Il bella della vita

Valentina Fizzotti

Ogni sabato Eduardo Verástegui parcheggia davanti a una delle tantissime cliniche abortiste di Miami e si mette a chiacchierare con le ragazze che stanno andando al loro appuntamento con il chirurgo. Qualcuna lo riconosce, si ferma e gli dà retta, qualcun'altra tira dritto verso il portone dell'ambulatorio.

    Ogni sabato Eduardo Verástegui parcheggia davanti a una delle tantissime cliniche abortiste di Miami e si mette a chiacchierare con le ragazze che stanno andando al loro appuntamento con il chirurgo. Qualcuna lo riconosce, si ferma e gli dà retta, qualcun'altra tira dritto verso il portone dell'ambulatorio. Nelle ultime quattro settimane, tredici fra tutte quelle donne hanno cambiato idea dopo aver parlato con lui: hanno mandato all'aria l'appuntamento e hanno deciso di non abortire. Occhioni verdi e capelli scuri, questa specie di Scamarcio ispanico (i media americani lo hanno ribattezzato “il Brad Pitt latino”) ha abbandonato il jetset e fatto della missione prolife lo scopo della sua vita. Negli anni Novanta faceva impazzire le ragazzine cantando e dimenandosi con una boyband messicana, i Kairo, e non sapeva nemmeno una parola di inglese. Qualche anno dopo è diventato la star indiscussa delle telenovele latinoamericane e ha ballato il flamenco – a torso nudo e con gli addominali ben in mostra – con Jennifer Lopez in un video super passionale dall'atmosfera gipsy.

    Una frenetica vita da sogno fra set, party e un sacco di donne. Poi, all'improvviso, la scelta di mollare tutto e ricominciare daccapo, con un film che ha fatto commuovere persino George W. Bush. La pellicola, girata nel 2007 a New York in 24 giorni, si chiama “Bella” ed è costata in tutto tre milioni di dollari, una cifra ridicola per gli standard hollywoodiani. Verástegui l'ha prodotta assieme a tre amici, con un'etichetta indipendente, Metanoia films, nata nel salotto (ormai quasi completamente vuoto) della sua casa californiana con l'idea di poter trovare un modo per lavorare nel cinema senza dover buttare dalla finestra tutti i valori in cui credevano.

    “Potrei scrivere un libro su come questo film ha cambiato l'esistenza di tante persone, compresa la mia”, ci racconta. Qualcuno in realtà un libro l'ha già scritto: in “Behind Bella”, Tim Drake racconta che il film ha salvato la vita a oltre 40 bambini. “Nel frattempo sono diventati almeno 60 – dice l'attore – e questi sono soltanto i casi che conosciamo. Ma sono sicuro che ce ne siano molti, molti altri”. Uno tra questi è il bambino della coprotagonista, Tammy Blanchard, segnata dal film al punto che quando è rimasta incinta ha cambiato idea sull'aborto. In “Bella” Verástegui è José, un'ex promessa del calcio. Dopo che la sua occasione d'oro di diventare famoso (e strapagato) è evaporata per un incidente, è finito a lavorare come capo chef nel ristorante messicano di suo fratello. Il film è il racconto di una lunga giornata passata con Nina, una bellissima ragazza che ha appena scoperto di essere incinta e perde il suo posto di cameriera per essersi presentata in ritardo. Era in un bagno a fare il test di gravidanza, ma questo al datore di lavoro fissato con la produttività non interessa.

    Per tutta la durata della pellicola (basata su una storia vera) la parola “aborto” non è pronunciata nemmeno una volta, eppure è intorno a quello che gira tutto. Scopo del film è raccontare con delicatezza come l'aborto non sia l'unica soluzione possibile per una gravidanza indesiderata. Per Nina tenere questo figlio è fuori discussione: nessun compagno, nessuna famiglia alle spalle, nessun lavoro. “I protagonisti sono due anime spezzate che si aiutano a vicenda. Lei regala un nuovo senso all'esistenza bruciata di José. Lui le mostra un'altra possibilità, ma senza giudicarla mai. Un po' come san Francesco, l'esempio viene prima di tutte le parole”.

