Così è nata la repubblica delle letteronze

Maurizio Stefanini

Una volta, ci si lamentava della “Repubblica dei Partiti”. Adesso, ci si lamenta per la “Repubblica delle Letteronze”. Ma il corto circuito tra un 25 aprile che provava a essere di nuovo festa di tutti e l'imminenza delle prime europee bipolari aiuta forse a chiarire il modo in cui, volendo distruggere l'una, si è finiti per cadere nell'altra. Che non solo diventa inevitabile, ma non è probabilmente neanche la peggiore delle derive possibili.

    Una volta, ci si lamentava della “Repubblica dei Partiti”. Adesso, ci si lamenta per la “Repubblica delle Letteronze”. Ma il corto circuito tra un 25 aprile che provava a essere di nuovo festa di tutti e l'imminenza delle prime europee bipolari aiuta forse a chiarire il modo in cui, volendo distruggere l'una, si è finiti per cadere nell'altra. Che non solo diventa inevitabile, ma non è probabilmente neanche la peggiore delle derive possibili.

    Perché la Prima Repubblica, nata dalla resistenza, era la “Repubblica dei Partiti”? Innanzitutto, perchè era che era venuta dopo un regime totalitario a partito unico in cui non solo il partito aveva occupato lo stato, ma per effetto della crisi del '29 lo stato aveva a sua volta dovuto commissariare l'economia. Il dirigismo era ideologia corrente anche fuori d'Italia in quell'epoca di keynesianesimo rampante. Il partito unico era stato comunque un importante veicolo di promozione sociale. E nel partito unico era cresciuta un'intera generazione di giovani politici pur passati all'antifascismo, e che presero presto in mano la situazione una volta esaurita la leva dei vecchi padri nobili del prefascismo: basti pensare a quel che fu nella Dc il passaggio dalla generazione dei De Gasperi e Scelba a quella dei Fanfani, Moro e Enrico Mattei. Ma poi c'era stato l'8 settembre, e la morte della patria. Letteralmente, erano stati i partiti del Cln a prendere in mano il fantasma dello stato dissolto, surrogando con i loro patriottismi ideologici il vecchio patriottismo di origine risorgimentale ormai screditato. A proposito di 25 aprile: la storia della resistenza è anche il modo in cui i partiti riuscirono a imporsi sui quell'altro potenziale centro di articolazione del potere delle formazioni armate, attraverso la leva economica. Prima grazie al controllo del famoso tesoro della IV Armata; poi facendo da tramite ai finanziamenti alleati.

    Le elezioni videro poi l'imporsi dei cosiddetti “partiti di massa”, Dc, Pci e Psi, sulla formazioni più legate alla tradizione liberaldemocratica: dai vecchi Pli e Pri all'effimero Partito d'azione. Un po' per il discredito in cui il liberalismo ancora si trovava dopo il collasso del 1922; un po' per la natura elitaria che in Italia aveva avuto; un po' anche per l'importante punto di riferimento che in quel momento costituivano i miti di Roma e di Mosca. Insomma, la Costituzione formale e ancor più quella materiale che ne scaturirono furono un compromesso tra liberalismo, democrazia e partitocrazia, in cui il peso dei vari fattori era inversamente proporzionale all'ordine di elencazione. Un compromesso con tutti i suoi evidenti limiti, che però ha permesso la ricostruzione, il miracolo economico, il benessere, la modernizzazione, e anche di collocare infine l'Italia tra i vincenti di quella lunga Terza Guerra Mondiale virtuale che era stata la Guerra Fredda.

    In Italia, però, ogni guerra mondiale provoca la fine di un regime: non importa se vinta o perduta. Probabilmente, perché da noi i sistemi politici dipendono sempre dal quadro geopolitico internazionale. A una crisi che ci sarebbe comunque stata si è però aggiunta un'overdose di populismo giustizialista e moralista che ha letteralmente buttato via l'acqua sporca, cioè una politica ormai corrotta; assieme al bambino, cioè le uniche strutture che assicuravano la formazione e il ricambio delle élites. Mutatis mutandis, qualcosa del genere era pure successo in Francia, con la crisi della Quarta Repubblica. Nell'uno e nell'altro caso, era inevitabile che dalla baraonda dovesse emergere un personaggio dotato di forte carisma, anche se quello di Charles De Gaulle era molto diverso da quello di Silvio Berlusconi. Se in Francia erano naufragati i partiti, dall'Mrp alla Sfio o ai radical-socialisti, era però rimasta una macchina amministrativa di alto livello, e soprattutto il suo eccellente sistema di reclutamento e formazione: l'Ena, l'École Nationale d'Administration.

    E' forse interessante ricordare che l'Ena era stata voluta nel 1945 da De Gaulle come capo del Governo Provvisorio, ma concretamente organizzata dal segretario del Partito comunista francese Maurice Thorez, come vice-presidente del Consiglio. Se destra nazionalista e sinistra marxista-leninista erano d'accordo nel volere uno stato forte in grado di intervenire, lo erano anche nel voler fornire a questo stato il personale adeguato. Chi è venuto fuori dalla lista degli énarques? Due presidenti della repubblica: il centrista Valery Giscard D'Estaing e il gollista Jacques Chirac. Sette primi ministri: lo stesso Chirac; gli altri gollisti Édouard Balladur, Alain Juppé  e Dominique de Villepin; i socialisti Laurent Fabius, Michel Rocard e Lionel Jospin. Sei membri dell'attuale governo, che pure in Sarkozy ha il primo presidente non enarca formatosi dopo la creazione della scuola. 32 parlamentari, pressoché tutti a loro volta ex-ministri. 15 presidenti di imprese. 5 alti funzionari internazionali, dal direttore generale del Wto Pascal Lamy al governatore della Bce Jean-Claude Trichet. Una lista di intellettuali che va da Jacques Attali a Alain Minc. Insomma: in Francia un canale per formare élites dirigenti lo hanno, anche senza partiti.

    Anche noi abbiamo una Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, che fa quello che può. Ma non ha certo la stessa capacità di produrre classe dirigente dell'Ena. D'altra parte, il capitalismo italiano con la sua natura familiare e ereditaria non è neanche in grado di assicurare quell'altra potente leva di selezione delle élites che nel mondo anglosassone è rappresentato dall'impresa. Neanche a parlarne delle accademie militari: ed è meglio così, se non altro non siamo Terzo mondo, e meglio le letteronze che i Chávez. Ma se vogliamo restare in democrazia, che altre alternative allora restano ai salotti radical chic, se non gli schermi televisivi?