Il mondo di O. maschera per maschera

Redazione

 

Nella primavera del 2007, ben prima che Sarah Palin diventasse un'icona femminista, prima che Jeremiah Wright e Bill Ayers sollevassero le loro teste, prima che Hillary Clinton mettesse anche solo in dubbio la sua adeguatezza alla carica di presidente, la principale nemesi di Barack Obama era un ventinovenne assistente di studio legale, Joe Anthony. Anthony aveva attratto decine di migliaia di ammiratori su una pagina di MySpace che aveva creato per Obama.

     

    Nella primavera del 2007, ben prima che Sarah Palin diventasse un'icona femminista, prima che Jeremiah Wright e Bill Ayers sollevassero le loro teste, prima che Hillary Clinton mettesse anche solo in dubbio la sua adeguatezza alla carica di presidente, la principale nemesi di Barack Obama era un ventinovenne assistente di studio legale, Joe Anthony. Anthony aveva attratto decine di migliaia di ammiratori su una pagina di MySpace che aveva creato per Obama. A Chicago il suo sito ispirava forti mal di pancia. I pezzi grossi che giravano intorno a Obama erano preoccupati all'idea di dover cedere il controllo dell'immagine della campagna elettorale alle folle online. Così fecero sì che MySpace oscurasse Anthony. Non entrerà negli annali della storia americana come una seconda battaglia di Gettysburg, ma l'episodio era un presagio. La campagna ha dedicato gran parte delle primarie a soffocare blog e gruppi di internauti. In primavera, quando le mire di Obama sulla nomination erano ormai corazzate, gli organizzatori della campagna hanno scoraggiato i donatori dal destinare i loro soldi ai gruppi esterni fioriti alla fine degli anni 90, cancellando di fatto i fondi per gran parte della struttura indipendente del partito, e chiedendo a quegli stessi gruppi di non comprare spot tv (volevano che i dollari disponibili fossero concentrati su Obama). A giugno, Obama ha annunciato di voler trasferire parte delle operazioni del Democratic National Committee (Dnc) a Chicago, con uno spostamento senza precedenti dell'apparato del partito.

    Il consolidamento ha reso il messaggio del partito più coerente e i suoi ingranaggi più efficienti che mai. Ma le conseguenze vanno ben oltre le recenti elezioni. Il presidente eletto ha avviato una rivoluzione nel Partito democratico, sostituendo un establishment a lungo dominato dai Clinton e, più recentemente, da blogger e miliardari progressisti, con uno nuovo, costruito sulla sua immagine. L'elenco che segue è, per noi, il tentativo di mettere ordine nella nuova gerarchia, e per voi una guida sugli uomini e le donne che domineranno la politica progressista nell'età di Obama.

    Pensate anche solo ai modi con cui la nuova Casa Bianca potrà scavalcare gli intermediari tradizionali. La forza della base della campagna di Obama l'ha reso più indipendente dalla stampa di quanto sia mai successo nella storia recente. Senza più Bush su cui accanirsi, i devoti degli emergenti media di sinistra, come i dipendenti della Msnbc del presidente Phil Griffin, potrebbero rivolgere troppe attenzioni al loro eroe. Pensiamo anche alla raccolta fondi. E' stato stimato che, se Obama avesse voluto sostenere un candidato in uno stato, avrebbe potuto raccogliere 3 milioni di dollari con una sola e-mail. Cifre ben diverse dai 100 mila-1 milione di dollari di MoveOn.org, di gran lunga il più grande operatore di raccolta fondi della rete, secondo il blogger Matt Stoller. E' già difficile trovare un democratico appena eletto a Washington che non debba la sua posizione ai soldi e alla macchina organizzativa di Obama. Persino i democratici dei collegi del sud, più conservatori e spina nel fianco dei nuovi presidenti, devono parte della loro crescita alla partecipazione al voto dei neri attratti da Obama. Come possono opporre resistenza quando Obama verrà a chiedere voti? 