    Verástegui parla di santità, Cristo e conversione con la stessa naturalezza di quando racconta il suo passato da sex symbol o le sue battaglie politiche. Per quanto i suoi discorsi risultino quantomeno singolari – se non altro perché escono dalle carnose labbra di un trentenne che era soprannominato dalle croniste di costume “six-packs” per l'addome scolpito – non è un invasato. Anche se quando ha deciso di cambiare vita persino la sua famiglia gli ha chiesto se fosse entrato in una strana setta oppure impazzito. “Semplicemente ora mi sento cattolico davvero, ho risposto”. Proprio come il José del New Jersey, Eduardo è nato povero, ma in un paesino, Xicotencatl, nel nord del Messico. Quando ancora si godeva ogni giornata (e ogni nottata) credendo di essere la reincarnazione di don Giovanni, Verástegui incontrò una donna che ha rivoluzionato la sua vita per sempre. Lei aveva 33 anni, lui 28. Chi a questo punto si immagina una vicenda a tinte rosa resterà però deluso, perché in quell'incontro non ci fu nulla di romantico. “Una donna meravigliosa, un vero angelo nella capitale delle tentazioni. Mi insegnava l'inglese e intanto, a furia di domande, mi faceva scoprire chi ero. Una sorta di maieutica socratica. Col passare del tempo mi rendevo conto che mi mancava qualcosa, ma non avevo idea di che cosa fosse”.

    Dopo la conversione – e tante ore passate sui libri, a studiare filosofia e teologia – l'attore aveva persino pensato di partire missionario in Amazzonia, ma il suo padre spirituale gli consigliò di restare “nella giungla di Hollywood”. “Mi disse che anche qui c'era molto da fare – racconta – e credo avesse ragione. Allora ho promesso che mai avrei partecipato a un progetto che offendesse in qualsiasi modo i miei valori, la mia gente, la mia famiglia. Non voglio dover coprire gli occhi a mia nonna quando guarda un mio film. E sono stanco di interpretare di continuo lo stereotipo dei latini spacciatori o banditi. Mi sono accorto che ben poche volte abbiamo l'occasione di interpretare ruoli eroici, e non parlo di Superman ma di eroi di tutti i giorni, quegli uomini pronti a sacrificare tutto per la propria famiglia”. Ma se i latinoamericani sono universalmente dipinti come la feccia della società e gli uomini buoni hanno finito per scomparire dagli schermi, anche le femmine non se la passano benissimo. “Le donne sono ridotte dai media a oggetti sessuali, mentre in realtà rappresentano il cuore della famiglia, sono belle, sagge e intelligenti. Ho tre sorelle minori e quando qualcuno mi ha chiesto perché interpretavo sempre ruoli da sciupafemmine mi sono accorto di non essermi mai fermato a rifletterci prima. E' lì che ho realizzato come i media formano la mentalità, specialmente quella dei giovani. Come diceva Giovanni Paolo II, se usati nella maniera giusta i mezzi di comunicazione possono servire per il bene. Oppure possono avvelenare”.

    Dopo l'incontro con la cattolicissima insegnante di inglese è cambiato il suo modo di vivere il lavoro, di scegliere le frequentazioni, di guardare al mondo femminile e ai rapporti di coppia. “Ricordo che una volta mi chiesero come avrebbe dovuto essere il marito ideale di una mia ipotetica figlia. E io, mano a mano che elencavo le caratteristiche che ritenevo imprescindibili, mi rendevo conto di descrivere un santo vero e proprio. Eppure con un santo io non avevo proprio nulla a che fare. Ero un uomo-oggetto e trattavo le donne come oggetti”. Dopo la svolta, invece, si è trasformato in un veneratore delle donne, in un adoratore rispettoso, in un tripudio di Dolce stil novo. Anche se a molte sue innamoratissime fan è comunque venuto un colpo quando Verástegui ha annunciato che avrebbe praticato la castità fino al matrimonio.

