcune “Considerazioni sulla moneta e il commercio” che sia Keynes che Schumpeter pongono all'origine delle moderne teorie sulla cartamoneta, John Law era stato anche un geniale anticipatore del moderno calcolo delle probabilità. E lo aveva anche messo in pratica al tavolo da gioco: guadagnando soldi in quantità, ma con le ricadute collaterali dell'omicidio in duello da lui compiuto ventitreenne a Londra nel 1694, da cui una condanna a morte, un'evasione e l'esilio in Europa, il tutto con l'intermezzo di varie avventure galanti. “Quando il sangue non circola attraverso il corpo, il corpo langue; lo stesso quando non circola il denaro”, è la famosa massima con cui nel 1716 convinse il reggente Duca d'Orléans a curare la bancarotta lasciata dal Re Sole, attraverso l'introduzione di banconote emesse da una nuova Banca Generale a capitale sottoscritto in titoli del debito pubblico, e utilizzabili per pagare le tasse. Poi nel 1717 ci aggiungerà una Compagnia di occidente monopolista dei commerci coloniali con le Americhe, che nel 1719 assorbirà le altre compagnie coloniali. E le azioni della nuova Compagnia delle Indie passeranno in pochi mesi dalle 500 alle 15.000 lire l'una. Ma nel 1720 la richiesta di alcuni nobili di convertire i biglietti in oro innescherà un crack che butterà sul lastrico 550.000 risparmiatori, costringerà Law a fuggire a Venezia e screditerà in Francia banche e cartamoneta fino a Ottocento inoltrato. Eppure, oggi storici e economisti lo rivalutano, spiegando che comunque anche dopo il suo crack la Francia stava economicamente meglio che alla morte di Luigi XIV, e che la sua colpa fu semmai quella di essere troppo in anticipo sui tempi. John Kenneth Galbraith lo ha definito “il più innovativo mascalzone in campo finanziario di tutti i tempi”.
    Le transizioni sono in effetti un periodo propizio per “innovativi mascalzoni”, e alcune delle storie più cospicue nel campo delle piramidi finanziarie vengono dall'Europa dell'Est post-comunista. Dafina Milanovic, la cui Dafiment Bank rastrellò tra 1990 e 1992 in Serbia l'equivalente di quattro miliardi di marchi, offrendo tassi del 18 per cento al mese. Il romeno Ion Stoica, contabile di Cluj che si faceva chiamare “Messia”, spiegava in tv di aver ricevuto da Dio la missione di aiutare la transizione della Romania al libero mercato, e tra 1992 e 1994 faceva promettere dalla sua Caritas Bank “otto volte le somme versate entro 100 giorni”, grazie a una “formula magica”: “e se il gioco dovesse crollare, ogni giocatore avrà almeno la metà del suo investimento”.

    Nel novembre del 1993 il New York Times stimò in cinque miliardi i dollari da lui raccolti, in un paese il cui export oltrepassava di poco i quattro miliardi: quattro milioni di sottoscrittori, non solo dalla Romania, ma anche da Moldavia, Ucraina e Ungheria. L'albanese Vehbi Alimucaj, ex-ufficiale dell'esercito di Enver Hoxha, dopo la caduta del comunismo aveva fondato nel 1993 una Vefa Holding col capitale di 700 dollari, mettendosi a vendere sapone per strada. Promettendo interessi tra il 10 e il 25 per cento al mese in due anni raccoglie un miliardo di dollari. Che assieme all'altro miliardo di altre quattro piramidi coinvolge mezzo milione di risparmiatori: un albanese su due. I russi fratelli Mavrodi, Sergey, Vyacheslav e Marina, dopo aver trafficato nel periodo sovietico in audio e video taroccati nel 1989 fondano la Mmm per importare materiale da ufficio e prodotti informatici. Tagliati fuori dai finanziamenti bancari nel 1992 per un'accusa di evasione fiscale, per rimediare si mettono prima a rivendere azioni americane; e poi offrono titoli loro, facendo per primi in Russia una pubblicità aggressiva, lanciando lo slogan “Voliamo dal buio alla luce!”, regalando biglietti della metropolitana e offrendo il 1000 per cento di ritorno. Raccolta: un miliardo e mezzo di dollari, da due milioni di risparmiatori. Ma anche la Colombia del presidente Álvaro Uribe Vélez, in piena euforia per i successi sulle Farc e per il boom economico, ha molti tratti della società in transizione. David Eduardo Helmut Murcia Guzmán, il cameraman che proclamandosi “Re Mida” fonda nel 2003 a soli 23 anni una finanziaria chiamata Dmg dalle sue iniziali, vendendo una carta prepagata da 100.000 pesos, circa 33 euro, promette utili tra il 70 e il 150 per cento.

