Se Amnesty accusa Hamas di strage (quasi) nessuno le dà voce

Carlo Panella

Un'incredibile cappa di silenzio circonda da giorni sui media mondiali una denuncia clamorosa di Amnesty International. Pure, il dossier presentato il 10 febbraio scorso è da prima pagina, perché documenta le operazioni da macelleria che Hamas conduce contro gli uomini di Abu Mazen a tutt'oggi, a settimane dalla fine dei combattimenti con Israele.

    Un'incredibile cappa di silenzio circonda da giorni sui media mondiali una denuncia clamorosa di Amnesty International. Pure, il dossier presentato il 10 febbraio scorso è da prima pagina, perché documenta – spesso con nomi e cognomi – le operazioni da macelleria che Hamas conduce contro gli uomini di Abu Mazen a tutt'oggi, a settimane dalla fine dei combattimenti con Israele, durante i quali aveva già eliminato una quarantina di avversari. Nonostante l'abituale meticolosità di Amnesty, non tutti i nomi delle vittime sono conosciuti e le cifre sono per approssimazione, ma si tratta di non meno di 50 palestinesi giustiziati da palestinesi (naturalmente senza processo), durante l'operazione israeliana e di una ventina di palestinesi giustiziati da palestinesi dopo – ripetiamo: dopo – la fine dell'operazione israeliana. A questi si aggiungono alcune centinaia di palestinesi “gambizzati, torturati, con rottura degli arti, percossi da palestinesi, spesso – denuncia Amnesty – “prelevati dai letti di ospedale in cui erano ricoverati per le ferite dei bombardamenti israeliani, o sequestrati di notte dalle loro abitazioni, o fermati arbitrariamente per strada”. L'accusa, per tutti, è “collaborazionismo” con Israele, ma la pretestuosità è facilmente individuabile: nella quasi totalità si tratta di militanti di al Fatah, la cui unica colpa è la fedeltà ad Abu Mazen.

    Notizia impressionante, dunque, strage di innocenti, squadracce islamiste scatenate nelle strade di Gaza a seminare morte e terrore. Invece, niente. Nulla. Silenzio: nessun media del mondo ritiene queste scene da mattatoio degne di nota, di spazio, di rilievo. L'opinione pubblica mondiale non deve sapere e non sa che i palestinesi massacrano palestinesi (ed è un vizio antico, che iniziò nel 1929). Pure, Amnesty International non è sospettabile di parzialità. Da sempre, e più ancora dal 28 dicembre scorso, è stata in prima linea nel denunciare “i crimini di guerra israeliani”, aggiungendo alle accuse per le uccisioni dei civili quelle per l'uso di bombe al fosforo. Solo che Amnesty, a differenza di altre organizzazioni umanitarie “schierate”, mantiene una sua serietà di analisi e sin dal 28 dicembre ha denunciato i “crimini di guerra di ambo le parti” (incluso l'uso di bimbi palestinesi come scudi umani).  Crimini denunciati da al Fatah e da Abu Mazen con una lista di nominativi di vittime palestinesi  del terrore di Hamas a Gaza e con aperte accuse di terrorismo nei confronti di Hamas. Lista di crimini, peraltro, indirettamente confermata dal portavoce di Hamas Ihab al Ghusein che l'ha commentata sostenendo freddamente che Hamas ha voluto solo punire “una rete di spie e collaborazionisti dell'occupante sionista, creata dall'Anp” e diretta da Mohammed al Habbash, che è figlio di un ministro del governo Fayad con cui al Cairo si dovrebbe ricucire un dialogo nazionale interpalestinese.

    Evidentemente la notizia che i palestinesi di Hamas continuano (iniziarono con le stragi del 2007 con circa 300 giustiziati) a massacrare i palestinesi di al Fatah non deve esistere. E non esiste. Disturberebbe infatti non soltanto i luoghi comuni sulla ferocia israeliana, ma avrebbe l'effetto intollerabile di giustificare la violenza delle reazioni di Gerusalemme e di rendere indegne tutte le aperture (non solo di D'Alema, ma anche di un Blair scandalosamente latitante dal medio oriente di cui dovrebbe occuparsi) che considerano Hamas un'interlocutore indispensabile. Ma Hamas, come risulta dalle denunce di Amnesty, è più che un'organizzazione terrorista: è un coacervo di squadracce che semina terrore sulla sua stessa gente (silenzio dei media anche sulla persecuzione dei cristiani, così come sulla distruzione sanguinaria di tutti gli Internet cafè di Gaza), che si macchia le mani con omicidi e torture e che intossica i bambini, esortandoli a diventare martiri con i suoi cartoni animati in televisione. In un mondo in cui si succedono le iniziative buoniste per mettere al bando i “soldati bambini”, nessuno alza un ciglio, nessuno protesta per le notizie – che pure i media riportano, in piccolo, quasi divertite – di pupazzi animati della televisione di Hamas che invitano i bambini palestinesi a “diventare martiri”. Quando si tratta di palestinesi, la ferocia sui bambini evidentemente diventa folklore.

    In questo contesto, si svolgono al Cairo due trattative parallele e interdipendenti. La prima riguarda la formazione di un governo palestinese “tecnico” che dovrebbe permettere una sospensione dei massacri interpalestinesi e forse – ma non è detto – l'accordo per tenere elezioni politiche (anticipate) e presidenziali (posticipate: il mandato di Abu Mazen è scaduto il 9 gennaio) entro l'estate. Le due delegazioni hanno lasciato ieri il Cairo per riferire a Ramallah e a Gaza (ma soprattutto a Damasco), e pare che l'intesa sia vicina. Più complessa la seconda trattativa mediata da Omar Suleiman tra Hamas e Ehud Olmert.

    L'accordo, già annunciato per lo scorso fine settimana, è già stato definito per quanto riguarda l'impegno di Hamas a cessare il lancio di missili sul Negev e a rispettare una tregua di 18 mesi (i due punti su cui era indisponibile quando scadde a dicembre la tregua semestrale precedente, provocando così l'operazione Piombo fuso di Gerusalemme), da parte sua, Israele si impegna a lasciare aperti i valichi, e dà il suo assenso all'apertura egiziana del valico di Rafah. Resta però sospesa la questione cruciale per Israele del rilascio del caporale Gilad Shalit, detenuto illegalmente da Hamas dal 2006. Ehud Olmert ha dichiarato che senza la liberazione di Shalit, il suo governo non firma nulla, provocando una dura reazione egiziana che giudica le “due questioni assolutamente non collegate” (in realtà, lo scoglio riguarda il rifiuto israeliano di liberare alcuni palestinesi – 1000 è la cifra pattuita – responsabili di gravi attentati). A sostenere la posizione di Olmert è però intervenuta la Francia, che sta facendo pressione sull'Egitto per un “accordo parallelo”.