    Oltre a qualche conquista femminile, certo la decisione di selezionare con cura le proposte di lavoro in base al rispetto dei valori cattolici gli è costata molto cara, almeno in quanto a fama e denaro. Quando era giusto a un passo dalla grande notorietà, Verástegui si trovò improvvisamente disoccupato. E per quattro lunghi anni, oltretutto. “Scartavo progetti di continuo, e a un certo punto i soldi hanno iniziato a finire. E' lì che ho cominciato a chiedermi se avrei mai potuto conciliare il mio lavoro di attore con quello in cui credevo. Fino a quel momento avevo fatto una vita stupenda, ma dovevo liberarmene per cambiare. Quando mi guardo indietro dico che se il prezzo da pagare per questa scelta è non lavorare più, per me va bene. Non possedevo praticamente più nulla, quasi non avevo nemmeno da mangiare, ma ero felice. ‘Bella' è frutto di quel sacrificio”. Dieci giorni prima dell'avvio del progetto della casa di produzione indipendente un amico avvocato gli ha regalato un biglietto aereo perché andasse a Roma a farsi benedire da Giovanni Paolo II. E a finanziare “Bella” ci ha pensato una facoltosa famiglia di benefattori di Filadelfia.

    E' stato per preparasi a interpretare il ruolo di José che Verástegui è stato per la prima volta in una clinica abortista, per cercare di farsi un'idea delle dinamiche che si sviluppano al suo interno, fra pazienti, medici e consulenti. “La California è il paese in cui, se sei minorenne, non puoi fare praticamente nulla da solo, nemmeno andare dal dentista. Eppure puoi abortire senza che i tuoi lo sappiano. Dopo essere uscito da qella clinica ero arrabbiatissimo, credo sia iniziata allora quella che poi è diventata la mia battaglia”. La prima volta qualcuno lo ha scambiato per uno dei consulenti con i quali stava discutendo. Ma quando è arrivata una coppia che non parlava una parola di inglese e gli è stata affidata in qualità di madrelingua ispanico, lui non ha fatto in tempo a lasciarsi prendere dal panico perché i due lo hanno riconosciuto immediatamente. Esattamente come è accaduto da noi per i successi indimenticabili di Grecia Colmenares, in America latina le soap opera sono ritrasmesse per anni, a ripetizione. “Vedendomi mi dicevano che la televisione mi ringiovaniva. In realtà nel frattempo erano passati almeno una decina d'anni”.

    Un caffè con il mito televisivo, chiacchierate telefoniche quotidiane e nove mesi dopo un bambino che è stato battezzato Eduardito. Da allora Verástegui nelle cliniche ci è tornato tante altre volte. Va nei quartieri latini, dove il fatto di poter essere riconosciuto rappresenta un'opportunità. Sul cofano della sua auto appoggia un computer portatile sul quale mostra alle ragazze che si fermano un video molto tosto, di quelli che fanno venire i brividi. Si chiama “Dura realidad”, e mostra feti di 22 settimane. “Oltre a mostrare il filmato parlo con loro, cerco di informarle su tutto quello che nessuno dice”. Perché la favola del “Vedrai, un attimo ed è tutto finito” si racconta in tutto il mondo. Niente sulla sindrome postaborto, le complicazioni fisiche future, il trauma, il dolore. Niente sulle alternative. “Io mi limito a dire loro la verità, in modo che possano compiere la loro scelta da sole ma in maniera cosciente. Esattamente come fanno con le sigarette. Ho scoperto che a Los Angeles nel giro di un miglio ci sono nove cliniche abortiste, quattro allo stesso incrocio. Ogni anno negli Stati Uniti per gli oltre duecentomila bambini latini che nascono oltre un milione di bambini vengono abortiti. Naturalmente molti di loro appartengono alle minoranze. Ho scoperto che esiste questo spazio vuoto, e ho deciso di occuparmene per quanto posso”. Verástegui ha una fondazione, “Manto de Guadalupe”, che oltre a costruire case nel bel mezzo del nulla messicano (fra gli operai delle missioni c'è lo stesso Eduardo), aiuta le giovani donne latine incinte. Spiegando loro, come fa José con Nina, che esistono alternative all'aborto, come l'adozione, oppure sostenendole economicamente. Nello stesso quartiere di Los Angeles che pullula di strutture in cui si pratica l'interruzione di gravidanza la fondazione di Verástegui sta aprendo un centro medico per fornire alle donne assistenza medica gratuita.

