Io sono il film

Maurizio Crippa

Metà Sarkozy metà Celentano, metà Phil Jackson – il mitico coach filosofo dell'Nba – e metà Nereo Rocco, è l'unico evento mediatico e di costume piovuto sull'Italia degli ultimi anni a lavare via un po' di polvere. Un fenomeno che supera lo sport, che ha travolto non soltanto i campi di calcio ma soprattutto gli schermi televisivi condannati alla videonoia.

    Metà Sarkozy metà Celentano, metà Phil Jackson – il mitico coach filosofo dell'Nba – e metà Nereo Rocco, è l'unico evento mediatico e di costume piovuto sull'Italia degli ultimi anni a lavare via un po' di polvere. Un fenomeno che supera lo sport, che ha travolto non soltanto i campi di calcio ma soprattutto gli schermi televisivi condannati alla videonoia. E ancor di più l'intero villaggio globale, afflitto dalla melassa e dalla consorteria, dall'eufemismo e dall'ipocrisia, impoverito e corrivo in ogni suo linguaggio e metalinguaggio. Dove ormai persino il parlare dei politici non riesce a fare di meglio che aggrapparsi a qualche trita metafora sportiva (gli “interventi a gamba tesa”) nel disperato tentativo di comunicare con qualcuno che stia fuori dal Palazzo. E invece arriva un talento speciale, che parla di calcio come se litigasse di politica, che tratta calciatori e colleghi come Tremonti tratta banchieri e industriali. E lo stanno a sentire, si parla solo di lui. Ha costretto tutti quanti a fare un salto di qualità, a partire dal sistema dell'informazione. Comunque vada, la sua sarà una salutare “rupture” dentro a un sistema ingessato e falsamente educato. Ma quel che più conta, ci sta salvando, almeno finché dura, dalla grama prospettiva di morire di pizzichi. Qualsiasi squadra tifiate – e ancor di più se non seguite per niente il calcio – fidatevi: l'uomo di Setúbal è uno dei pochi motivi per cui, attualmente in Italia, valga la pena accendere la televisione o comprare un giornale. Come si può verificare anche solo scorrendo, oltre alle numerose antologie internettiane dedicate alle sue frasi celebri, il libro “Mourinho - Pensieri e parole di un allenatore molto speciale” pubblicato da Cairo editore. Provare per credere, partendo da una selezione dei formidabili “Detti e contraddetti” di José Mourinho, un Karl Kraus portoghese prestato al pallone.

    Attacco
    “Look at my haircut. I am ready for the war”.


    “Il calcio ha un idealismo in sé. Nonostante i soldi a disposizione, bisogna in primo luogo avere un'idea di quello che si vuole fare”. Inizia così la biografia di José Mourinho “Nato per vincere” scritta dal suo quasi omonimo giornalista e amico José Marinho e pubblicata da Cavallo di Ferro. “Quando sono arrivato al Chelsea, mi sono subito reso conto che erano necessarie due cose”, è la prima risposta che gli fornisce Mou: “Organizzare una squadra vincente e costruire una nuova società”. Programmino da niente. La terza cosa di cui si rese conto era di essere sbarcato in terra nemica, e la contraerea della stampa sportiva doveva domarla subito. La miglior difesa è l'attacco, si disse. Fu così che nacque la leggenda dello “Special One”.
    “Non sono uno fatto in serie: sono uno speciale”. Fu la prima risposta che diede alla prima conferenza stampa da allenatore del Chelsea, nel giugno 2004.
    “Non sono mica un pirla”. Fu una della prime risposte che diede da allenatore dell'Inter, durante la sua prima conferenza conferenza stampa in Italia, nel giugno 2008.
    “Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia meglio di me”.
    “Se Abramovich mi aiutasse ad allenare, saremmo in fondo alla classifica.  Se io lo aiutassi negli affari, faremmo bancarotta”.
    “Chiunque può essere intelligente. Il trucco è non pensare che l'altro sia stupido”.
    “Certo che sono speciale. Vorresti avere successo nel tuo lavoro come io ne ho avuto nel mio? Non hai chance”.
    Difesa
    “I don't say we are a defensive team. I say we are a strong team in defensive terms”.