    Ci hanno creduto in quattro milioni, dandogli l'equivalente di almeno un miliardo di dollari. Di Dafina Milanovic, però, si sa oggi che fu un paravento di Milosevic, per rastrellare soldi dopo che il congelamento dei conti correnti aveva provocato un esodo dalle banche di stato. E anche su Stoica e Alimucaj ci sono forti dubbi che riciclassero soldi della nomenclatura postcomunista e di mafie varie, mentre la Dmg ha finanziato un bel po' di partiti. La rivolta che nel 1997 seguì al crack delle piramidi albanesi, provocando 2500 morti, la caduta del governo di Sali Berisha e l'intervento multinazionale, ha avuto infatti una replica nell'altra sommossa che si è scatenata in Colombia a novembre, e che ha obbligato il governo a dichiarare lo stato d'emergenza e a promettere misure economiche urgenti a favore delle zone più colpite, alcune delle quali avevano parlato addirittura di “secessione”. Si tratta di dipartimenti andini spesso oggetto di barzellette nel resto del paese per la loro pretesa scarsa arguzia: della serie, ognuno ha i suoi Cuneo, Sondrio, Zagarolo o Carrapipi… E non sono mancate dunque sfottiture del tipo: “In Egitto fecero le piramidi con i cammelli, in Colombia con i somari”.

    I Mavrodi, invece, riuscirono a convincere i risparmiatori inferociti che era stata la persecuzione del governo a mettere loro i bastoni tra le ruote, e dopo essere stato arrestato Sergey diventerà deputato alla Duma, grazie all'appoggio delle loro organizzazioni. In capo a un anno sarà però dichiarato decaduto dalla carica, per eccesso di assenze. Mentre tutti lo pensano scappato negli Usa, riuscirà di nuovo a coinvolgere 275.000 risparmiatori in una nuova piramide, con cui offre interessi del 200 per cento. E finirà di nuovo in carcere nel 2003, per essere però liberato nel 2006. Tutto sommato, fare piramidi finanziarie dal punto di vista penale non è poi neanche troppo costoso. Alimucaj se la caverà con cinque anni, per di più scontati in una lussuosa villa ai domiciliari. E Stoica con due, impiegati a scrivere un libro di memorie che diventerà un best-seller.

    Capite? Carlo Ponzi di anni se ne fece ben dieci, per aver coinvolto appena 40.000 persone in un affare per 15 milioni di dollari dell'epoca: appena 140 milioni attuali. Nella stessa Italia, ci fu nel 1958 lo scandalo di Giovanbattista Giuffrè: alias “il banchiere di Dio”, perché offriva interessi tra il 70 e il 100 per cento in cambio di denaro da impiegare per finanziare la costruzione in Romagna di chiese e conventi, e perché accettava clienti solo presentati da parroci. L'inchiesta parlamentare appurò che l'ex-bancario, messosi in proprio nel 1948 dopo aver litigato col suo direttore, aveva raccolto capitali per 2,382 miliardi di lire, accumulato debiti per 3,497 miliardi, dato in beneficienza 240 milioni e costruito circa 200 opere. Il bello è che non passò un giorno in carcere: prima del 1962 perché non riuscirono a contestargli alcun reato, e dopo per aver passato i 60 anni. Morto nel 1964, il prete nella messa funebre promise che il Signore avrebbe saputo “pesare i suoi atti”, anche se in effetti pare che le principali vittime della sua “creatività” siano stati proprio i suoi amatissimi frati cappuccini.

