Balle da divorzio

Francesco Agnoli

Nella mia non lunga carriera di insegnante, capita ormai sempre più spesso. Sono a udienza, si avvicina un genitore, e io mi alzo, gli preparo la sedia, con un po' di premura. Dovrò dirgli, penso dentro di me, tutta la verità, perché il caso è grave.

    Nella mia non lunga carriera di insegnante, capita ormai sempre più spesso. Sono a udienza, si avvicina un genitore, e io mi alzo, gli preparo la sedia, con un po' di premura. Dovrò dirgli, penso dentro di me, tutta la verità, perché il caso è grave. Non si può nicchiare, tergiversare, come quando l'alunno è solo un po' furbo o svogliato. Il genitore si siede, e prima che io inizi a spiegare gli strani comportamenti, le tristezze profonde del ragazzo, si affretta a dirmi: “Sono venuto io, mio marito (o mia moglie) non c'è, siamo divorziati… ma il ragazzo/a l'ha presa bene, ha capito…”.

    Ecco, mi è successo troppe volte, ormai, perché non abbia compreso come stanno le cose: nel 95 per cento dei casi, a stare cauti, i problemi di un ragazzo, quelli seri, intendo, sono problemi familiari, dei genitori. I quali in verità, sotto sotto, lo sanno, ma non vogliono ammetterlo. Per questo si consolano dicendo che il figlio ha “capito”, che in fondo è “normale”, lo fanno in tanti, come ripetono giornali, tv, psicologi e avvocati. Però, quei ragazzi che magari hanno l'anoressia, che si fanno tagli sulle braccia, o che sembrano, a tratti, schizofrenici, in verità sono inquieti o apatici, insomma tristi, talora sino al suicidio. Non hanno “capito” proprio nulla, perché nessuno si rassegna a perdere l'affetto di coloro che lo hanno generato, cullato, accudito. Chi insegna, questo lo sa per esperienza. E i casi difficili aumentano sempre di più, proporzionalmente al crescere dei divorzi: 27 mila nel 1994, 45 mila nel 2004, 61.153 nel 2006! Un'ecatombe. Insegnare, ci diciamo spesso tra di noi, diventa sempre più impegnativo e stressante: sempre di più molti ragazzi non sanno concentrarsi, non riescono a stare fermi, non sopportano un minimo di disciplina. Indisciplinati lo diventano, anzitutto, nella testa, piena di paure, di ansie, di turbamenti, respirati in casa, in famiglia, vivendo accanto a due genitori conflittuali, o passando da una casa all'altra, dalla mamma, alla nonna, al padre, allo psicologo, con l'aggiunta, quando va ancora peggio, di nuove figure, nuovi “padri” o “madri”, cioè, secondo un linguaggio antico e ben chiaro, “patrigni” e “matrigne”!

    E poi, quando succede il patatrac, quando un ragazzo si uccide, quando fugge di casa, quando finisce nella droga, si cercano mille scuse. Eppure, anche quando è chiaro che l'unica vera causa è la disgregazione familiare, è la mancanza di amore in cui questi ragazzi sono cresciuti, c'è sempre qualcuno che si affretta a negarlo: no, non si può dire, il divorzio è intoccabile, un diritto, una “conquista di civiltà”! Guai solo a pensare che la rottura del vincolo coniugale sia anzitutto fonte di infinito dolore per tutti i soggetti coinvolti! Guai solo a sussurrare che se i giovani, oggi, esitano a mollare le ancore, se non vogliono affrontare la vita in due, se hanno paura di sposarsi e di fare dei figli, è spesso perché, a loro volta, hanno vissuto sulla loro carne l'insicurezza, l'instabilità, il fallimento dell'amore dei loro genitori. Un'analoga esperienza viene raccontata in un libro, unico nel suo genere, “La fabbrica dei divorzi” (san Paolo), da un avvocato, Massimiliano Fiorin, del foro di Bologna. Fiorin descrive con passione e competenza il meccanismo tritacarne dell'individualismo odierno.

    Al centro della “fabbrica”, infatti, c'è la convinzione post sessantottina per cui il divorzio è un “diritto”, un bene in sé, una via alternativa di realizzazione, quando la strada precedentemente imboccata si rivela scomoda e difficile. Il divorzio, spiega Fiorin, fu introdotto in Italia con gli stessi ragionamenti con cui fu legalizzato l'aborto: come estrema ratio, come soluzione a qualche caso difficilissimo, patologico, abnorme. Si può uccidere il figlio, sì, ma solo in determinate e rarissime circostanze. Così fu fatta passare all'opinione pubblica. Lo stesso col divorzio. La giurisprudenza entrò così a normare il diritto dei genitori sul figlio, e il diritto dei genitori, indipendentemente dai figli. A poco a poco, l'aborto e il divorzio sono diventati fenomeni di massa, perdendo così il loro carattere di eccezionalità, e divenendo dei veri e propri “diritti individuali”.

    Se lo fanno in tanti, allora è normale, anzi giusto, sacrosanto. La realtà della “fabbrica dei divorzi”, spiega Fiorin, è che nel nostro paese vige una legge amplissima, che permette il no-fault-divorce, cioè il divorzio senza colpa: da noi basta una genericissima “incompatibilità caratteriale”, mentre in Inghilterra, ad esempio, “per ottenere il divorzio giudiziale occorre provare l'adulterio, l'abbandono o quantomeno un ‘comportamento irragionevole' del coniuge. Non vi è neppure, insomma, un vago “favor familiae”. Al contrario, vige un quasi indiscutibile “favor divortii”.