    Il miglior attacco è la difesa
    , tutti sanno che è difficile colpire le squadre di Mourinho, perché è sui difensori tosti che ha sempre costruito i suoi successi. Allo stesso modo, è difficile fargli male nello scontro dialettico: perché la sua prima mossa, paradossalmente per uno che viene sempre ritratto da guascone, è parare per primo il possibile colpo, smontando con azione preventiva le armi degli avversari.
    “Se avessi voluto un lavoro facile sarei rimasto al Porto, con una bellissima sedia blu, una Champions in bacheca, Dio e dopo Dio il sottoscritto”.
    “Alcune persone mi amano, altre non mi amano affatto. Questo è il calcio, questa è la vita”.
    “Non sono andato in chiesa a pregare: ‘Per favore, fammi andare in Inghilterra'”.
    “La verità è come l'olio d'oliva, ma a volte affiora troppo tardi”.
    “So tutto degli alti e bassi del calcio, so che un giorno sarò licenziato”.
    “Noi tutti vogliamo suonare una musica fantastica, ma se non è possibile, dobbiamo provare a infilare il maggior numero di note giuste possibile”.
    “Mi chiedete se ho fatto i salti di gioia sapendo che quello era il nostro arbitro? No”.
    “I miei giocatori sono sempre i migliori al mondo anche se non lo sono”.
    “Nel calcio non ci sono superuomini, ci sono solo uomini che vincono più spesso di altri”.
    “Forse ho vinto troppo presto e a volte mi sento vittima del mio stesso successo”.

    Possesso palla
    “Non raccontatemi il vostro film, io stesso sono un film”.


    La sua idea del calcio, come ormai sanno tutti, è minuziosa e pragmatica, più attenta alla strategia che affidata alla fantasia. Nel gergo calcistico, ruota attorno ai concetti del possesso palla e dell'occupare di più e meglio degli altri la maggior porzione possibile del campo. E fuori dal campo, significa la capacità di stare sempre al centro dell'attenzione, attirarla su di sé, controllare il gioco degli altri. Quella che spesso è considerata pura arroganza, è una capacità di imporre la propria leadership mentale.
    “E' naturale che mi prepari in funzione di quelli che pretendo siano i messaggi chiave da far passare”.
    “L'unica cosa che non possiamo controllare sono i nostri tifosi”.
    “Quando affronto i media, può essere che non ne abbia sempre voglia. Ma quando li affronto prima e dopo una gara, io lo vivo come parte della gara”.
    “I giovani giocatori sono come i meloni. Solo quando li apri e li assaggi puoi capire se sono davvero buoni al cento per cento”.
    “Lo stile con cui si gioca è molto importante, ma è come con le omelette e le uova. Niente uova, niente omelette: dipende dalla qualità delle uova. Se non ti puoi permettere le uova di buona qualità, è un problema”.
    “La vita non è facile né per chi vive in permanente difficoltà né per chi è un'icona del successo. Gestire bene il successo significa dominare mentalmente la società, una società che ci adora e che vuole una nostra permanente fortuna. Ma, nello stesso tempo, è una società che ci invidia e che spera, a volte avidamente, nel nostro insuccesso”.
    “E' l'aspetto negativo del football. La faccia negativa della nostra società. La gente spesso va a vedere il calcio e si porta dietro tutte le cose negative che ci sono nella società”.

    Avversari
    “Se non mi toccano, non tocco nessuno. Se mi toccano, sarò pronto a colpire ancora più forte”.


    Si è rosicato molto, da parte delle tifoserie avversarie e del molto mondo giornalistico e di para-addetti ai lavori che detesta cordialmente Mister Mourinho, sul presunto “brocardo” che Mou avrebbe pronunciato nello spogliatoio di Bergamo, quando l'Inter stava sotto di tre gol in una partita tremenda e Mou sarebbe sbottato con un “il primo campionato l'avete vinto in segreteria, gli altri senza avversari”. Ma nessuno si vuole ricordare che il modo duro di trattare non solo gli avversari ma anche i suoi giocatori è da sempre una parte essenziale dello stile comunicativo di Mourinho. Quello che lo fa amare od odiare. Ad esempio, al primo anno al Chelsea, racconta di aver esordito con durezza con i suoi nel primo allenamento. E' qui che nasce la leggenda del duro, dell'uomo che non guarda in faccia a nessuno e, quando può, fa lo sgarbato.
    “Tutti voi siete giocatori eccellenti, ma nessuno ha mai vinto una Premier o una Champions League, non sarete giovatori di successo finché non l'avrete vinta”.
    Arsene Wenger, allenatore dell'Arsenal, è stato una delle sue vittime preferite in Gran Bretagna: “Wenger ha dei seri problemi con noi, credo  sia quello che in Inghilterra viene chiamato un voyeur”.
    E ancora: “Molti grandi tecnici non hanno mai vinto una Champions. Un esempio è vicino a noi”.
    Dell'allenatore del Liverpool: “Quanti campionati ha vinto Benitez da quando è al Liverpool? Zero. E quanti nomi sono stati suggeriti alla stampa per sostituirlo? Zero”.
    Le litigate con Claudio Ranieri, attuale allenatore della Juventus, cui a inizio stagione aveva detto con poco garbo e molta voglia di menare le mani che “lui ha quasi settant'anni e ha vinto solo una Super Coppa. Una coppa piccola”, risalgono in realtà a molto prima, quando Mou arrivò al Chelsea sostituendo il tecnico italiano e Ranieri dichiarò che avrebbe fatto fatica lì, mica era come stare in Portogallo: “Se qualcuno di voi è amico di Ranieri o ha il suo numero di telefono, dovrebbe chiamarlo e spiegargli che una squadra per vincere la Champions deve battere molte squadre di molti paesi”.
    E anche: “Il Chelsea ha speso molto. E lui ci ha lasciato tanti giocatori che ora non riusciamo a vendere”.
    A Carletto Ancelotti, che lo aveva punzecchiato sostenendo che non poteva essere un grande allenatore non essendo stato in precedenza un grande calciatore, ha dato una risposta che resterà negli annali: “Il mio odontoiatra è bravissimo, anche se non ha mai avuto il mal di denti”.
    A Frankie Rijkaard, allora coach del Barcellona, aveva sibilato qualcosa di simile: “Ha ragione quando dice che la mia  carriera di calciatore in confronto alla sua è inesistente. Ma io ho ragione se dico che la sua carriera di allenatore rispetto alla mia è altrettanto inesistente, perché lui non ha vinto niente, e io ho vinto molto”.

