Oltre il pacchetto anticrisi

Il piccolo spazio e la grande occasione che il Tesoro può cogliere

Ernesto Felli e Giovanni Tria

Mentre il governo italiano vara un pacchetto di nuove misure anti-crisi, dal mondo arrivano due segnali attraverso le ultime previsioni messe a punto dall'Ocse. Il primo è che negli Stati Uniti la diminuzione del Pil sarà quest'anno meno grave del previsto – e questo dovrebbe attenuare, insieme alla tenuta delle due principali economie asiatiche, la recessione globale e fermarla entro il 2010. Il secondo è che la recessione sembra più grave del previsto in Europa.

    Mentre il governo italiano vara un pacchetto di nuove misure anti-crisi, dal mondo arrivano due segnali attraverso le ultime previsioni messe a punto dall'Ocse. Il primo è che negli Stati Uniti la diminuzione del Pil sarà quest'anno meno grave del previsto - e questo dovrebbe attenuare, insieme alla tenuta delle due principali economie asiatiche, la recessione globale e fermarla entro il 2010. Il secondo è che la recessione sembra più grave del previsto in Europa e, di conseguenza, anche in Italia. Abbiamo parlato di segnali perché tutte le previsioni sono sottoposte ad una serie di ipotesi condizionali la cui verosimiglianza è tutta da verificare, soprattutto in fasi di rottura degli equilibri e dei comportamenti abituali degli attori economici. Dall'Ocse trapela un certo “cauto ottimismo”, che si riduce ad aspettarsi che la produzione non diminuirà ancora molto, ma che non si spinge a spiegare come essa potrà risalire, cioè a dirci chi e in quale paese sarà in grado di aumentare consumi ed investimenti per riportarli gradualmente ai livelli pre-crisi. Fino ad allora la produzione sarà inferiore e lo sarà anche l'occupazione, a meno che si accetti una forte diminuzione della produttività e quindi dei salari.

    Per gli stessi motivi, se la ripresa dell'attività produttiva non sarà abbastanza rapida, l'occupazione non potrà che continuare a diminuire per allinearsi con la caduta della produzione. Non si tratta di catastrofismo, atteggiamento a cui siamo allergici, ma di semplice aritmetica macroeconomica. Naturalmente l'aritmetica riguarda i valori medi, ed è probabile che la ripresa produttiva sarà più rapida nei paesi che sapranno adattare meglio la loro offerta alla ripresa della domanda, ed alla composizione della nuova domanda, accaparrandosene una quota maggiore degli altri. Un primo interrogativo per coloro, governi e banche centrali,  che tentano di utilizzare i non molti strumenti a disposizione per risollevare le economie è quello che attiene alla loro capacità di influenzare la composizione della domanda e poi la capacità dell'offerta di soddisfarla.

    Ma dal mondo, vengono anche altri segnali, riguardanti la politica monetaria, che come è noto non è di pertinenza del governo italiano come non lo è di alcun singolo paese dell'area euro. Negli Stati Uniti già si discute sulla exit strategy da politiche di stimolo fiscale che implicano non solo un enorme aumento del debito pubblico ma soprattutto una gigantesca immissione di liquidità nel sistema, sia attuale sia in prospettiva nella misura in cui parte del deficit dovrà essere monetizzato. Bernanke difende la sua politica ma lascia intendere che la deflazione non è più un pericolo e che la Fed non si spingerà molto oltre nello stampare moneta. Una condotta e un linguaggio molto diversi da quelli di qualche mese fa quando portò i tassi di interesse a zero dichiarando che “le munizioni non erano finite”. La ripresa non c'è ancora, ma lo spettro dell'inflazione e, ancor prima, delle aspettative d'inflazione, già si profila.

    Contemporaneamente ma in controtendenza con l'orientamento americano, la BCE decide una straordinaria immissione di liquidità, pari al 5 per cento del pil dell'area, attraverso un rifinanziamento al sistema bancario inconsueto per le dimensioni, la durata, le condizioni di costo. Non sappiamo se la decisione sia dettata semplicemente dalla profondità della recessione europea o se sconti un atteggiamento più accomodante nel medio periodo e meno ancorato a difendere l'area euro da una eventuale spinta inflazionistica mondiale.  

    Questo è il quadro in cui si dovrà muovere il governo italiano. Un quadro non facile, e non solo per le fragilità strutturali interne italiane, rappresentate dal poco spazio fiscale, causato dall'alto debito, e dalla scarsa dinamica della produttività. Poiché la caduta della domanda è venuta principalmente dall'estero, il governo potrebbe limitarsi ad aspettare la ripresa mondiale oppure cercare di sostituire per quanto possibile la domanda estera con domanda interna. In realtà non c'è molto spazio nemmeno in questa direzione anche per motivi di consistenza temporale. E tuttavia il nostro ministro dell'economia dichiarò in una interessante intervista all'inizio della crisi che era necessario sostituire domanda di beni pubblici alla domanda di beni privati. Il tono non ci era congeniale, essendo refrattari alla retorica moraleggiante, ma nella sostanza la posizione era giustificata dalle circostanze date.

    Questo significava rinunciare a tagli fiscali sui redditi delle famiglie per indirizzare le risorse verso la domanda di beni pubblici, tra i quali, oltre le classiche opere pubbliche, vanno annoverate le infrastrutture tecnologiche (come la banda larga), l'istruzione, la ricerca e gli investimenti in efficienza energetica e risparmio energetico. Non si trattava solo di un mutamento del tipo di domanda, ma di investimenti ad alto rendimento prospettico necessari a rafforzare la capacità produttiva italiana. Se questa è la scelta strategica, è necessario un po' più di coraggio in questa direzione. Per il resto, rimaniamo convinti che oggi una certa prudenza di bilancio resti necessaria anche alla luce dei probabili sviluppi futuri. Perché in caso di ripresa dell'inflazione, sarà utile, in quel momento, avere a disposizione risorse da destinare immediatamente a riduzioni fiscali sui redditi da lavoro per evitare crisi sociali. Un modo di difendere i salari reali al netto delle tasse, di fronte a fiscal drag ed inflazione importata, alternativo e virtuoso rispetto a quello dell'aggiustamento dei salari nominali.