Così sui monti di Davos sta nascendo l'Eurorussia

Redazione

Con un nuovo presidente alla Casa Bianca a parole disponibile a sedersi a tutti i tavoli del dialogo, Mosca può realizzare l'obiettivo perseguito negli ultimi anni: disegnare un nuovo ordine mondiale. Per farlo, però, ha bisogno di un partner come l'Europa per confrontarsi con le altre due potenze mondiali, Stati Uniti e Cina.

    Lo spirito di Pratica di Mare sembra essere ricomparso sulle montagne di Davos. L'appello alla “cooperazione” lanciato dal primo ministro russo, Vladimir Putin, nel suo intervento al World Economic Forum ha segnato una rottura con il tono aggressivo e l'attitudine belligerante che finora aveva caratterizzato la politica estera di Mosca. Niente più guerre verbali o reali con l'occidente: di fronte alla crisi economica globale, “non possiamo permetterci di essere isolazionisti o egoisti. Siamo tutti sulla stessa barca”, ha spiegato Putin, descrivendo una Russia affidabile su energia, commercio e geopolitica. “Ci auguriamo che i nostri partner in Europa, Asia e America vogliano cooperare costruttivamente”, ha detto il premier, quasi a voler sgombrare l'orizzonte dalla minaccia di un'altra Guerra fredda. In realtà, con un nuovo presidente alla Casa Bianca a parole disponibile a sedersi a tutti i tavoli del dialogo, Mosca può realizzare l'obiettivo perseguito negli ultimi anni: disegnare un nuovo ordine mondiale. Per farlo, però, ha bisogno di un partner come l'Europa per confrontarsi con le altre due potenze mondiali, Stati Uniti e Cina. Il discorso del presidente russo, Dmitri Medvedev, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco la prossima settimana – lo stesso palco da cui nel 2007 Putin annunciò il ritorno della Guerra fredda e di una Russia aggressiva sulla scena internazionale – sarà decisivo per sapere se il nuovo tono conciliante di Mosca porterà alla nascita dell'Eurorussia.

    Il mondo e la Russia sono cambiati due volte da quando, nel maggio del 2002, il Cav. convocò i capi di stato e di governo della Nato per sancire l'alleanza tra Putin e l'occidente. Lo slancio che avrebbe dovuto portare all'ingresso russo nell'Alleanza si interruppe rapidamente, vittima di un cambio di direzione a Washington e Mosca, dopo la breve luna di miele seguita al primo incontro tra George W. Bush e Vladimir Putin. Nel suo secondo mandato, Bush ha lavorato per l'ingresso dell'ex spazio sovietico nella Nato e al consolidamento della propria influenza politica e militare ai confini russi. Le rivoluzioni colorate in Georgia e Ucraina, lo scudo antimissilistico in Repubblica ceca e Polonia e il riconoscimento del Kosovo hanno alimentato il senso di accerchiamento di Mosca. In risposta, Putin ha utilizzato gli enormi profitti di petrolio e gas, l'arma energetica e l'Armata rossa per riconquistare spazio geostrategico e potere. Le forniture di gas più volte interrotte, la minaccia di puntare i missili nucleari contro l'Europa e la guerra in Georgia hanno corroborato l'impressione di una Russia nuovamente imperialista. Il 2009 e la crisi economica, invece, sembrano aver riportato i rapporti russo-occidentali alla casella di partenza di Pratica di Mare. Due nuovi presidenti apparentemente più concilianti, Barack Obama e Dmitri Medvedev, occupano la Casa Bianca e il Cremlino. L'America è più interessata ai suoi guai economici interni che alla libertà di Tbilisi e Kiev o alla strategia per contrarre la minaccia iraniana. La Russia ha visto precipitare il prezzo del greggio e le sue riserve monetarie e ha riscoperto che la “barca” globale – come ha detto Putin a Davos – è fatta di “interessi comuni” e “dipendenze reciproche”.

    A differenza di Pratica di Mare, però, l'interlocutore prescelto da Mosca non sono gli Stati Uniti, ma è l'Europa. O meglio: i più forti tra i paesi dell'Europa occidentale. Al World Economic Forum, Putin si è lasciato andare a un rude attacco contro i capitalisti americani: “Un anno fa, i delegati americani che parlavano da questo palco enfatizzavano la stabilità dei fondamentali dell'economia americana. Oggi, le banche di investimento, l'orgoglio di Wall Street, hanno virtualmente cessato di esistere”. L'Europa, invece, a Davos è vista come un possibile modello per il XXI secolo, sicuramente più attrezzata per uscire rapidamente dalla crisi. Kenneth Rogoff, professore di Economia a Harvard, si aspetta che “il rallentamento americano sia più lungo e profondo” di quello europeo, perché “il sistema finanziario dell'Europa è meno compromesso” e i paesi europei hanno “già una forte protezione sociale”. Il tasso di crescita di Germania, Francia e Italia subisce meno oscillazioni di quello americano, grazie al peso della spesa pubblica nei loro bilanci nazionali. Secondo alcuni economisti, il welfare europeo non è una zavorra dell'espansione economica, anzi. Uno studio di Goldman Sachs rivela che, dal 1998 al 2008, la crescita del pil nella zona euro è stata in media del 2,2 per cento contro il 2,6 negli Stati Uniti. Ma se misurata su base pro-capite, la zona euro sorpassa l'America: 1,8 contro 1,6. Soprattutto, la Germania alla fine potrebbe riuscire a schivare la crisi globale. Stefan Homburg, professore di Finanza pubblica all'Università di Hannover, dice di “non vedere la crisi in questo momento”. La crescita reale nel secondo e terzo trimestre del 2008 è stata del 3,3 e 1,3 per cento, “numeri impressionanti rispetto all'anno precedente”. Il numero di disoccupati è a tre milioni, “ben lungi dai cinque milioni di quattro anni fa, quando c'era molta meno isteria di oggi”.