    Saranno uomini come Rahm Emanuel e Dick Durbin, da tempo legati a Obama, a definire la rotta del partito a Capitol Hill. I veterani di Washington che conteranno ancora qualcosa sotto Obama saranno probabilmente quei rifugiati che hanno firmato un patto con lui sin dagli inizi. Quelli più vicini all'ex leader del Congresso Tom Daschle si sono risentiti a vedere come gli adepti dei Clinton siano riusciti ad aggrapparsi con le unghie al potere per vari anni dell'Amministrazione Bush. Daschle ha dato il suo appoggio a Obama nel febbraio 2007, e ora è candidato a una posizione importante nell'Amministrazione. I sostenitori più vicini a John Kerry ribollono d'ira a pensare agli affronti dei Clinton. Molti dei suoi principali fundraiser e consulenti ora popolano Obamaland. Il senatore, che a gennaio aveva dato a Obama il suo appoggio, è candidato alla segreteria di stato. Il che non significa che il vecchio establishment sarà del tutto escluso dai giochi. Anzi. Il governo federale è enorme, mentre la riserva di uomini di potere a disposizione di Obama è quantomai risicata, per cui gli sarà impossibile governare senza farvi ricorso. Obama manca di amici fidati che possa plausibilmente mettere sui gradini più alti della sua Amministrazione. Se non riuscirà a imporre la sua volontà a Washington, il labirinto della burocrazia sarà il suo tallone d'achille.

    Saranno i clintoniani a esercitare un'influenza sovradimensionata nelle file di Obama, dato che posseggono buona parte dell'esperienza disponibile nel partito in economia e politica estera. Il che aiuta a comprendere perché Larry Summers e Tim Geithner, due protetti di Bob Rubin, il padrino economico di Clinton, siano tra i principali candidati al dipartimento del Tesoro. E perché ex clintoniani come James Steinberg e Greg Craig potrebbero finire per gestire l'apparato della sicurezza nazionale. Il fatto è che i clintoniani, redivivi, si sono adeguati all'era Obama, e non viceversa. Negli anni 90, la “Rubinomics” indicava parità di bilancio e crescenti libertà commerciali. Summers ha trascorso gli ultimi anni a dare l'allarme sulla disuguaglianza delle retribuzioni e a porre interrogativi sul funzionamento del commercio internazionale.

    In più sensi, il passaggio del testimone a Obama rappresenta un altro trionfo dell'idea centrale della strategia perseguita in campagna elettorale: è sempre più facile modificare di poco i sistemi esistenti per far pendere la bilancia a proprio vantaggio che addentrarsi in territori non amici. Obama non ha preso il potere dalle mani del solito establishment democratico, ma ha creato una nuova realtà sul campo: quasi dieci milioni di elettori registrati per la prima volta, oltre ai sostenitori online che hanno reinventato la politica americana. Quel fruscio che sentite in sottofondo è prodotto dagli ultimi tra gli ultimi adepti del partito ormai passato che si affrettano a salire a bordo.

    David Axelrod, capo della strategia della campagna di Obama
    All'inizio, aveva dichiarato che non gli interessava portare il suo ragazzo a Washington. Ma è difficile credergli. L'artefice della strategia di Obama potrebbe seguire la strada di Karl Rove e sacrificare i suoi lucrosi affari di consulenza (è diventato senior adviser della presidenza, come Rove, ndr). Ma potrebbe anche seguire il sentiero tracciato da James Carville: lavorare per il Dnc ed essere onnipresente nello studio ovale. Anche se Axelrod non fa politica, il suo talento per le strategie plasmerà le decisioni chiave dell'Amministrazione: Obama tenterà il tutto per tutto o ci andrà piano? Non c'è dubbio che in testa avrà sempre quattro cifre: 2012.

    2. Rahm Emanuel, chief of staff di Obama
    Il chief of staff di Obama potrebbe essere il Dick Cheney di questa Amministrazione, il cattivo con le mani in pasta ovunque. “Rahmbo” è rispettato e temuto, ed è un secchione incredibile. Emanuel potrebbe essere un interessante chief of staff per via della sua fama di lealtà e capacità di chiamare a raccolta i democratici. Quelli al Congresso che non devono a lui il proprio posto ne sono spaventati. Questa scelta, come gran parte del mondo di Obama, avrà l'impronta di Axelrod: Ax firmò il “ketubah” al matrimonio di Emanuel.

