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Messaggio al mondo islamico

In medio oriente Obama ci prova con la dottrina realista e l'autobiografia

Christian Rocca

La grande scommessa arabo-musulmana di Barack Hussein Obama comincia questa mattina con l’incontro privato, a Riad, con il re Abdullah dell’Arabia Saudita. C'è attesa per il discorso di domani 

La grande scommessa arabo-musulmana di Barack Hussein Obama comincia questa mattina con l’incontro privato, a Riad, con il re Abdullah dell’Arabia Saudita. Obama eviterà di inchinarsi, come aveva fatto al G20 di Londra, e discuterà con il re saudita del conflitto arabo-israeliano e dell’influenza iraniana nella regione. Ma il cuore del viaggio presidenziale, che poi si concluderà in Germania e in Normandia, è l’atteso discorso al mondo islamico che Obama terrà domani all’Università del Cairo. Ayman Al Zawahiri, il numero due egiziano e ideologo di al Qaida ha già cercato di guastare la missione del presidente: Obama – ha detto – ha lanciato “messaggi di sangue”. 

  

Gli esperti di politica estera di Washington provano a immaginare che cosa dirà il presidente, se sarà più pragmatico o più idealista, mentre i conservatori temono che voglia ricominciare il suo “giro delle scuse” per le colpe passate dell’America e non sono soddisfatti nemmeno della scelta di visitare il 5 giugno la città di Dresda che fu rasa al suolo dagli alleati e l’ex lager di Buchenwald, come a voler simbolicamente mettere quelle due tragedie sullo stesso piano. La cosa certa è che Obama farà l’Obama, userà cioè la sua biografia per convincere il mondo islamico a fidarsi del primo leader americano che condivide le sue stesse radici: un padre musulmano, un nome arabo e un’infanzia in Indonesia. La politica della biografia è il marchio di fabbrica di Obama. Il discorso non conterrà proposte dettagliate, ma sarà un inno al rispetto reciproco – del resto “gli StatiUniti sono uno dei più grandi paesi musulmani del pianeta”, ha detto ieri il presidente – e al rapporto personale che sarà in grado di garantire al mondo islamico, grazie alla comune esperienza di vita.

   

Gli esperti si interrogano sul peso che sarà dato alla questione della democrazia e dei diritti umani. L’approccio obamiano è realista. Condivide con Bush l’idea che l’errore degli Stati Uniti sia stato quello di aver sostenuto regimi autoritari, ma non ne fa una bandiera, anzi cerca di coinvolgere i despoti. In questo senso, Obama è un continuatore della politica di Bush senior, più che di Bill Clinton o della tradizione politica della sinistra liberal, ma non va dimenticato che anche l’ultimo Bush, alla fine, ha virato su questa strada. Il NYTimes ha avanzato qualche dubbio che la politica pragmatica di Obama, volta a non interferire negli affari interni dei paesi arabi, possa non avere presa nelle strade del Cairo. Le organizzazioni egiziane per i diritti umani hanno già accusato il dipartimento di stato di aver ammorbidito le critiche alle politiche repressive del presidente Hosni Mubarak e di aver rassicurato il regime che gli aiuti finanziari e militari non saranno legati al miglioramento delle condizioni politiche e civili della popolazione.

  

Il dissidente democratico egiziano, Saad Eddin Ibrahim, ha scritto sul Wall Street Journal che Obama dovrebbe promuovere lo stato di diritto, elezioni democratiche e un piano Marshall per la rinascita economica. Più o meno la “freedom agenda” di Bush: “Per sessant’anni, il mio paese ha inseguito la stabilità a discapito della democrazia, qui e nel medio oriente. Non abbiamo ottenuto né l’una né l’altra. Dovrà arrivare il giorno in cui lo stato di diritto prenderà il posto dei decreti d’emergenza”. Parole di Condoleezza Rice, anno 2005. Al Cairo.

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