il Cav. difende la finanziaria blindata. Fini: “si deve discuterne”

Lega, An e Forza (sud) Italia contro Tremonti. Siamo di nuovo al 2004?

Salvatore Merlo

Al termine di una giornata nervosa che ha visto il presidente della Camera Gianfranco Fini difendere “il diritto” del Parlamento a discutere la manovra finanziaria “blindata” dal ministro Tremonti, il Cdm ha approvato il pacchetto Gelmini sull'università che – sono parole del ministro – “ammorbidisce i tagli” originariamente ipotizzati.

    Al termine di una giornata nervosa che ha visto il presidente della Camera Gianfranco Fini difendere “il diritto” del Parlamento a discutere la manovra finanziaria “blindata” dal ministro Tremonti, il Cdm ha approvato il pacchetto Gelmini sull'università che – sono parole del ministro – “ammorbidisce i tagli” originariamente ipotizzati. La legislatura che si era aperta con l'approvazione, in nove minuti, della Finanziaria triennalizzata e “inattaccabile” ripiega su un cliché già noto agli osservatori del Palazzo. Tremonti resiste mentre i leader della maggioranza – che fino al congresso del Pdl resta una coalizione – provano a scucirgli qualche quattrino. Il Cav. commenta: “Il tempo degli assalti alla diligenza è finito”. E Fini risponde: “Tra assalto alla diligenza e far discutere il provvedimento c'è una bella differenza”. Così, a sentir parlare di “diligenza”, nel Palazzo si insinuano altre due paroline: “Collegialità” e “verifica”.

    Siamo già a questo punto? Fini ha definito “un'anomalia deprecabile” l'ipotesi che sulla manovra, uscita intatta per le pressioni di Tremonti dalla commissione Bilancio, venga posta la fiducia. Lo seguono An, la Lega e persino una parte di FI. L'onorevole berlusconiano Gaspare Giudice, che alla Camera ha l'ingrato compito di fare da relatore della manovra, ieri ammetteva eufemisticamente (e con un po' d'imbarazzo) che “in effetti, devo dire con rammarico che il governo non ha manifestato un'apprezzabile disponibilità a valutare alcune modifiche da apportare al testo”. Nella maggioranza sembrano ripetersi gli stessi meccanismi già vissuti nel 2004. Ma a differenza del 2004 questa volta, nella contesa sulla redistribuzione dei fondi, si inserisce l'aggravante della crisi economica che rafforza la difesa del ministro Tremonti – in una delle ultime riunioni avrebbe illustrato al Cav. l'ipotesi di un ammanco di liquidità pari a 277 miliardi di euro per via dei Bot in scadenza – ma contemporaneamente mette a rischio l'asse storico tra lui e Bossi.

    Non è un caso che Giancarlo Giorgetti, deputato vicinissimo al leader della Lega e presidente della commissione Bilancio, abbia contestato senza mezzi termini la blindatura della Finanziaria. D'altra parte il Tesoro sta concedendo molto alla Lega, che ha preteso si ammorbidissero i tagli all'università e ha ingaggiato una battaglia per gli investimenti infrastrutturali necessari all'Expo 2015. Ma Tremonti non può accontentare del tutto le richieste padane: un po' perché i soldi sono pochi e un po' perché An e FI già cominciano a protestare contro la differenza di trattamento. In particolare nel Pdl viene contestato il ricorso “incongruo”, a vantaggio del nord, dei fondi Fas teoricamente destinati alle aree “sottoutilizzate” del Mezzogiorno. “Tremonti – esagerano nella maggioranza – usa quel fondo come fosse il suo bancomat personale”. Lo userebbe per il nord, a cui – secondo il Sole 24 Ore – andrebbero almeno due miliardi di euro presi proprio dal Fas.
    Le sofferenze del nord si appianerebbero – forse – con l'approvazione del federalismo fiscale. Come spiega il governatore della Lombardia Formigoni: “Dopo la manovra per il triennio 2009-2011 chiediamo più spazi di autonomia fiscale e un federalismo che riconosca libertà di spesa per offrire servizi ai cittadini”. Un po' si può stringere la cinghia ma troppo a lungo no. Non fosse che, nella Lega, adesso avanza il timore che per effetto della crisi e delle pressioni meridionaliste i tempi di approvazione del federalismo fiscale si allunghino.

    Entro dicembre il Parlamento approverà la legge delega che vincola il governo a scrivere entro 24 mesi (probabilmente entro dicembre 2011) i decreti attuativi, il federalismo vero e proprio. “Un mese in più non sarà un problema”, dice Roberto Calderoli, avvertendo però che “il tempo giusto sono quindici mesi”. Dialogare anche con l'opposizione è un bene – pensa – perdere tempo un male per tutti. Peccato che dentro An e FI sempre di più s'avanza l'idea che il federalismo possa comportare, in una prima fase, un aumento della spesa pubblica. Che ne pensa Tremonti? Difficile dirlo, per adesso si registrano solo degli umori. Domenico Nania, senatore siciliano di An, rivela scetticismo: “C'è il problema di come attutire le spinte centrifughe” del nord. E nella Lega preoccupa l'asse Fini-D'Alema, che oggi s'incontrano in Veneto proprio per parlare di federalismo. An e FI sono partiti anche del sud e il sud tende a frenare.

    Del resto lo Svimez, l'associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, che ha per soci tutte le regioni meridionali ed è ascoltato anche dal ministro Raffaele Fitto, ha calcolato che il modello Calderoli toglierebbe “oltre un miliardo di euro al meridione”. Su questo tema è previsto per oggi a Palermo un incontro tra i preoccupati governatori del sud. Forse è qualcosa, forse non è niente. Ma l'Mpa, il partito del governatore siciliano Raffaele Lombardo, sta lentamente uscendo dalla maggioranza: ha votato contro il decreto Gelmini sulla scuola e questa settimana ha disertato il voto sul dl giustizia.

    • Salvatore Merlo
    • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.