    3. Valerie Jarrett, ceo di Habitat e consulente della campagna di Obama 
    Le chiacchiere su Obama dicono che ha pochi irriducibili seguaci fedeli in grado di ricoprire ruoli di alto livello. E' questo che rende la Jarrett tanto essenziale. Durante la campagna si parlavano ogni giorno e lei ha fatto da stratega, ambasciatrice e “sicario”. Con la tendenza di Obama a fare affidamento su vecchie figure di Washington, e dell'Amministrazione Clinton, avrà bisogno di almeno un difensore dei propri interessi in sala. Ci sono voci su una sua nomina a segretario per l'Edilizia e lo Sviluppo urbano, ma alcuni problemi legati a progetti abitativi gestiti dalla Habitat potrebbero scombussolare la sua conferma. Obama è più propenso a volerla in giro per la Casa Bianca.

    4. Nancy Pelosi, speaker della Camera dei rappresentanti
    Se Obama dovesse fallire alla svelta, la causa più probabile sarebbero i democratici indisciplinati alla Camera. I democratici conservatori, e ce ne sono moltissimi, vorranno che Obama metta a posto i conti; i liberal desidereranno il massimalismo su tutti i fronti; e i timorosi concentrati sul 2010 chiederanno prudenza. Questo significa che il destino della presidenza è legato alle capacità in materia di disciplina della speaker. Per fortuna, si tratta di un vero e proprio pitbull in gonnella. Faccendiera e tattica più che idealista di San Francisco, bazzicherà dietro le quinte concludendo affari e minacciando di far saltare qualche testa.

    5. Tom Daschle, ex leader della maggioranza al Senato, South Dakota
    Ha scommesso subito su Obama, e gli ha anche prestato il suo imprimatur di membro della classe dirigente e la sua intera macchina politica, che ha dimostrato di includere alcune delle strategie più innovative della campagna. Da quando ha lasciato il Senato, Daschle è diventato un esperto di assistenza sanitaria. Potrà non aver ottenuto il ruolo di chief of staff che tanto desiderava, e per il quale il lobbismo della moglie è stato visto in modo molto negativo, ma potrebbe ancora finire alla Casa Bianca, o a fare il segretario alla Sanità e ai Servizi. E' sicuro che sarà tra le figure centrali che plasmeranno una delle priorità di Obama.

    6. Larry Summers, amministratore delegato, D.E. Shaw & Co.
    Migliore mente economica del partito, la sua credibilità tra i democratici è aumentata negli ultimi mesi. I suoi articoli sul Financial Times rivelano una sua svolta a sinistra. Diversamente da Rubin, il disastro finanziario, di fatto, getta un'ombra sul suo ultimo mandato a Washington. Se Obama non lo rimanda al Tesoro, l'incarico potrebbe anche andare al suo protetto, Tim Geithner, che potrebbe essere chiamato a sostituire Bernanke alla Fed nel 2010.

    7. Generale David Petraeus, capo del Comando centrale americano
    Petraeus è un politico provetto, da cui le voci su una sua futura corsa alla Casa Bianca. Negli ultimi mesi ha tenuto ufficiosamente i contatti con Obama, creando un rapporto ben oliato. E' d'aiuto il fatto che le loro posizioni su Afghanistan e Iraq abbiano cominciato a convergere. Il successo del “surge” in Iraq ha rafforzato la credibilità di Petraeus, perciò Obama vorrà la benedizione del generale per la propria strategia o, quantomeno, cercherà di evitare uno scontro con lui. Un rapporto antagonistico farebbe salire Petraeus in cima alla lista dei desideri del Gop per il 2012.

    8. Joe Biden, vicepresidente eletto
    Biden si è dotato di un portafoglio come quello di Cheney e vuole che il presidente sia al corrente di tutto. La sua più ovvia sfera di interesse sarà la politica estera, dove le sue idee sono più da falco rispetto a quelle di Obama. Primo test sull'influenza di Biden: riuscirà a trovare incarichi per i diplomatici democratici che la pensano come lui, tra cui Richard Holbrooke e Dennis Ross?

    9. Robert Gibbs, portavoce della Casa Bianca
    Se ai giornalisti non piace, chissenefrega? Da direttore della comunicazione della campagna di Obama ha comandato una nave a tenuta stagna, ottenuto una copertura incredibilmente positiva del suo candidato e ha dimostrato solide doti di public relation in tv. Gibbs si è unito a Obama nel 2004, molto prima che cominciasse il boom mediatico, e il laconico abitante del sud è famoso per essere temerario quando si tratta di dare consigli al proprio capo.

