José dell'altro mondo

Una personalità da culto, una grande “moupolitica”

Maurizio Crippa

"Mourinho straparla e spacca il pallone”. Nel paese del centrismo ideologico e del consociativismo travestito da ecumenismo, il titolo che meglio sintetizza lo spavento del sistema rispetto alla “rupture” di José Mourinho non poteva giungere che dall'Avvenire. La mediazione della Cei, l'appello all'unità nazionale.

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    "Mourinho straparla e spacca il pallone”. Nel paese del centrismo ideologico e del consociativismo travestito da ecumenismo, il titolo che meglio sintetizza lo spavento del sistema rispetto alla “rupture” di José Mourinho non poteva giungere che dall'Avvenire. La mediazione della Cei, l'appello all'unità nazionale. Per il resto pochi complimenti a Mou e tutta una gara, piuttosto tartufesca, a mostrare di aver studiato il galateo da piccoli: arrogante, offensivo, chieda scusa, sia deferito. Il giorno dopo la lectio magistralis in comunicazione d'impresa del filosofo di Setúbal, non sono solo i giornali e i giornalisti sportivi a misurare l'entità del ciclone culturale che ha investito l'Italia.

    C'è ad esempio Giampiero Mughini, juventino colto e cortese, che su Libero scrive a Mou una reprimenda travestita da lettera aperta: “Mi aspettavo che lei riconoscesse lealmente l'errore arbitrale… E a quel punto saremmo stati tutti lì ad applaudirla”. Ma non è vero, e Mughini che scrive “non prenda noi italiani amanti del calcio per dei baluba” lo sa bene, che l'avrebbero fatto a pezzi lo stesso. Lui e la sua squadra neo-più odiata dagli italiani. E' il gioco del branco. Mughini ama i bei libri e non le risse, suggerisce: “Si freni, caro Mourinho”. Ma da quando, per l'avido Mughini, essere “fortunato e strapagato” è una colpa? Perché allinearsi, pur con garbo, dalla parte del finto egualitarismo di chi, invece, lo vorrebbe sfortunato e in bolletta? Perché non dirgli: da tifoso, peste e corna a lei; ma da uomo di mondo, bravo, lei ha capito l'Italia?

    Soprattutto quella del calcio, con le sue bassezze. Sul suo blog, Paolo de Paola direttore di Tuttosport ha scritto: “In fondo, se dovesse finire male, andrà via con un bel mucchio di soldi e tanti saluti alle chiacchiere e a chi si arrabbia. Pronto a firmare un altro contratto miliardario. Però lui specifica: ‘A me non piace la prostituzione intellettuale'. Da urlo”. Errore di prospettiva grave. Vera disonestà intellettuale. Perché se c'è uno che lavora senza paracadute, che se cadrà lo farà col botto, e tra la felicità dei suoi nemici, è proprio Mourinho. E lui lo sa. E' sempre stato così: basta la sua biografia. Quanti altri allenatori in Italia, quelli che per De Paola “pur non percependo gli stessi compensi di Mourinho, sono invece temprati a reggere le tensioni”, hanno avuto il coraggio di giocare senza rete?

    E' questa incapacità culturale di capire la differenza tra un provocatore e una persona che si assume i propri rischi che Mourinho ha fatto esplodere. Sotto questo profilo, è imbarazzante ciò che scrive Giancarlo Dotto sulla Stampa, dopo un tentativo di demonizzazione lombrosiana del nemico: “Quel faccino simmetrico da stereotipo cinematografico”; “il seduttore dall'occhio di tenebra”; “faccine imbronciate, fissità paranoidi, sguardi messianici, passaggi profetici, torbidi sospetti, impennate demagogiche”.

    Per Dotto, lontano mille miglia dallo sfiorare anche solo l'essenza del fenomeno, Mourinho “ha ufficialmente aperto anche nel calcio l'era dello sgarbismo, malattia infantile del superomismo”. Lo riduce a epifenomeno mediatico, a problema per l'analista: “Talmente pieno di sé che in qualunque momento potrebbe spiccare il volo come una mongolfiera”. Ma soprattutto, Dotto casca mani e piedi in un altro equivoco culturale. Dice: “Prima vittima del culto della personalità che lo riguarda, aspettando che prima o poi un Morgan o una Simona Ventura, di fattezze celesti sia chiaro, gli riconosca l'X factor che ha in corpo”.

    Il più banale e trito errore di presunzione in cui è sempre caduta anche la stampa britannica: quella di considerare Mourinho un niente, uno che deve ancora dimostrare tutto. E quel che ha vinto, non conta, in un paese sportivo in cui si fanno monumenti a Spalletti, che ha vinto niente rispetto a Mourinho?
    Il finale del pezzo è illuminante: “Certo, possiamo ora dire di saperlo il vero movente (movente, occhio alle parole, ndr) che ha spinto questo non comune personaggio a una così rapida e forbita acquisizione della nostra lingua”. Ovviamente,  “la smania” di dimostrare in fretta “a una nazione intera quanto fosse fortunata nell'ospitare, senza meritarlo, un simile genio”. Provincialismo al cubo. In un mondo di calciatori e allenatori ignoranti, di giornalisti che scrivono male, che un allenatore studi la lingua del paese dove va a lavorare, invece che prova di professionismo, per Dotto è la prova provata che è uno stronzo.

    Ma si decida, il Dotto liquido: o il padrino Maurizio Costanzo o il sommo Carmelo Bene! Meglio ci azzecca Edmondo Berselli. Vola altissimo, cita per Mou addirittura Carl Schmitt: “Sovrano è chi decide sullo stato di eccezione”. L'indimenticato autore di “Il più mancino dei tiri” spiega: “Nel mondo del calcio, che copre il cinismo con le convenzioni, e la ferocia opportunistica con l'ipocrisia, Mourinho fa umanamente il possibile per incarnare un principio di ostilità assoluta”. Capisce che l'essenza della metafora mourinhiana è politica: “E' come se una destra conservatrice, attraverso di lui, fosse riuscita a gestire le categorie rivoluzionarie della sinistra più accesa, il nero che si tramuta nel rosso, la razionalità che si fonde nel romanticismo, l'autorità nell'eversione”.

    Francamente non si capisce perché, per Berselli, Mou sia un autoritario conservatore. Sospettiamo che sia per Fatima, o per il suo acceso individualismo, o perché non parla di Balotelli come di un marcio prodotto della società dei consumi. Sospettiamo che, dalle parti della sinistra, ci sia un po' quest'ossessione.
    E onore a Max Gallo che sul Riformista lo ammette: “D'accordo, sembra Silvio Berlusconi, ha il suo stesso stile mediatico. Si sente sotto attacco e sposta l'attenzione su altro. Un genio”. Mou non chiede permesso ai papaveri. E questo al paese delle mille retoriche di sinistra senz'altro gli fa girare le balle. Dotto insegna. Ma se Berselli ha capito che la rivoluzione di Mou, persino nel calcio, la può fare solo un decisionista di Fatima, perché non lo spiega ai suoi lettori? Altrimenti: ve lo meritate, Giancarlo Dotto.

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    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"