    Eppure, alla fine quello che nell'immaginario riassume tutti è Ponzi. In fondo, il pesce più piccolo. Nato a Lugo di Romagna nel 1882, oltre ad essere conterraneo e coetaneo di Benito Mussolini ne doveva condividere anche le doti da imbonitore, ma purtroppo anche il gusto per il bluff avventato. Impiegato alle poste a Parma, studente per quattro anni alla Sapienza di Roma senza dare un esame, arriva a Boston nel 1903 con in tasca due dollari e mezzo: dopo aver passato il viaggio a dilapidare al gioco tutti i suoi risparmi, lavapiatti, promosso cameriere, è licenziato perché sorpreso a imbrogliare i clienti sul resto. Bancario a Montreal nel 1907, impara i primi rudimenti della finanza creativa da un padrone che paga gli interessi con i soldi dei nuovi correntisti e poi scappa in Messico col malloppo. Lui invece passa tre anni in galera in Canada, per furto di assegno. E poi altri due negli Usa, per traffico di immigrati clandestini. Infine libero, dopo il matrimonio con una connazionale cerca di mettere la testa a posto con l'idea di un volume di avvisi pubblicitari, antesignano delle Pagine Gialle. Ma i tempi non sono maturi, e l'idea non decolla. In compenso, la richiesta di informazioni di una società spagnola a proposito dei suoi cataloghi gli fa scoprire l'esistenza dei Buoni di risposta internazionali: un meccanismo tuttora esistente ma molto poco usato, in cui il mittente di una lettera all'estero dà al destinatario un buono da scambiare con un francobollo, per spedire la risposta. L'inghippo è che il buono è pagato al prezzo dell'affrancatura del paese di invio, ma scambiato al prezzo dell'affrancatura del paese di arrivo. Se tra i due c'è differenza, c'è la possibilità di guadagnarci sopra qualcosa, in modo perfettamente legale. Specie trafficando tra gli Usa e Paesi che come l'Italia hanno sofferto durante la Grande guerra un'inflazione considerevole. Il guadagno possibile per ogni buono, secondo i suoi calcoli, può arrivare al 400 per cento. Costituisce dunque la Securities Exchange Company, offrendo agli investitori tassi di rendimento compresi tra il 50 e il 90 per cento, che non sono dunque in realtà uno schema di Ponzi.

    Lo schema di Ponzi, invece, Ponzi lo inventa suo malgrado, per il semplice fatto che il flusso di risparmiatori attratti dalle sue mirabolanti promesse si rivela molto più forte che quello dei francobolli. Nel febbraio del 1920 ha già un capitale di 5000 dollari, a marzo è salito a 30.000, a maggio a 420.000, a luglio raccoglie ormai 250.000 dollari al giorno. Acclamato come eroe dagli emigranti italiani, Ponzi può comprarsi un palazzo e far venire sua madre dall'Italia in prima classe. Ed è talmente abile nella parlantina da convincere i giudici di un tribunale a decidere in suo favore nella causa intentata da un creditore, il Boston Post a scrivere bene di lui, gli ispettori dello stato del Massachusetts a sospendere un'indagine.  Ma dal 26 luglio una nuova inchiesta del Boston Post rivela che sono in circolazione solo 27.000 buoni di risposta internazionale, contro i 160 milioni che ci vorrebbero per sostenere la massa di interessi che Ponzi sta pagando. Offrendo caffè e ciambelle, distribuendo sorrisi e strette di mano, ma anche restituendo due milioni in tre giorni, Ponzi riesce a calmare la folla che dà l'assalto ai suoi uffici. Ma il 10 agosto gli agenti federali fanno irruzione nella società per chiuderla, e il 13 lui stesso è arrestato.

    Condannato a cinque anni, liberato dopo tre e mezzo, ricondannato a nove anni e fuggito in Florida, lì verrà di nuovo arrestato mentre sotto falso nome cerca di vendere lotti di terra. Dopo un fallito tentativo di evasione, uscirà nel 1934, accolto fuori prigione da una folla inferocita. “Cercavo guai, e li ho trovati”, dirà al momento di essere espulso in Italia. In seguito finirà in Brasile, dove lavorerà per la compagnia di bandiera Ala Littoria, e dove morirà nel 1949, lasciando un libro di memorie inedite.  “Ho dato agli abitanti di Boston il miglior spettacolo che sia mai stato visto sul territorio dai tempi dello sbarco dei Padri pellegrini! Valeva ben quindici milioni di verdoni il vedermi mettere su tutta la baracca”, è la sua ultima dichiarazione, in un'intervista prima di morire.