    10. David Plouffe, manager della campagna di Obama
    Obamaland è una potenza egemonica, divora ogni istituzione che non può controllare. Plouffe è il malato di politica che l'ha creata da zero, con la sua dotta conoscenza della demografia e delle regole elettorali. Ora che Obama controlla le leve del governo, l'apparato della campagna elettorale non va da nessuna parte. Potrebbe diventare il nuovo direttore esecutivo del Dnc o dirigere le operazioni politiche della Casa Bianca. Che si trovi alla Casa Bianca o no, si può contare su Plouffe per sostenere il programma legislativo dell'Amministrazione sfruttando l'ampia base di donatori di Obama per premiare i membri del Congresso che si dimostrano amici.

    11. John Podesta, presidente del Center for american progress
    E' una gran bella fortuna che il capo del team per la transizione abbia anche il suo think tank pieno zeppo di secchioni. Il suo Center for american progress (Cap) ha preparato i talenti e i documenti per i democratici negli ultimi cinque anni. Anche se si dice che l'ex capo dello staff di Bill Clinton tornerà al suo think tank una volta finita la transizione, ci saranno i suoi protégé in ogni angolo della prossima Amministrazione (il fatto che suo fratello sia tra i più influenti lobbisti democratici gli fa guadagnare un bonus in termini di potere).

    12. James Steinberg, presidente della Lyndon Johnson School of Public Affairs
    Non lo conoscete, ma potrebbe essere colui che porterà avanti la politica estera, al minimo il National Security Council (Nsc). Un veterano dell'Nsc di Clinton, non corteggia la stampa, non scrive commenti sui giornali, non vive neppure a Washington. Ma è un tecnico su cui Obama vuole contare. Se Kerry atterra al dipartimento di stato, può costituire un importante contrappeso, spingendo Obama più verso il centro. 

    14. Pete Rouse, chief of staff dell'ufficio di Obama al Senato
    La sconfitta di Daschle nel 2004 (di cui Rouse era il chief of staff) ha regalato a Obama il più efficace aiuto possibile al Congresso. Rouse, un lavoratore indefesso, ha aiutato Obama a gestire il suo breve mandato al Senato con un occhio alla candidatura presidenziale. Quando avrà finito con la transizione, Rouse tornerà al Congresso come il maggior lobbista di Obama.

    14/15, Jason Furman e Austan Goolsbee, direttore della politica economica e capo dei consulenti economici della campagna di Obama
    Sono i due lobi del cervello economico di Obama. Il professor Goolsbee ha il guizzo economico ma non sempre coglie i tempi politici (basta ricordare la sua gaffe sul Nafta, in campagna elettorale). Furman, un protegé di Rubin, è la crema del gruppo di sgobboni che studia le politiche. Ma, al contrario della maggior parte degli altri “tax nerd”, è politicamente astuto. Sono entrambi essenzialmente centristi – Furman ha difeso il libero commercio e persino (sacre bleu!) Wal-Mart – ma le politiche che hanno ideato durante la campagna hanno permesso a Obama di conquistare la fiducia della sinistra. Nel tentativo di Obama di venir fuori dalla fossa della recessione, loro saranno le sue vanghe.

    16. Dick Durbin, senatore dell'Illinois
    Obama ha chiesto a Durbin di introdurlo prima dell più importante discorso della sua carriera, a Denver. Con Claire McCaskill, Durbin è il più solido alleato di Obama al Senato. Questa è una cosa buona per Obama, perché il benvoluto Durbin è il secondo democratico più potente lì. Durbin deve affrontare un grande problema con i democratici del Senato: tutti sono convinti di avere molta più esperienza del loro presidente.

    17. John Kerry, senatore del Massachusetts
    Stando alle voci, Kerry ha negoziato il suo endorsement a Obama durante le primarie con il posto di segretario di stato. La sua nomina provocherebbe grandi controversie con i democratici moderati, per non parlare di tutti quei repubblicani che non aspettano altro di dipingere Obama come uno soft (Kerry non è stato duro abbastanza da difendere se stesso dallo scandalo degli Swifties, decisivo per la sconfitta del 2004 alle presidenziali). Se non dovesse entrare nell'Amministrazione, l'onnipresente surrogato potrebbe diventare capo della commissione per le Banche, cioè l'autore della prossima legge sulle regole del sistema bancario.