    Words of wisdom
    “Nella mia vita ci sono delle priorità. E le mie priorità non riguardano il calcio”.


    “Non è l'uomo presuntuoso che viene sempre raccontato, non è attaccato al denaro più di quanto lo siamo noi”, ha scritto il suo quasi omonimo Marinho, che lo conosce bene ma pure non gli fa sconti. Passerà agli annali anche un episodio di quest'anno, all'inizio della sua avventura italiana. Quando a fine partita a Reggio Calabria si arrampicò sugli spalti per regalare “qualcosa” a un ragazzo disabile che era lì a vedere la partita. Scoppiò una polemica immediata nel dopo partita, perché fu accusato di avere con disprezzo, lui ricco e potente allenatore della squadra potente, “dato l'elemosina” in modo offensivo a un povero e sfortunato ragazzo di Calabria. Invece, Mourinho gli aveva regalato un Crocefisso benedetto che arrivava da Fatima, regalo di sua moglie, al quale era molto affezionato e che lui, cattolicissimo, baciava a ogni fischio d'inizio. Un'altra volta, lo Special One era uscito dallo schema meschino a cui siamo spesso abituati, e aveva preso tutti quanti in contropiede.
    “Una cosa mi irrita tantissimo, la calunnia. Per esempio: in Portogallo io vado frequentemente a Fatima e vado perché mi piace andare. E ho sentito gente che diceva e scriveva: ‘Va a Fatima prima di una partita importante'. Come si fa ad andare a Fatima a chiedere di vincere una partita? La mia vita non è il calcio”.
    “Non ho consiglieri di immagine, né per le cose pubbliche, né per quelle professionali e private. Il vero consigliere d'immagine è la mia coscienza, il mio vero Io”.
    “E' mia moglie il vero allenatore della vita della famiglia. Mi dice sempre: ‘Fuori di qui tu sei la star, ma qui dentro non sei una star'”.
     “Consiglio ai miei giocatori di non circondarsi di individui che sanno solo idolatrarli. Dobbiamo fare la fila come gli altri, dobbiamo pagare le multe e aspettare il nostro turno al ristorante, gli altri sono sempre fondamentali nella nostra percezione del mondo”.
    “Se mi considero ricco? Guadagno molto denaro. Più di quanto potessi mai immaginare. Non ho problemi finanziari. Ma vivo come vivevo anni fa. La mia esistenza non è cambiata”.

    Rupture
    “Sono assolutamente contrario al vecchio adagio che dice: tutti dovrebbero essere trattati alla stessa maniera. Non è così. Siamo tutti diversi e tutti meritiamo un trattamento specifico”.


    “In Europa c'era un ragazzo che osava pensare in grande. Era ambizioso, voleva essere informato e coraggioso quando entrò in un mondo dominato da persone unite da legami e princìpi tradizionalisti. Il ragazzo è arrivato. Ha detto che voleva vincere e ha vinto. Ha detto che era uno dei migliori e l'ha dimostrato. Ha detto che non voleva far parte del sistema ed è rimasto indipendente. Ha detto che gli squali attorno a lui non lo spaventavano e ha nuotato in mezzo a loro. La morale della storia è di non ascoltare quelli che ti dicono di non suonare il violino, ma di continuare a suonare il tamburo”.

    • Maurizio Crippa
    • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

      E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"