    Il fim “Bella” ha avuto un gran successo fra i prolife, ma non solo: è stato in vetta alle pellicole più votate dai lettori del New York Times. Dopo Stati Uniti, Canada e America Latina il film potrebbe arrivare in Italia a giugno. La Casa Bianca ha organizzato la visione del film fra le sue mura e ha premiato Verástegui e i suoi compagni con il “Presidents Volunteer and Service Award”. Pare che all'Amministrazione Bush, impegnata in una campagna per aumentare le adozioni, il film andasse davvero a genio: sempre alla Casa Bianca il regista, Alejandro Monteverde, ha ricevuto il premio “American By Choice” per il contributo dato al paese come nuovo cittadino americano attraverso “Bella” e in occasione la Giornata nazionale delle adozioni ha invitato Verástegui a parlare a una tavola rotonda in qualità di ambasciatore non ufficiale dell'Onu. Dopo la ribalta politica americana, il team di Metanoia è arrivato a quella europea: invitato dai Parlamentari popolari spagnoli, Verástegui ha presentato “Bella” alla sede del Parlamento di Bruxelles. Insomma, pronto per mollare il cinema e candidarsi? “In realtà io non avevo pianificato che andasse così, ma i politici hanno iniziato a prendere a cuore il nostro film e sono piovuti gli endorsement. So che la politica divide, soprattutto su questi temi, ma a me interessa creare punti di unità. La politica ha un gran potere, è ovvio, ma credo che fra l'arte e la politica sia la prima a poter davvero cambiare le coscienze e governare il mondo. Io non devo scegliere fra le due, faccio l'attore e il produttore cinematografico. Cerco soltanto di coinvolgere politici e media. Per avere un buon politico, uno che combatta per la vita e tutte le cose che importano davvero, bisogna prima avere una cultura mediatica che educhi le persone, che a loro volta eleggeranno politici seri”.

    Non si darà forse alla politica, ma intanto la sua scelta gli è costata il lavoro, un sacco di soldi e la notorietà, e una volta è arrivata persino a un passo dal costargli il suo bel faccino. Quando un pomeriggio, fuori da una di quelle cliniche, Verástegui ha rischiato seriamente di prenderle da un gigante parecchio arrabbiato, e forse, ammette, è stata un po' anche colpa sua. “L'omone, coperto di tatuaggi, accompagnava la sua ragazza ad abortire. Quando mi ha visto all'ingresso dell'ambultaorio ha iniziato a insultarmi in ogni modo e a coprirmi delle parolacce peggiori che avessi mai sentito. Finché é arrivato a calarsi le braghe davanti alle vecchiette che passavano sul marciapiede, e io non ci ho visto più. ‘Vieni qui, che ti faccio vedere come si comporta un uomo vero', gli ho urlato. In realtà quando si è avvicinato ho capito che l'ultima cosa che potessi fare era picchiarlo. Così sono stato lì impalato per 10 minuti a farmi insultare a pochi centimetri dal naso e avevo il cuore in gola. E a un certo punto quello mi grida ‘tu non sai quanto tutto questo sia duro per me, non me lo rendere ancora più difficile'. Mi ha spezzato il cuore. Ho capito che non posso permettermi di giudicare la decisione di abortire stando al di fuori, non sono meglio di chiunque altro. Bisogna essere delicati quando si parla con una donna che non vuole tenere il bambino che ha in grembo, rispettosi del dramma che sta vivendo. Ho rischiato di farmi spaccare la faccia da un energumeno, ma credo di aver imparato la lezione”.