    18. Eric Holder, ex vice attorney general degli Stati Uniti
    Il suo ruolo nel concedere la grazia al contrabbandiere Marc Rich e il fiasco sul caso di Elian Gonzales l'hanno reso uno dei capri espiatori favoriti della destra. Ma ha guadagnato punti come uomo saggio dai tempi in cui ha servito come vice attorney general di Clinton, finendo coinvolto in ogni genere di missione delicata – dall'indagare sulle gare clandestine tra cani di Michael Vick per conto della Federazione Football al guidare la ricerca del vice di Obama. Può ambire al dipartimento della Giustizia? Conosciuto come “rubacuori” durante i suoi giorni da procuratore, avrà bisogno di tutto il suo charme per vincere un'eventuale battaglia per la conferma al Congresso.

    19. Andy Stern, presidente della Service Employees International Union
    Come capo dell'unico vero centro del potere rimasto nel mondo del lavoro si è visto rafforzato quando molti altri sindacati hanno cominciato ad affondare. La sua gente ha appoggiato Obama molto presto e ora Stern è in pole position per diventare il referente sulle tematiche di sicurezza economica. La premessa sottostante alla politica interna di Obama è la creazione di un sistema che premia il lavoro più che la ricchezza. Stern lavorerà sodo perché i membri dei sindacati ottengano quel che Obama deve loro.

    20. Hillary Clinton, senatrice di New York
    Molti sospettavano che avrebbe fatto il minimo indispensabile per il suo ex rivale. Con una campagna energica a favore di Obama, ha messo a tacere le paure. Ma che farà nei prossimi quattro anni? Può trasformarsi in una seconda Ted Kennedy (grazie a Podesta potrà contare sulle sue ex api operaie nelle maggiori posizioni dell'Amministrazione). Oppure può aspettare di vedere se Obama cade e posizionarsi per un'ultima corsa alla Casa Bianca. 

    21. Tim Geithner, presidente della Fed di NY
    In un modo o nell'altro, sarà cruciale nel ristrutturare il sistema finanziario degli Stati Uniti, o al dipartimento del Tesoro o nella sua attuale posizione. Un calmo operatore che ha fatto della sua umiltà un modus operandi disarmante, sarà chiamato a definire le riforme e poi a venderle a Wall Street. Le banche potranno poi ripiegarsi su loro stesse, ma almeno avranno avuto l'impressione di essere state ascoltate.

    22. Al Gore, presidente dell'Alliance for Climate Protection
    Obama può anche aver definito il programma più ecologico degli ultimi decenni, ma l'ex vicepresidente ha fatto di tutto per non essere troppo coinvolto nella campagna elettorale – una reticenza che potrebbe segnalare lo scetticismo di Al Gore nei confronti della buona fede di Obama sui temi ambientali. Ciò significa che un posto all'Environmental Protection Agency o come zar del clima sembrano improbabili. Però potrebbe rappresentare la coscienza del partito: se Obama non mantiene la promessa di inserire un tetto stringente alle emissioni, “Goreacle” potrebbe brandire la sua campagna “We” da 300 milioni di dollari per riportarlo alle sue promesse ecologiche.

    23. Greg Craig, consulente per la politica estera durante la campagna di Obama
    Uno dei più fedeli clintoniani – è stato l'avvocato di Bill Clinton durante l'impeachment e ha servito nel Dipartimento di stato – e uno dei primi a passare dalla parte di Obama, Craig ha aggiunto l'insulto alla beffa quando ha presentato una devastante confutazione punto per punto dell'esperienza in politica estera di Hillary. E' un fan così fedele che Obama lo chiama “Kool-Aid boy” (espressione che indica più o meno i fan incoscienti). E' nella rosa dei candidati per il posto da consulente della Casa Bianca o alla Sicurezza nazionale. 

    24. Nicolas Sarkozy, presidente di Francia
    La più grande ambizione di Sarkozy è di far tornare potente la Francia. E ha trovato “l'américain” con cui allearsi. Dopo il suo entusiastico meeting con Obama in luglio (“Devi fumarti una sigaretta dopo quest'incontro”, ha scritto Maureen Dowd sfottendo Obama), Mr Pro America è diventato ancor più pro Obama (punto cruciale in comune: sono figli di immigrati che hanno sconfitto i monopoli etnici al potere). Sarkozy è pronto a essere per Obama quel che Blair era per Clinton e Bush – il primo leader straniero da consultare in caso di crisi, l'ospite riverito ai banchetti più lussuosi. C'è un inconveniente: secondo Haaretz, Sarko non ama i piani di Obama per sedersi al tavolo con Teheran.