    In un mondo multipolare dove i rapporti di forza contano, una Russia in declino economico ha bisogno di un interlocutore ricco come l'Europa. “La crisi russa non riguarda le attività tossiche”, spiega Andrei Kostin, presidente di Vtb Bank, la più grande banca russa. Oltre al crollo del prezzo del greggio, “c'è il taglio dei finanziamenti occidentali”. Negli anni del boom sotto la presidenza Putin, le imprese russe avevano ottenuto più di 500 miliardi di dollari in finanziamenti dagli investitori occidentali, più delle riserve monetarie e auree presenti nelle casseforti del Cremlino. L'Europa è il partner commerciale numero uno di Mosca e quindi, avverte Kostin, “un ritorno russo alla crescita economica stabile non è possibile” senza una ripresa europea. Ma anche l'Europa ha bisogno della Russia, da cui dipende per le forniture di gas, petrolio e materie prime. Berlino, Parigi e Roma sono i più interessati a una partnership strategica con Mosca. Nemmeno l'ultima crisi del gas ha intaccato i rapporti tra queste capitali e Mosca. Nonostante il taglio delle forniture all'Ue, “gli schieramenti sono rimasti gli stessi”, spiega al Foglio un diplomatico europeo. La Commissione e la Repubblica ceca promuovono il gasdotto Nabucco, per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, scrive lettere di protesta, perché Bruxelles deve finanziare Nord Stream e South Stream, le due pipeline costruite da Germania e Italia in collaborazione con Gazprom.

    Nel nuovo contesto globale, le grandi capitali europee e Mosca hanno un interesse comune a cooperare per influenzare la partita tra America e Cina. L'economia americana e cinese sono strettamente interdipendenti – la Cina è il più importante creditore degli Stati Uniti e dipende dai consumi americani per le sue esportazioni –, ma la crisi ha messo in luce nuove tensioni tra Washington e Pechino. Il segretario al Tesoro americano, Timothy Geithner, ha accusato la Cina di “manipolare” la sua moneta per pompare le esportazioni. Il premier cinese, Wen Jiabao, ha risposto a Davos con parole dure contro “l'insostenibile modello di sviluppo (americano) caratterizzato da bassi risparmi e alti consumi”, “la cieca ricerca del profitto” e “il fallimento nella supervisione finanziaria”. Stati Uniti e Cina sono condannati a una convivenza economica forzata: in settembre Pechino ha superato Tokyo come primo compratore di debito del Tesoro americano. Ma i funzionari cinesi hanno iniziato a discutere se non sia troppo rischioso investire negli Stati Uniti e i 2 trilioni di dollari di riserve della Cina fanno gola a Russia e Europa. Mercoledì, Putin e Wen hanno aperto insieme il Forum di Davos.

    Venerdì il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, ha srotolato il tappeto rosso al premier cinese, annunciando un Vertice Ue-Cina in primavera. Giovedì Merkel e Wen hanno promesso di sostenersi l'uno con l'altro contro la crisi. La Russia vuole vendere a Pechino gas, petrolio e altre materie prime. L'Ue spera nei suoi investimenti e nel suo enorme mercato per uscire dalla crisi. L'Eurorussia ha però alcuni inconvenienti, primo fra tutti il rischio di far implodere la Nato e l'Ue. Dopo aver usato il “dividi et impera”, la coppia Medvedev-Putin ha tatticamente scelto di abbassare i toni. Mosca ha autorizzato il passaggio sul suo territorio di materiale non militare della Nato verso l'Afghanistan. Il ministero della Difesa ha preannunciato una marcia indietro sull'installazione di missili a Kaliningrad in risposta ai segnali di scetticismo di Obama sullo scudo antimissile americano. “Sono bluff”, dice Jiri Schneider del Security Studies Institute di Praga: “L'occidente non deve cadere nella trappola”. Ma agli occhi di Mosca né i piccoli paesi né l'Ue contano: Putin e Medvedev trattano soltanto con le grandi capitali. Se alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco si confermerà la distensione con l'occidente e il disinteresse dell'Amministrazione Obama per lo spazio dell'est dell'Europa, il progetto Eurorussia sarà nelle mani di Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e Silvio Berlusconi: al vertice Nato di Khel e Strasburgo in aprile e in quello del G8 sotto la presidenza italiana a luglio.