    25. Cassandra Butts, consulente della campagna di Obama
    E' buffo chi si può incontrare nell'ufficio per gli aiuti finanziari. Al primo anno di Legge a Harvard, lì Obama si imbatté nella Butts. Vent'anni dopo, questa veterana di Capitol Hill (fece da consulente a Gephardt) è diventata il guru di politica interna di Obama. Lavorando dal suo avamposto al Center of American Progress, ha già giocato un grande ruolo nel distribuire mansioni a Obamaland. Potrebbe diventare il capo degli advisor sulla politica interna.

    26. Julius Genachowski, cofondatore e direttore di Rock Creek Ventures. 
    Obama ha consiglieri di cui si fida molto (Jarrett) e ambasciatori nell'establishment di Washington (Daschle), ma poche preziose persone che sappiano fare entrambe le cose. Per questo ha bisogno del suo amico alla rivista di Legge di Harvard ed ex funzionario alla Commissione federale sulla comunicazione (Fcc), che è stato un consigliere chiave e un fundraiser sin dall'inizio della carriera di Obama. In tanti ritengono che Obama nominerà il suo amico esperto di tecnologia, che era anche un dirigente nella società Internet di Barry Diller, a capo della Fcc, o della posizione appena creata nel governo come capo delle tecnologie. 

    27. Joel Benenson, socio fondatore del Benenson Strategy Group 
    Pochi a Washington hanno sentito parlare del sondaggista newyorkese prima della campagna (come Axelrod, era un giornalista). Ma è emerso da un gruppo affollato per diventare una presenza regolare nella preparazione dei dibattiti e nelle riunioni strategiche. Nonostante Obama lo critichi perché non fa attenzione ai sondaggi, Benenson rimarrà nella cerchia ristretta di Axelrod. 

    28. Susan Rice, consulente per la politica estera nella campagna di Obama
    Si è buttata nella campagna molto presto e si è concessa spesso ai media per difenderla. Ex funzionaria del dipartimento di stato e sostenitrice del soft power, si è opposta alla guerra in Iraq – cosa che la isolò da molti dei suoi compagni dell'Amministrazione Clinton. La longevità del suo rapporto con Obama la mette sulla buona strada per seguire i passi di un'altra donna afroamericana, Condoleezza Rice, alla Sicurezza nazionale. Ma alcuni si chiedono se non sia troppo ideologica per fare la mediatrice – una preoccupazione che potrebbe portare Obama a metterla invece in una posizione ai vertici del dipartimento di stato. 

    29. Penny Pritzker, presiede la Classic Residence by Hyatt
    Ogni presidente ha un posto omaggio per uno dei suoi migliori amici. Bush mise Don Evans al Commercio. Le voci dicono che l'ereditiera dell'Hyatt Hotel potrebbe svolgere quel ruolo. E' stata una sostenitrice di Obama fin dall'inizio – cosa che permise agli ex rivali di Chicago di raffiguare Obama come una marionetta nelle mani degli ebrei. 

    30. Phil Griffin, presidente di Msnbc 
    Ha sguinzagliato i conduttori Keith Olbermann e Rachel Maddow e ha reso la Msnbc la risposta di sinistra alla Fox. L'Amministrazione di Obama ora ha un sacco di dilemmi: Olbermann e Maddow difenderanno l'Amministrazione dai suoi critici? Oppure imprecheranno quando questa inevitabilmente deluderà i fan sinistrorsi? 

    I suoi migliori amici.

    Marty Nesbitt, fondatore di Parking Spot
    Il migliore amico di Obama condivide con lui le ossessioni sportive (il basket), il quartiere (Hyde Park) e il compagno di grigliate (Jarrett). Mentre Nesbitt, il tesoriere della campagna di Obama, tirava fuori i soldi, sua moglie, Anita Blanchard, l'ostetrica di Michelle, tirava fuori i bambini.

    Dott. Eric Whitaker, vicepresidente del Medical Center dell'Università di Chicago
    Un altro amico intimo dei tempi di Harvard, dove il dottore si è guadagnato una laurea in sanità pubblica. Di Whitaker si dice che sia un esperto nel leggere nell'animo di Obama. Pensate a lui come a un sistema di allarme per i malumori di Obama.

    © The New Republic